L’AMORE RUBATO: 5 STORIE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

In sala il 29 e 30 novembre,"L'Amore rubato" si vedrà in tv e nelle scuole. Per prevenire educando. E per farlo anche il volontariato ha un ruolo importante

Il 25 novembre, è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Purtroppo ogni giorno è ormai la giornata contro la violenza sulle donne. Nel senso che quotidianamente ormai assistiamo a storie tragiche che vedono le donne come vittime. E ancora di più sono le storie a cui non assistiamo, quelle che restano tra le mura domestiche e non sfociano in tragedia, ma tragedia lo sono ugualmente. L’amore rubato è un film che viene presentato oggi ed esce nelle sale come evento speciale il 29 e 30 novembre 2016, con il ricavato destinato a We World, organizzazione no profit che sostiene le donne vittime di violenza in Italia. Il film, liberamente tratto dal romanzo omonimo di Dacia Maraini e diretto da Irish Braschi, nasce proprio per denunciare questo problema, ma soprattutto per educare le nuove generazioni, per farle crescere nel rispetto della parità e della comprensione dell’altro. È un film di 60 minuti, un formato scelto per essere proiettato in sala più volte, per colpire più intensamente nei passaggi televisivi, per essere proiettato nelle scuole.

L’amore rubato intreccia le storie di cinque donne. Marina è una madre di famiglia che viene accompagnata dal marito al pronto soccorso per essersi rotta il braccio, dice lui, cadendo. Capiremo presto che non è così, e che la violenza presente nella sua famiglia investirà anche il loro bambino. Francesca ha 15 anni, è alle prese con i suoi primi amori, e sceglie malauguratamente di seguire tre ragazzi al mare, in un luogo isolato. Finirà male, e il fatto di essere stata ripresa con un telefono renderà la cosa insostenibile. Angela è una donna matura e sola, fa l’insegnante, e un giorno incontra un uomo gentile che l’aiuta con una gomma. Scoprirà che dietro l’uomo gentile si nasconde una persona piena di problemi. E violenta. Anna è un’attrice, o vorrebbe esserlo, se il suo compagno, una rockstar narcisista, non la volesse sempre accanto a sé, tormentato dalla gelosia, e opprimendola con i suoi atteggiamenti violenti. Alessandra, inserviente in una piscina, è oggetto delle attenzioni e delle violenze del proprietario. Che non si limitano solo agli sguardi. Quello che esce dal film è un senso di angoscia, di oppressione, di impossibilità di trovare una via d’uscita, il sentirsi indifese di fronte a chi, spesso solo fisicamente, è più forte. Troppo più forte. La via d’uscita non può che essere la fuga, l’abbandono, la denuncia. Quando non è troppo tardi. Il film diretto da Irish Braschi, un uomo gentile che tratta le sue protagoniste nel modo giusto, togliendo sempre la macchina da presa prima dei momenti più violenti, affronta tutti gli aspetti della violenza sulle donne: da quella fisica a quella sessuale, dalla violenza psicologica fino al bullismo, allo stalking e al femminicidio.

A forza di prenderli i pugni non si sentono più

Dacia Maraini è partita da una serie di storie vere che le sono state fornite a suo tempo da Amnesty International e le ha romanzate. «Avrei potuto insistere sull’aspetto più nero di queste storie, ho cercato di tenermi più sui sentimenti, sui rapporti psicologici», spiega. Ma l’aspetto nero purtroppo c’è, e ci arriva dalla cronaca di tutti i giorni. «Quest’anno c’è stata quasi una vittima ogni due giorni», ricorda la scrittrice. «Parliamo di donne uccise, non solo di maltrattamenti. Pochi giorni fa un uomo ha bruciato viva una donna incinta di otto mesi». Il discorso però è più complesso, profondo, e la Maraini ci tiene a precisarlo. «Non credo nella violenza di genere, non credo che gli uomini siano tutti carnefici e le donne tutte vittime. Viviamo in un mondo dove gli uomini identificano la loro virilità con il possesso, quando questo viene meno succede il finimondo. Ed è una realtà in crescita».

violenza sulle donne
Il film affronta tutti gli aspetti della violenza sulle donne: fisica, sessuale, psicologica, fino a bullismo,stalking e femminicidio

Ed è proprio per questo che il problema della violenza sulle donne va affrontato alla propria radice. E si può risolvere con la cultura, con la consapevolezza, con l’educazione e con la prevenzione. «I bambini che assistono a genitori violenti non potranno che essere violenti», afferma Elena Sofia Ricci. «Occorre educare i bambini al sentimento, superare quel gap tra l’intelligenza razionale e quella emotiva. La prima sembra avanzare molto più dell’altra. Abbiamo fatto lotte per la parità dei diritti, dal punto di vista razionale abbiamo creato tutta una serie di cose, ma emotivamente non siamo ancora riusciti a stare al passo con la storia che abbiamo costruito. Se da un punto di vista razionale possiamo capire che una donna possa essere più intelligente, o guadagnare più di noi, dal punto di vita emozionale non riusciamo a farci i conti. Da mamme e papà dobbiamo insegnare l’autostima alle bambine e la frustrazione di essere alla pari al maschietto, perché non siamo ancora pronti».
Saper gestire le frustrazioni è una delle chiavi per evitare poi certi comportamenti violenti. È l’opinione anche di Gabriella Pession. «La violenza sulle donne non è solo fisica, ma si può fare male dal punto di vista psicologico», spiega parlando del suo personaggio. «È una donna che pian piano si annulla, decide di togliersi ogni piccolo tassello di amor proprio, si annulla perché pensa che così potrà aiutare il proprio compagno, che è un grande narcisista. La manipolazione è come un incontro di boxe: a forza di prendere pugni uno non li sente più. E così si diventa un burattino nelle mani di un carnefice. Bisogna educare i bambini al fatto che finisci tu e comincia l’altro. Al mio psicologo una volta ho chiesto cosa volesse dire diventare adulto. Vuol dire imparare a gestire le frustrazioni. Siamo imperfetti, e il narcisismo non sopporta queste cose».
Stefania Rocca, che collabora come volontaria con Action Aid, racconta l’altro aspetto della violenza sulle donne, quella più nascosta, quotidiana, sommersa, ma non per questo meno grave. «Il mio episodio racconta una famiglia che dall’esterno sembra perfetta – un marito che lavora, un moglie bella, un figlio meraviglioso – dove tutto va bene dal di fuori, ma aprendo le mura scopri che non tutto è felice. Questo rapporto è nato dal possesso, dalla passione, e molti uomini non accettano di avere un istinto così primordiale verso la donna perché per loro vuol dire perdere il controllo. Nel mio lavoro con Action Aid, la maggior parte delle donne che ho conosciuto nelle case famiglia vengono da situazioni come questa». Uno degli obiettivi di associazioni come Action Aid è aiutare donne che non hanno la disponibilità economica a scappare e renderle indipendenti. Perché questa è un’altra delle chiavi del problema. «Se non abbiamo la disponibilità economica è difficile scappare» spiega Stefania Rocca. «Alcune donne mi hanno detto che ci hanno messo due anni prima di scappare. Tornare a casa dei genitori spesso non basta, perché alcune donne vengono raggiunte e uccise anche lì». Per aiutare queste donne Actoin Aid sta facendo una campagna che si chiama We GO! e che consiste nel correre tutte insieme attraverso le varie città d’Italia e raccogliere fondi per far sì che molte donne trovino un tetto dove stare. We World ha invece aperto degli sportelli all’interno dei punti di pronto soccorso, dove 24 ore su 24, sette giorni su sette, ci sono operatrici che possono accogliere le vittime di violenza. Luoghi dove finalmente le donne non si sentono giudicate.

La violenza sulle donne si cela ovunque, bisogna agire alla radice

L’uso “contro ruolo” di attori come Alessandro Preziosi, principe azzurro di tante fiction, o Antonello Fassari, bonario protagonista de I Cesaroni, o di Massimo Poggio, che era il papà amorevole de L’aquilone di Claudio, è piuttosto scioccante. Ma sembra fatto apposta per capire che la violenza sulle donne si cela davvero ovunque, anche dietro volti belli, rassicuranti, e che sfugge alle normali logiche di comportamento delle persone. «Sono rimasto schifato nel rivedermi in questo film», racconta Preziosi che nel film è il marito di Marina. «È difficile che mi porti a casa quello che giro, ma stavolta mi sono portato dentro brutte sensazioni», conferma Fassari, che è il “padrone” (in sceneggiatura il personaggio è chiamato proprio così) della piscina. «Mi auguro che il film possa accorciare quella distanza di tempo che fa capire che quella cosa stia accadendo a noi. Perché spesso ci vuole molto tempo per capirlo» spiega Massimo Poggio.

Scrivendo questo articolo mi sono accorto che il correttore automatico del mio pc non conosce la parola femminicidio e la sottolinea in rosso. Un errore. Sul fatto che lo sia non c’è dubbio. Ma purtroppo è una parola che esiste, come un problema da cui non è facile liberarsi. L’utopia è che una parola come questa un giorno scompaia per sempre, dai correttori dei pc e da ogni vocabolario.

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