IL VOLONTARIATO CAMBIA LA POLITICA?

Un Quaderno del Cesvot indaga i rapporti tra questi due mondi non solo paralleli

Forse potrebbero essere proprio le “Linee guida di riforma del Terzo Settore” il primo passo per la rivitalizzazione di quel rapporto tra volontariato e istituzioni che oggi sembra scricchiolare, sotto il peso di tagli, di confronti meramente di facciata, se non di veri e propri conflitti di interessi, che deturpano ogni concezione etica, attiva e predittiva delle organizzazioni. Sì, perché oggi il Terzo settore sembra faticare a trovare una dimensione “politica” (intesa alla Don Milani, ovvero nel senso di “sortire insieme dai problemi”), troppo spesso appiattito nella gestione di servizi, quasi che fosse un mero esecutore e non una risorsa inserita a pieno titolo anche nel processo decisionale. Colpa della penuria di interlocutori sensibili? Forse. Ma in questo contesto ci sono dei chiaroscuri, e la ricerca racchiusa dal Cesvot nel Quaderno “Volontariato e politica: verso una nuova alleanza?”, a cura di Rossana Caselli, può aiutare, in un momento di crisi così acuto e complesso come quello in cui ci troviamo, a chiarire il percorso che il Terzo settore ha tracciato in Italia, cercando di prevedere quali potranno essere gli sforzi futuri da compiere per valorizzare il proprio ruolo politico nella società.

Il volontariato moderno nasce col suo ruolo politico

In fondo, il volontariato e, più in generale, del Terzo settore moderno si fondano proprio sulla presa di coscienza del proprio ruolo “politico”. Come sottolinea il Quaderno, infatti, negli anni ‘70 il concetto di carità ha visto la sua modernizzazione, passando da opera limitata ad alleviare la sofferenza degli “ultimi” o degli “esclusi” a quella espansa di «denunciare le cause delle disuguaglianze, delle povertà, delle ingiustizie, assumendosi la responsabilità di dialogare con le istituzioni, per cambiare». È stata proprio questa la dimensione politica su cui è nato il volontariato moderno.

Istituzionalizzazione del volontariato: opportunità e pericoli

Negli anni ‘90, poi, il dialogo ricercato con le istituzioni ha determinato una “istituzionalizzazione” del volontariato. Oltre a sviluppare convenzioni con le amministrazioni, al fine di supportarne il welfare, il Terzo settore ha trovato un inquadramento normativo sempre più preciso e completo: odv, cooperative, aps, imprese sociali e le stesse fondazioni di origine bancaria trovano le proprie leggi originarie nell’ultimo decennio del secolo appena concluso. La legislazione non solo conferì al volontariato un ruolo istituzionalizzato nella società, ma ne favorì anche il sostentamento economico.
Questo percorso non fu però scevro di pericoli. Come ricorda il Quaderno, «l’Anpas, nel proprio 45° congresso di Modena del 1993, nella figura del suo allora presidente Petrucci, affermò che la priorità era, all’interno del nuovo quadro normativo, soprattutto influenzare le politiche sociali, senza lasciarsi relegare dalla normativa in un ruolo “tecnico” di esecutore dei servizi». Particolarmente intensa fu proprio la predizione che Petrucci fece in quell’occasione: «Se non mutiamo le linee generali di riferimento di questo contesto, entro pochi anni il volontariato vedrà ridotto il suo ruolo a pura manovalanza a basso costo, tappabuchi delle istituzioni nei settori più disagiati, co-gestore… di un sistema che potrebbe accentuare ingiustizie e disuguaglianze sociali…».

Anni 2000: l’alba e il tramonto di una speranza

Una rassicurazione contro questo pericolo fu data dalla legge 328/2000: la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Questa fu una grande svolta, perché la norma indicava gli attori del Terzo settore come soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione del sistema integrato dei servizi, insieme alle istituzioni. Insomma, il nuovo millennio iniziava con l’affermazione di un ruolo politico del volontariato sempre più evidente: non solo ‘fornitore’ di servizi, ma anche progettista.
Ma è proprio con gli anni 2000, come sottolinea il Quaderno, che per il volontariato «tramonta la speranza di essere stabile interlocutore politico delle istituzioni in particolare sui temi del welfare». La mancata attuazione della legge 328/2000 fu sancita durante la Conferenza nazionale del volontariato di Napoli del 2007.

Oggi: tra nuove sfide e contaminazioni

Oggi il volontariato si trova ad affrontare sfide inedite. Mentre la fiducia dei cittadini nei partiti è calata sensibilmente, quella nel volontariato sembra alta e solida. La crisi che viviamo in questi anni ha notevolmente ridotto le politiche di welfare, la spesa sociale si è ridotta e lo stesso modello di welfare è in discussione. Il 2011 è stato l’Anno europeo del Volontariato, inteso come fondamentale contributo alla rivitalizzazione della democrazia. Sembra crescere la necessità di un ruolo politico del volontariato per contribuire a ridefinire il welfare stesso del Paese, avvertito in una crisi profonda che non può essere sottovalutata o appiattita sotto quella economica.
Ancora, in questi anni abbiamo visto alcuni rappresentati del volontariato e del Terzo settore entrare proprio all’interno delle liste elettorali dei partiti, così come persone provenienti dalla carriera politica diventare quadri di associazioni. Ma per giudicare gli esiti di questa “contaminazione” servirà ancora del tempo.

Cosa fare per crescere


Un fatto che, invece, emerge con forza è che se il Terzo settore vuole ritrovare un suo ruolo politico nel Paese dovrà essere capace di visualizzare e portare avanti una visione d’insieme. Il Quaderno del Cesvot lo dice chiaramente: «La visione d’insieme c’è (come emerge dalle nostre ricerche), il volontariato l’ha elaborata e la sperimenta quotidianamente, spesso è implicita nel modo stesso di agire, nel modo stesso di “fare” del volontariato».
Dal giudizio di molti degli esperti intervistati, si percepisce l’esigenza di promuovere nelle associazioni dei«momenti di dibattito interno, che potrà essere favorito da corsi di vera e propria formazione politica dei volontari e dei suoi quadri associativi, da attività tese al raccordo tra le prassi esistenti sui diversi territori, anche attraverso laboratori territoriali specifici e di azioni tese al rafforzamento delle reti territoriali». Le reti sembrano essenziali in questo disegno di unione, insieme alla «contaminazione dei diversi mondi dello stesso Terzo settore e delle diverse pratiche che lo caratterizzano».
Si afferma poi la necessità di ribaltare la logica che vede lo sviluppo economico prioritario rispetto a quello sociale e di affermare indici di sviluppo come il Bes (Benessere equo e sostenibile) affianco al Pil (Prodotto interno lordo). Sarebbe da privilegiare, quindi, la «funzione culturale del volontariato anche come proposta e chiave di volta per uscire dalla crisi economica». Tra gli esperti intervistati, c’è stato anche chi ha ricordato la “politica della mitezza” che sembra emergere dalla storia del volontariato e che «è per certi aspetti l’antitesi della stessa politica, di quella politica così realistica che talora diventa cinica, senza lasciare spazi ai cambiamenti, perché riproduce solo il suo stesso potere».
Rimane sempre aperta la questione del ruolo degli interlocutori politici e su quanto sia effettivo il loro ascolto verso l’associazionismo. Dalla ricerca emerge un sostanziale scoraggiamento, ma, come detto all’inizio, un punto di svolta potrebbe essere disegnato proprio dalle “Linee guida di riforma del Terzo Settore”. Stay tuned.

IL VOLONTARIATO CAMBIA LA POLITICA?

IL VOLONTARIATO CAMBIA LA POLITICA?