LAVORO PER I DISABILI: UNA BATTAGLIA COMUNE PER VOLONTARIATO E SINDACATO

Salvatore Marra, della CGIL, spiega perché l'inserimento lavorativo è così difficile

La crisi ha reso ancora più difficile l’inserimento di disabili nel mondo del lavoro. La chiusura di molte aziende, l’espulsione di personale e anche leggi che permettono di facilitare i licenziamenti non hanno reso certo facile la vita di chi vuole avere un lavoro per un reddito, certamente, ma anche per relazionarsi con gli altri, con i cosiddetti “normodotati”. Ne abbiamo parlato con Salvatore Marra, responsabile per molti anni dell’Ufficio politiche della disabilità della Cgil Roma-Lazio, Marra si occuperà di politiche sindacali internazionali nel Dipartimento internazionale della Cgil. Uno spaccato che da una parte mette in evidenza le tante carenze, i tanti problemi dell’inserimento lavorativo delle persone con svantaggi ma dall’altra vuole vedere anche la positività, le opportunità che si possono aprire con un lavoro costante sulle istituzioni ma anche interrogandosi di quanto può fare di più il sindacato e delle sinergie che possono scaturire dal rapporto con il mondo del volontariato.
Il nostro incontro scaturisce da un evento che ci ha toccati direttamente: un ragazzo, un trentacinquenne, che collaborava con il nostro gruppo ha espresso il desiderio di lavorare come grafico, ci siamo chiesti: c’è possibilità di lavoro per un grafico disabile a Roma? 
«Intanto il mio dubbio forte è sulla categoria del “disabili”, che è una categoria molto labile, nel senso che dentro questa parola ci sta di tutto e di più. Il disabile è la persona che ha una lieve disabilità riconosciuta da legge, ma lieve. Il disabile è anche la persona che ha una disabilità psichica grave, quindi già questo rispetto all’inserimento lavorativo fa una bella differenza, perché nonostante in Italia abbiamo una legge molto buona, la 68 del ’99, ci sono due problemi: il primo è che a quasi 16 anni di distanza, questa legge sconta dei ritardi incredibili nell’applicazione; il secondo è che, come se non bastasse, la crisi economica ha reso tutto più complicato. Esiste uno strumento che si chiama collocamento obbligatorio: la legge disciplina un numero di posti di lavoro riservati alle persone con disabilità in base alla dimensione dell’azienda: il problema è che, anche da questo punto di vista, con la crisi ci sono state un sacco di eccezioni. Il problema nasce da lontano,  dal mondo della scuola, dell’istruzione e, successivamente, della formazione professionale, e riguarda non solo i disabili ma tutti i giovani. Non esistono meccanismi che ti permettono di essere accompagnato nella fase tra la scuola e il lavoro,  quella in cui tu, ragazzo che in questo caso vuole fare il grafico, esci da un istituto professionale o da un liceo artistico e scopri che per diventare davvero un grafico ti devi inventare da solo, a meno che tu non abbia una famiglia che ti sostiene, ti aiuta, ti guida».

Però esistono i Centri per l’impiego
«I Centri per l’impiego sono praticamente sconosciuti per la massima parte dei giovani, non li usano neanche le aziende e quindi ognuno deve aggiustarsi alla bell’e meglio. Per una persona disabile è molto più complicato perché già ci sono degli ostacoli durante il percorso educativo, figuriamoci nel periodo dedicato della transizione scuola lavoro, che statisticamente, in Italia, sta diventando sempre più lunga e più complicata».

Come è la situazione a Roma e nel Lazio?
«Qui ci sono ulteriori criticità, prima fra tutte il fatto che c’è un problema di governance. Ad esempio c’è il problema delle competenze delle provincie.  Intanto diciamo che non è vero che sono state smantellate: esistono ma con competenze diverse, sono state semplicemente aboliti gli organismi elettivi, ma in altra forma continuano a esistere. Il problema è che noi ci siamo trovati, da tre anni ormai, in una fase di vuoto. Mentre prima esistevano le Commissioni tripartite provinciali per l’occupazione – nelle quali c’erano la provincia, quindi le istituzioni pubbliche, le associazioni dei disabili e le parti sindacali e imprenditoriali – e ci incontravamo regolarmente per monitorare, valutare eccetera, ora sono tre anni che non sappiamo niente di quello che accade nella governance dei diritti delle persone disabili sul lavoro. Dall’altro lato ci sono un paio di novità positive. La prima è riferita in particolare ai giovani: la regolamentazione nel Lazio, da parte della regione, dei tirocini, in particolare quelli per le persone svantaggiate, nonostante un periodo iniziale abbastanza complesso in cui ci sono stati anche molti dubbi sollevati dalle associazioni dei disabili, sta andando a regime. E il combinato disposto della regolamentazione dei tirocini regionali con il lancio del cosiddetto sistema di Garanzia giovani (una misura della Commissione europea implementata a livello regionale pensata in particolare per i NEET, cioè che i giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione) sta cominciando a dare frutti. Il terzo elemento positivo è che l’ 8 maggio 2015 la Regione Lazio ha definitivamente approvato, finalmente, il nuovo Atto di indirizzo per i diritti dei lavoratori con disabilità. È una derivazione della legge regionale sulle disabilità e serve prevalentemente per due questioni: per le graduatorie del pubblico impiego e del privato, quindi per le liste di collocamento obbligatorio, che si fanno computando diversi fattori (la famiglia, l’età, l’Isee eccetra) e, secondo, per le convenzioni fra le aziende e pubblico per l’assunzione dei disabili. Finalmente dopo otto anni, siamo riusciti a ottenere un rinnovo di questo Atto che in teoria, con le modifiche che abbiamo apportato, dovrebbe rendere più trasparente l’accesso delle persone con disabilità ai posti del pubblico impiego».

Quindi che consigli daresti a Stefano e a quelli come lui?
«La prima cosa che dico a un giovane che vuole fare il grafico nel Lazio è formarsi e cercare di fare dei corsi di formazione professionale. Ce ne sono alcuni per disoccupati finanziati dalla regione Lazio, c’è un sito  dove si possono andare a vedere le offerte formative. La seconda cosa che direi, se questo ragazzo ha finito di studiare, ha meno di 29 anni ed è disoccupato, è di tentare di accedere a Garanzia giovani. L’altra cosa che può fare è comunque iscriversi al Centro per l’impiego nelle liste di collocamento obbligatorio. Molti degli ultimi assunti dal Comune di Roma, proprio per via delle inadempienze che il comune aveva sulle quote obbligatorie della 68, erano grafici: quasi cento persone».

Quindi è un buon settore quello del grafico?
«Non sono un esperto però mi pare di vedere che nelle statistiche non è uno dei peggiori, comunque la pubblicità, il marketing, il designer sono ambiti ancora abbastanza aperti».

Nella disabilità, oltre alle difficoltà oggettive, ci sono altre cose che limitano la possibilità di trovare lavoro?
«Certo, ci sono fattori sociali dovuti a ignoranza e discriminazione: il disabile è considerato un peso, per tutti. La disabilità viene percepita come un ostacolo. Da ateo cito papa Francesco che ha detto che nel 2015 è assurdo, è uno scandalo, dovere ribadire che uomo e donna se fanno lo stesso lavoro dovrebbero guadagnare la stessa cosa, e dico la stessa cosa per un disabile. Un disabile e un cosiddetto normodotato se fanno lo stesso lavoro dovrebbero avere lo stesso stipendio, mentre così non è!  I dati sulla povertà relativa in Italia sono più alti nelle cosiddette periferie sociali del Paese, ivi inclusi nei luoghi dove c’è disabilità. La verità è che i welfare di esistenza sono stati tagliati, distrutti, vedi quello che è successo con la non autosufficienza nel Lazio. Quindi l’altro ostacolo grosso purtroppo è l’ignoranza, la discriminazione che vale un po’ per tutti i cosiddetti diversi. Chi è latore di una diversità dovrebbe essere percepito come portatore di una ricchezza ulteriore, di un punto di vista con il quale, è vero, può essere difficile confrontarsi, ma che ci arricchisce. Non siamo più capaci di confrontarci con qualcuno che ha un’idea politica diversa, una religione diversa, una disabilità, un’origine geografica, un orientamento sessuale diverso…».

La presenza di barriere architettoniche e l’assenza di strumenti di trasporto pubblico idonei quanto incidono?
«Tanto. Ho appena assistito, nella metro alla fermata Spagna, alla scena di una persona che in sedia a rotelle si è sentito dire “devi farti portare su per le scale mobili in sedia a rotelle perché non c’è l’ascensore”. Alla stazione Spagna, che è il centro della città di Roma, l’emblema, tu hai impedito a quella persona di esercitare un diritto umano che è quello alla cultura, all’arte. Figuriamoci nei posti di lavoro».

Il sindacato che cosa può fare per migliorare la situazione del lavoro dei disabili?
«Il sindacato deve fare molto di più, e deve impegnarsi non solo per le persone con disabilità, ma per tutte le persone più svantaggiate, nonostante la crisi che ha chiaramente posto delle difficoltà anche a noi del sindacato: siamo stati e siamo perennemente sotto attacco da parte della politica e da parte della società civile, c’è una sorta di sfiducia nei nostri confronti. La prima cosa che il sindacato deve fare è far partecipare i disabili: se non sindacalizziamo i lavoratori con disabilità ci manca un punto di vista. Inoltre il sindacato a livello regionale deve lavorare di più, deve monitorare, controllare che non ci siano illegalità, che la legge 68 venga applicata, che nelle commissioni deputate si faccia il possibile.  L’altra cosa è controllare, che attraverso gli iscritti della Cgil che stanno nei posti di lavoro, non si facciano abusi e soprusi nei confronti delle persone con disabilità, e questo implica formare i nostri dirigenti sindacali affinché abbiano una sensibilità nei confronti delle diversità in generale e in particolare delle persone con disabilità che nella crisi stanno pagando un prezzo ancora più alto».

Invece il ruolo del volontariato qual è?
«Il volontariato ha un ruolo fondamentale, io sono un attivista sindacale ma per anni ho fatto il volontario in tante associazioni e credo che il sindacato sia una missione, per chi ci crede, quindi sento molto vicino il volontariato. Non a caso nel Lazio molte delle battaglie sulla disabilità le abbiamo fatte sempre con il mondo del volontariato, nonostante le differenze, perché è chiaro che il sindacato ha un ruolo e le associazioni ne hanno un altro e questo deve essere chiaro, a tutti i livelli. Credo che le associazioni abbiano una sensibilità e una conoscenza di alcuni tipi di problemi che a noi a volte possono sfuggire. Purtroppo la politica ha un’attenzione bassissima nei confronti del volontariato, oltre che del sindacato. mentre dovrebbe promuoverlo addirittura nelle scuole. Bisogna creare ulteriore alleanza con il mondo dell’associazionismo, approfondirla, perché è chiaro che oggi, con le sfide che abbiamo di fronte, potremmo ottenere più risultati, se lavorassimo insieme».

Quali potrebbero essere gli spazi comuni?
«La prima cosa è fare iniziativa comune. Noi spesso nelle nostre iniziative sindacali abbiamo dato spazio alle questioni relative alla disabilità, organizzando convegni in cui davamo spazio associazioni. Quando facciamo delle azioni nei confronti delle istituzioni, sull’Isee per esempio, le abbiamo sempre fatte a fianco delle associazioni di volontariato, anche se non sempre in totale sintonia, perché a volte ci possono essere anche delle legittime divergenze. L’importante è avere a cuore la finalità, poi magari la raggiungiamo anche con strumenti diversi: noi possiamo scioperare, voi non potete organizzare gli scioperi però potete aiutarci a sensibilizzare i vostri iscritti; noi abbiamo i nostri servizi come l’Inca, il patronato, i vostri soci sono i benvenuti nelle nostre sedi se hanno bisogno di assistenza sulla previdenza…  Per esempio, non tantissimo tempo fa abbiamo scritto una lettera congiunta con le associazioni al sottocommissario straordinario al lavoro della provincia di Roma chiedendogli conto del perché non si riuniscono le commissioni. Ci sono tante cose che si possono fare insieme».

LAVORO PER I DISABILI: UNA BATTAGLIA COMUNE PER VOLONTARIATO E SINDACATO

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