REGOLARE GLI IMMIGRATI IRREGOLARI, CI FA BENE

Lo sostiene Massimo Livi Bacci, demografo ed esperto di immigrazione. La proposta: a tutti un permesso di soggiorno temporaneo.

Massimo Livi Bacci, già senatore Pd per due legislature, è uno dei più autorevoli demografi italiani. Grande esperto di immigrazione – uno dei temi di approfondimento del suo Think Thank riunito attorno al sito www. neodemos.info – è membro dell’Accademia dei Lincei e della Commissione Covid-19, che l’Accademia ha istituito di recente per esprimersi con documenti specifici su temi cruciali per il Paese attraversato dalla pandemia. Tra questi c’è l’immigrazione irregolare. Ha accettato di parlarne con Reti Solidali.

 

Massimo Livi Bacci

Professore, perché i Lincei hanno ritenuto di far rientrare nelle analisi l’immigrazione irregolare, rispetto alla quale, peraltro, sottolineate che andrebbe affrontata “senza l’incalzare delle urgenze e delle emergenze”?
«Si dice, ed è vero, che la pandemia di cui soffre l’Italia, e buona parte del mondo, non conosce né confini né barriere. Tuttavia, quando il virus si diffonde, lo fa in maniera diseguale, perché le barriere sociali ne facilitano la diffusione nei settori più disagiati e meno protetti. È questo il caso degli immigrati irregolari, che serie stime indicavano, un paio di anni fa, attorno alle 600.000 unità, presumibilmente aumentate dopo gli interventi normativi del precedente governo giallo-verde. Ciò detto, si tratta di una questione che andrebbe affrontata in modo strutturale, a prescindere dal Coronavirus».

Il Covid-19, scrivete, pone in particolare due questioni, una di natura sanitaria e una di tipo economico. Partiamo da quella sanitaria.
«Mi permetta una premessa: quasi tutti i sistemi sanitari europei hanno natura universalistica, e questo è un buon baluardo per difendersi dall’epidemia, sia nell’attuale fase acuta, sia nelle fasi successive, quando dovremo convivere col virus fino all’introduzione di eventuali vaccini. Tuttavia molti immigrati irregolari non si avvalgono del sistema, per il timore di essere individuati e sottoposti alle procedure di espulsione. Magari si rivolgono ai presidi del volontariato, non attrezzati per individuare la positività del contagiato. Inoltre le condizioni di vita, nelle baraccopoli, in casamenti occupati, in edifici industriali dismessi e comunque in spazi sovraffollati e privi di igiene, li pongono a rischio di contagio e li rendono veicoli di diffusione di questo. E poiché il tracciamento dei positivi, il loro isolamento, e la loro cura precoce saranno necessari per controllare la diffusione del virus ed evitare la nascita di nuovi focolai, ne risulta che quelle degli irregolari sono le comunità più a rischio. Rischio passivo, di contrarre il virus e di non essere curati in modo adeguato. Rischio attivo, di diffonderlo».

C’è poi la dimensione più strettamente economica. La ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova ha lanciato l’allarme: mancheranno oltre 300mila braccianti per il lavoro nei campi, dove si stima che siano in almeno 200mila a lavorare in nero, spesso sfruttati. In che modo si dovrebbe intervenire?
«In tempi normali, i decreti flussi riservati agli stagionali sono un modo di rispondere alle punte di domanda di lavoro in agricoltura e in altre attività. Tuttavia questo strumento è del tutto insufficiente. Nel medio-lungo periodo l’emersione delle attività “al nero”, che sono le calamite dell’immigrazione irregolare, è l’unica via di uscita. Più volte imboccata, quasi sempre con risultati insoddisfacenti».

Proprio per ovviare alla carenza di manodopera nei campi il governo ha in mente un decreto per la regolarizzazione dei migranti in agricoltura. Pensa sia una soluzione sufficiente? Molte associazioni chiedono un’estensione anche ad altri settori in cui sono impiegati i migranti, come, per esempio, quello del ser-vizio alla persona.
«È una risposta molto sensata per aggredire il problema. Ma ritengo anche che un provvedimento del genere dovrebbe essere esteso alle altre attività, anch’esse penalizzate dal blocco della mobilità internazionale. Molte colf e badanti regolari hanno preferito rientrare in patria dai loro congiunti nei Paesi dell’est europeo, e penso che questo sia avvenuto anche in altri settori, lasciando sguarniti del loro sostegno molte famiglie e piccole imprese. Attenzione, però: gli immigrati irregolari che non troveranno né l’imprenditore, né la famiglia disponibili ad offrire un contratto regolare resteranno esclusi, nell’ombra, continuando a restare un problema per la sicurezza sanitaria e una questione sociale importante. Sarebbe saggio allora fare emergere tutti (salvo, naturalmente, chi ha conti aperti con la giustizia), con permessi di soggiorno temporanei. Tutti dovrebbero essere individuabili e rintracciabili».

Il presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Giuseppe Brescia (M5S), di recente ha ventilato la possibilità che in autunno si possa lavorare a una revisione del decreto flussi che preveda la reintroduzione dei permessi di soggiorno per ricerca di lavoro. Un dé jà vu. Sarebbe d’accordo?
«Sì, ma a due condizioni. La prima è che una misura del genere faccia parte di un ridisegno generale della nostra politica per l’immigrazione, il cui impianto risale agli anni ’90, quando i flussi migratori, in entrata o in uscita, erano di qualche decine di migliaia di persone. Oggi si tratta di centinaia di migliaia, e di 6 milioni di stranieri che vivono nel paese. La seconda condizione è che ci siano forti garanzie da parte degli eventuali sponsor del migrante che arriva alla ricerca del lavoro».

 

ius culturae
(foto da www.italianisenzacittadinanza.it)

Non trova che in una società come quella italiana la presenza di così tanti irregolari che vivono in condizioni di forte esclusione e marginalizzazione sociale sia non solo disumana, ma anche controproducente?
«Una seria indagine, riferita al 2017, stimava il numero degli immigrati irregolari in Europa tra i 4 e i 5 milioni, e in Italia tra 500 e 700mila. L’incidenza sulla popolazione, meno dell’1%, è dunque in linea con l’Europa. Ma questo non mi consola, perché credo che una società funzionante non debba ammettere la presenza di una collettività, tra l’altro in crescita numerica, giuridicamente esclusa e socialmente emarginata, come è quella degli immigrati irregolari. Ne soffre quella coesione nazionale, già compromessa dalle crescenti disuguaglianze, che è un pilastro sul quale poggia la convivenza civile».

Lei è da sempre un sostenitore dello ius soli. Perché è importante che ci si arrivi?
«Al termine della scorsa legislatura eravamo a un passo dall’approvazione di una buona legge affossata poi da meschini calcoli politici. Per un Paese come il nostro, debolissimo sotto il profilo demografico, l’immigrazione è un beneficio e una necessità. Soprattutto quell’immigrazione che non è solo una “protesi” del sistema economico, ma che mette vitali radici nella società. Lo ius soli o, meglio, lo ius culturae, aiuta il radicamento positivo: per l’immigrato e per la società che lo accoglie. Mi auguro davvero che ci si arrivi presto. I tempi sono maturi».

Potete leggere il testo integrale del documento qui.

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