IL RAZZISMO SUL WEB CRESCE. MA L’ODIO NON È UN’OPINIONE

Presentata da Cospe una ricerca sull’odio razziale online. Mentre sta per partire la campagna europea "Silence hate"

L’odio in rete aumenta. Nell’arena digitale dei social network (Facebook e Twitter soprattutto) e delle testate giornalistiche, vediamo un crescente incitamento all’odio razziale.
Cospe, Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti, ha realizzato una ricerca nell’ambito del progetto europeo BRIKCS – Building Respect on the Internet by Combating hate Speech, contro il razzismo e la discriminazione sul web. L’obiettivo è di approfondire il fenomeno dell’hate speech online verso migranti, rifugiati e minoranze, attraverso un analisi di casi studio e interviste a testate.
La ricerca, denominata “L’odio non è un’opinione. Hate speech, giornalismo e migrazioni”, si è basata sul monitoraggio delle testate giornalistiche web italiane e dei commenti dei lettori ad articoli direttamente o indirettamente relativi al fenomeno migratorio.

I commentatori intolleranti

Nel 2014, l’Unar aveva già riscontrato 347 casi di espressioni discriminanti, di cui 185 su Facebook e il restante su Twitter e Youtube. Si devono anche aggiungere 326 segnalazioni nei link che le rilanciano, per un totale di 700 episodi denunciati di intolleranza.
Nel 2015, con la grande crisi umanitaria che coinvolge i rifugiati in Europa, i numeri sono in crescita.
Cospe, con la sua ricerca durata 6 mesi, ha coinvolto attorno al tema dell’odio in rete 4 direttori e caporedattori (“Fanpage”, “Il Tirreno”, “l’Espresso e il Post”), 3 staff di community management (“Il Fatto quotidiano”, “Repubblica”, “La Stampa”), 3 esperti di social media strategy, 3 blogger di testate nazionali, 2 associazioni che si occupano di immigrazione (Carta di Roma e Ansi) e 2 organismi pubblici di tutela (Unar e Oscad).
Dalla ricerca è emerso che le testate, nonostante abbiamo un codice deontologico (Carta di Roma) a cui far riferimento, fanno un uso limitato degli strumenti di moderazione. I commenti riportati , ai margini degli articoli, provengono da autori che vogliono esternare un’emozione o che vogliono prender parte ad una conversazione.
Dall’analisi dei discorsi d’odio razzista si possono anche individuare tre “profili” di commentatori diversi: i rassegnati, coloro che sono delusi dal sistema (Paese) che non migliora; gli arrabbiati che con spirito polemico si sfogano verso le istituzioni; gli aggressivi, coloro che usano solo un comportamento verbale denigrante e offensivo.

La campagna europea contro il razzismo sul web

Solo una parte del mondo del giornalismo ha capito che non è giusto dare spazio al discorso dell’odio, sottolinea la Segretaria Nazionale ANSI (Associazione Stampa Interculturale), ognuno deve fare il proprio lavoro su questo, a partire dal singolo giornalista nello scrivere un articolo.
razzismo sul webTutti i collaboratori della ricerca hanno evidenziato la necessità di un ripensamento radicale del lavoro giornalistico, che non si concluda con la diffusione del pezzo, ma che prosegua con i commenti generati. È necessaria una social media policy più attiva e una regolamentazione dei commenti online più moderata. Il web non è uno spazio al di fuori delle leggi, bisogna solo contrastare i discorsi d’odio usando termini di rispetto dell’individuo, di eguaglianza e di libertà. Il 21 marzo, giornata mondiale contro il razzismo, prenderà il via con lo slogan “Silence hate – Changing words changes the world” e l’hashtag #silencehate, la campagna europea contro l’hate speech on line. L’obiettivo della campagna web è porre l’attenzione sulla necessità di impedire la diffusione dell’odio e promuovere un uso consapevole della rete.

Contro il razzismo sul web, anche il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, nel 2014, ha aderito alla campagna No Hate Speech, diffondendo su Facebook  lo spot Istituzionale NoHate Movement Italia.

 

IL RAZZISMO SUL WEB CRESCE. MA L’ODIO NON È UN’OPINIONE

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