#NOESONERO: LE ASSOCIAZIONI DIFENDONO L’INCLUSIONE A SCUOLA

Protestano contro il nuovo Piano Educativo Individualizzato, che prevede l'esonero da alcune discipline di studio, con l’allontanamento dell’alunno disabile dalla classe. C'è una petizione da firmare

Si scrive #NoEsonero, si legge come il tentativo di evitare che la scuola diventi oggi un luogo che esclude, perché non dia vita domani a una società che esclude. Ma di cosa parliamo? Il Decreto Interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, emanato dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, dà il via all’adozione del nuovo modello di PEI, il Piano Educativo Individualizzato, e stabilisce le modalità di assegnazione delle misure di sostegno. Si tratta di una serie di scelte che sarebbero lesive del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità. Parliamo dell’esonero da alcune discipline di studio, con allontanamento dell’alunno con disabilità dal gruppo classe e dai suoi docenti, e della conseguente riapertura di “spazi laboratoriali”, di “aule riservate” e di attività individuali che ricreano, di fatto, le “classi differenziali”, oltre che la riduzione dell’orario di frequenza. Il tutto deciso mediante un sistema che lascia un ruolo marginale alle famiglie nel processo decisionale a favore del figlio.

#NoEsonero, la petizione

Il CoorDown (Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle persone con sindrome di Down), il CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno), Uniti per l’autismo, il Gruppo Facebook “Non c’è PEI senza condivisione” e un grande gruppo di associazioni hanno deciso di lanciare una petizione perché ritengono che il provvedimento presenti troppi punti critici, che mettono a repentaglio i progressi raggiunti in oltre quarant’anni di storia di inclusione scolastica e che rischiano di vanificare gli sforzi volti a garantire il diritto allo studio degli alunni con disabilità. Si tratta di segnali che lasciano trasparire una nuova impostazione culturale e che segnano un’inversione di rotta nel processo inclusivo, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese.

L’iniziativa #NoEsonero è stata lanciata con un flash mob “virtuale” sabato 13 febbraio alle 12. È possibile firmare la petizione su Change.org a questo indirizzo.

I sogni dei ragazzi Down 

Questo nuovo disegno avrebbe un impatto non indifferente nelle vite di molti ragazzi, che si renderebbero immediatamente conto dell’esclusione. Antonella Falugiani di CoorDown ci ha fatto capire proprio questo, raccontando la sua esperienza, in un incontro on line che si è tenuto lo scorso 12 febbraio. «Mia figlia lo scorso anno ha terminato il liceo scientifico», racconta. «A parte il primo anno, il nostro percorso è stato un calvario, più che un percorso formativo. La prima domanda che il dirigente della scuola ci fece fu: “perché avete scelto un liceo scientifico?”»

#noesonero
Un post tratto dalla pagina facebook del Comitato #noesonero

Una domanda che già di per sé sottintende giudizi e categorie. «Quando nasce un bambino con la Sindrome di Down non nasce un cuoco o una cameriera» riflette Antonella Falugiani. «Nasce una persona con le sue particolarità, i suoi sogni e le sue abitudini. Questa domanda ha fatto male e a me e a Irene, e ci siamo aggrappati a firmare un percorso semplificato».

Queste cose succedevano già, ma tra la situazione di ieri e quella di oggi c’è una differenza non da poco. «Io famiglia potevo dire no al percorso differenziato, potevo decidere di passare da un percorso all’altro, se la ragazza aveva raggiunto degli obiettivi», spiega Antonella Falugiani. «Irene ha vissuto malissimo gli allontanamenti dalla classe. Quando ha raggiunto la maggiore età è andata all’aula di sostengo a togliere i giochi, perché per lei quelle ore erano un gioco». «Non dobbiamo abituare i ragazzi a pensare che, all’interno della comunità, la persona con disabilità faccia un discorso a parte», ragiona. «Eravamo abituati all’insegnante di sostegno della classe, non dell’alunno, mentre spesso l’insegnante di sostegno era identificata come insegnante dell’alunno, non della classe, e in questo modo viene a mancare quell’unione, quel gruppo classe che insieme supera le difficoltà».

Come “passeranno” il tempo?

Un’altra storia di esclusione è quella che ci racconta Martina Fuga di CoorDown. «Mia figlia Emma ha 16 anni e la Sindrome di Down» ci spiega. «A lei è chiarissimo il suo esonero. La classe speciale l’ha vissuta sulla sua pelle: ha frequentato la scuola francese, dove c’è la classe ULIS, la classe dedicata alle persone speciali. Emma è stata considerata abile a frequentare solo quattro materie. Faceva nella sua classe solo queste ore, e le altre andava nella classe ULIS, dove facevano torte, imparavano la matematica coi fagioli e facevano l’orto. Tutto bello, ma se fosse fatto in una classe eterogenea. Inoltre aveva l’orario ridotto, finiva prima come se nella sua disabilità non potesse frequentare le stesse ore di studio degli altri».

«Quando ho letto questo decreto ho pensato al modello francese» riflette Martina Fuga. «Che cosa succederà nelle ore in cui i figli sono esonerati? Quali sono gli spazi e le attività in cui passeranno il proprio tempo?». Martina usa proprio queste parole, «passeranno il tempo», e non le usa a caso. «Li intratterranno o faranno attività didattiche?» si chiede. «Questa è una mia preoccupazione forte». Per questo si è deciso di dire un no all’esonero, perché l’inclusione a cui tutti ambiano inizia a scuola. E solo se c’è a scuola poi c’è la possibilità di vedere un’inclusione anche nella vita sociale e nel lavoro. Il discorso è ampio, è di livello culturale. E quello che si legge in questo decreto fa paura. Mettiamoci nei panni di un alunno a cui viene detto che è esonerato, che viene accompagnato fuori dalla classe, lontano dai compagni. È come se gli venga detto che non è capace di imparare.

La logica dell’esclusione

Guido Marangoni, scrittore, è anche il papà di Anna, una bambina che ha sei anni e a settembre inizierà la scuola primaria. Oggi è anche un papà preoccupato, per un decreto che ha molte zone grigie. Abituato a raccontare la storia di Anna attraverso una pagina Facebook e agli incontri nelle scuole, ci fa riflettere sulla parola “inclusione”. «Vado spesso nelle scuole a parlare di inclusione e chiedo ai ragazzi cosa vuol dire», racconta. «È una parola importante, ma molto lontana. Dico invece “pensate al contrario: esclusione, proviamo a parlare allora di non esclusione”. E questa parola ci appartiene di più. Quando dico “adesso pensate che gli esclusi non siano altri ma siete voi”, capiscono benissimo».

Tutti possono partecipare alla campagna #noesonero, tutt’ora in corso su facebook

Ma c’è un altro aspetto su cui riflettere, su cui ci soffermiamo forse poco, quando parliamo di diritti. «Qui c’è una questione di diritti delle persone con disabilità, ma anche del resto della classe», ci fa notare Marangoni. «Quando penso che un compagno di classe di Anna inizierà a ragionare accettando man mano che un esonero, un’esclusione, un portare fuori dalla vita della classe sia qualcosa di assodato, di normale, io credo che una persona ragionerà con la logica dell’esonero e dell’esclusione. Fino a che gli esclusi sono gli altri non ci pensiamo, ma se gli esclusi siamo noi, allora ci accorgiamo che il tema riguarda tutti». Questa storia riguarda le persone con disabilità, i loro genitori, ma tutta la nostra scuola, tutta la società civile.

Tutto si può semplificare

Carlo Scataglini è da anni un docente specializzato nel sostegno, oltre che uno scrittore. Appena uscito il decreto lo ha studiato attentamente, soppesandone gli aspetti positivi e quelli negativi, e per tutti gli aspetti positivi ce ne sono altrettanti negativi. «Esonero vuol dire normalizzare l’esclusione, dobbiamo essere consapevoli di questo», riflette. «Sul gruppo Facebook “Il nuovo insegnante di sostegno” ho messo un post con la mia motivazione da insegnante di sostegno: non esiste niente di così difficile che non possa essere semplificato. Ho avuto pochi commenti, ma alcuni colleghi dicevano “meglio insegnare ad allacciarsi le scarpe piuttosto che convincere a fare matematica”, alcuni genitori dicevano “tanto gli insegnanti di sostegno non sanno semplificare”».

Ma deve esistere sempre un punto di contatto tra quello che fa la classe e le abilità di ciascuno. «Ci sono cinque livelli di aiuto», spiega, con senso pratico, Scataglini. «Il primo è la sostituzione grafica: cambiamo la grandezza dei caratteri, la spaziatura. Il secondo consiste nell’aggiungere strumenti: uno schema in più, un glossario, la spiegazione dei termini, l’evidenziazione nel testo. Il terzo livello sta nella semplificazione: ridurre, riscrivere dal punto di vista linguistico, riassumere. Il quarto è la scomposizione in concetti chiave: qualsiasi argomento scolastico può essere scisso in vari punti, in vari concetti e il punto di contatto va trovato in quei punti. Pensiamo alle scienze dell’alimentazione: uno dei concetti chiave può essere quello degli alimenti; allora togliamo la parte chimica, ma possiamo lavorare sugli alimenti. L’ultimo livello è quello della partecipazione alla cultura del compito, lo stare insieme per respirare quel prodotto, quel risultato, quell’uscita da scuola di tutta la classe, che diventa un aiuto, una risorsa per tutta la classe».

È anche per questo che è necessario il #noesonero. Perché un percorso sull’autonomia all’interno delle discipline scolastiche si può fare.

 

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org

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