PIANO REGIONALE ANTITRATTA: UN BILANCIO, IN ATTESA DI RILANCIARE

Vista la pandemia è stato prolungato fino a fine anno. Buoni i risultati: si punta al nuovo bando

Scadeva a maggio il Piano Regionale Antitratta, ma vista la situazione creatasi con la pandemia, è stato prolungato fino a fine anno. Il progetto, arrivato alla terza edizione e finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva preso avvio nel febbraio 2018, e aveva come obiettivi l’emersione, la prima assistenza e l’inclusione sociale delle persone vittime della tratta nelle sue diverse forme: sessuale, lavorativa e di coinvolgimento in attività illegali. Un intenso lavoro di rete fatto in collaborazione con 12 realtà del Terzo settore impegnate sul territorio, l’Osservatorio regionale per la Sicurezza, la Legalità e la Lotta alla Corruzione e attori istituzionali come Comuni, Asl, Prefetture, Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale di Roma, Centro Giustizia Minori eccetera.

Abbiamo fatto il punto con Ornella Guglielmino, Direttrice regionale per l’Inclusione sociale  della Regione Lazio.

Durante la pandemia alcune associazioni hanno denunciato il fatto che le vittime di tratta erano costrette a lavorare, nonostante il pericolo di contagio. La denuncia però riguardava soprattutto altre regioni. Nel Lazio cosa è successo?

«Nel Lazio l’attività di emersione realizzata attraverso le Unità di Contatto ha svolto durante la fase di emergenza sanitaria una continua attività di monitoraggio, sia delle condizioni lavorative dei braccianti agricoli della provincia di Latina, Viterbo e Roma Capitale (ma in generale anche dei lavoratori di altri settori), sia di quelle legate allo sfruttamento sessuale. Durante il lockdown l’attività è stata svolta telefonicamente e ha previsto sia contatti diretti con utenti incontrati durante le attività progettuali che contatti con attori territoriali privilegiati, quali: responsabili dei centri accoglienza straordinaria, operatori di strada, sindacati etc.).
Le Unità di Contatto hanno svolto una continua attività di monitoraggio. La situazione dei lavoratori, nelle prime settimane di marzo, risultava drammatica: operavano spesso senza dispositivi di sicurezza di prevenzione del COVID-19, non osservavano distanziamento sociale durante le ore di lavoro, ma successivamente la situazione è migliorata. I lavoratori contattati direttamente raccontavano di utilizzare guanti e mascherine, in alcuni casi forniti dal datore di lavoro, in altri personali; alcuni riferivano di aver deciso, in maniera autonoma, di lasciare il lavoro poiché non si sentivano sicuri; i furgoni guidati da caporali sono praticamente scomparsi anche grazie al DPCM,  che vietava gli spostamenti e aumentava i controlli da parte delle forze dell’ordine in strada.
Fermo restando la caratteristica di “invisibilità” del fenomeno e mettendo in conto che le situazioni più gravi potessero risultare difficilmente intercettabili (ad esempio i lavoratori che vivono nelle aziende), dall’attività di monitoraggio è emerso che i cittadini stranieri (in prevalenza richiedenti/titolari di protezione internazionale) inseriti nei circuiti dell’accoglienza sono stati maggiormente tutelati: durante la fase di lockdown l’uscita dai centri è stata prevista solo per coloro che risultavano avere regolare contratto di lavoro in corso. Maggiormente esposti e vulnerabili sono risultati quelli aventi sistemazioni autonome».

La scadenza del piano  regionale antitratta è stata prolungata. È possibile fare un bilancio di quanto è stato fatto fino ad ora?
«Possiamo dire che gli obiettivi progettuali sono stati perseguiti e i risultati attesi complessivamente raggiunti. La pandemia, inevitabilmente, ha comportato una riduzione dell’attività di emersione/identificazione, impedito nuovi ingressi in accoglienza residenziale e determinato la sospensione dei tirocini formativi avviati, anche se la presa in carico delle persone è proseguita, nel rispetto della tutela della salute delle stesse e degli operatori. Si è provveduto a rimodulare le attività e cercato di dare risposte immediate ai nuovi bisogni emersi dai target di riferimento quali, beni di prima necessità alimentari e/o sanitari».

Possiamo dire che la rete territoriale è uscita rafforzata, in questo periodo?
«Il nostro Piano Regionale Antitratta ha una rete territoriale pubblico-privato sociale stabile, consolidata negli anni. La pandemia non sembra aver influito significativamente nei rapporti istituzionali e con il terzo settore, piuttosto sembra averli confermarli».

Non sempre collaborazione e lavoro di rete sono semplici soprattutto con una realtà complessa e a volte frammentata come il terzo settore. Come è stata la collaborazione in questi anni?
«Il nostro progetto è alla sua terza edizione ed è il risultato di un percorso di coprogettazione pubblico-terzo settore, che ha coinvolto, oltre alla Regione Lazio (capofila di progetto) e ad altri soggetti istituzionali, la rete degli enti attuatori, soggetti privati iscritti nell’apposita sezione del Registro delle associazioni e degli enti, di cui all’art.52, comma 1, lett. b) del DPR n.394/99 e s.m.i., aventi sede legale e operativa nel Lazio anche nella definizione delle azioni e delle linee di intervento progettuali per il raggiungimento degli obiettivi.
Il coinvolgimento degli enti attuatori è stato effettivo e concreto e, grazie alla regia della Regione, è stato possibile avviare un processo di condivisione e di contaminazione degli approcci e delle metodologie adottate da ciascun soggetto. Il processo non si è dimostrato sempre facile, per l’eterogeneità delle “vision”, delle storie associative e delle esperienze maturate da ciascun soggetto privato. Ha richiesto una riflessione costante sul fenomeno, sul lavoro multi-agenzia, sul sistema degli interventi posti in essere e sui risultati raggiunti, sulle metodologie adottate, oltre ad una faticosa rivisitazione delle posizioni di ciascuno rispetto al tema, alla rete degli attuatori e territoriale. Ha necessitato, inoltre, di un lavoro costante e partecipato di coinvolgimento e redistribuzione delle responsabilità agli altri attori locali che interfacciano il fenomeno della tratta nel territorio regionale.
Nonostante gli anni di lavoro comune, si può dire che il processo sia solo in fase di avvio, tuttavia, ha consentito lo sviluppo e il riconoscimento di uno spazio di confronto effettivo tra l’Amministrazione regionale e i soggetti del terzo settore e tra gli stessi».

Che cosa succederà dopo il 31 dicembre, data in cui scadrà il piano regionale antitratta? C’è qualche proposta per il futuro?
«La Regione Lazio intende continuare a concorrere alla realizzazione del programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale a favore delle vittime di tratta e di grave sfruttamento degli esseri umani, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Parteciperemo, pertanto, al Bando che si prevede sarà emanato nei prossimi mesi, per garantire continuità alle azioni di contrasto al fenomeno e di tutela delle vittime svolte finora e valuteremo di introdurre, seppur con molta cautela, alcune buone prassi, sulla base dell’esperienza fatta durante la pandemia e delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie».

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