PAROLE FEMMINILI: NON ABBIATE PAURA A USARLE

Vocabolaria è un progetto per contrastare gli stereotipi a partire dal linguaggio

Realizzato dall’associazione culturale Piano F con il finanziamento della Regione Lazio, Vocabolaria vuole contribuire a superare il sessismo linguistico che alimenta forme di discriminazione sociale e cancellazione culturale delle donne. Un poster pieghevole e un ebook affrontano in 14 schede i dubbi e i problemi più comuni, che nascono quando si tratta di “dire la differenza”, cioè di parlare di donne e uomini con chiarezza, usando semplicemente le regole di funzionamento della lingua italiana.

«Vocabolaria nasce dall’attenzione al linguaggio che è nella natura di Piano F. La nostra associazione nasce proprio con l’obiettivo di decostruire e contrastare gli stereotipi, proponendo nuove immagini e narrazioni delle differenze”, dice Giorgia Serughetti, autrice di Vocabolaria insieme a Cristina Biasini e Carlotta Cerquetti, e ricercatrice all’università di Milano-Bicocca.

Un problema di cultura, non di linguaggio

«Il problema che abbiamo voluto affrontare è quello del sessismo linguistico, che non è stato scoperto oggi né è stato scoperto da noi. Le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini risalgono a trent’anni fa, furono commissionate dall’allora Presidenza del Consiglio dei Ministri e ancora fanno parte dei testi per la formazione della Pubblica Amministrazione. Ma è evidente che non sono stati fatti molti passi avanti in questi decenni nella capacità di “dire la differenza’”, cioè di usare il femminile per i ruoli e le cariche che le donne hanno cominciato a rivestire in un’epoca relativamente recente, soprattutto in politica, nella magistratura, nelle libere professioni. Per tutti i ruoli che sono stati tradizionalmente maschili, e che sono considerati di un certo prestigio, la tendenza è a nominare anche le donne al maschile: l’architetto Maria Rossi o l’avvocato, il sindaco, il presidente, l’assessore, il giudice», afferma l’autrice. «Quello che abbiamo fatto con Vocabolaria non è stato inventare nuove regole o imporre forme grammaticali “nuove”, abbiamo invece fatto riferimento alle possibilità che già esistono nella lingua italiana, che prevede la declinazione al femminile di tutte queste parole e molte altre. Il messaggio principale che vogliamo far passare è: non abbiate paura ad usare il femminile per parlare delle donne, perché forme come ministra, sindaca, rettrice, primaria, avvocata non contraddicono alcuna regola della nostra lingua, sono tutti usi regolari del genere grammaticale. Se le parole al femminile “suonano male”, come spesso si sente dire, il problema non è nella lingua ma nella cultura, nella scarsa abitudine che abbiamo a utilizzare queste parole per nominare le donne, quindi in fondo negli stereotipi di genere», continua Serughetti.

Dioguardi vocabolaria 2
Cecilia D’Elia, Giorgia Serughetti, Roberta Carlini, Cristina Biasini

Dire le cose come stanno

Vocabolaria invita a “usare le parole giuste”, dato che il “problema non è nella lingua ma nel modo in cui la usiamo”. Cosa può fare nella vita quotidiana ognuno di noi (sul lavoro, a casa con i figli, nella vita sociale)? «Vocabolaria punta a dire le cose come stanno. Si può imparare a usare i femminili senza timore di sbagliare, quando si parla e quando si scrive. Tutti e tutte noi possiamo diffonderne l’uso. I cambiamenti nella lingua sono lenti, non avvengono per imposizione dall’alto, ma questi cambiamenti si possono sostenere e accelerare. Noi lo facciamo con Vocabolaria rassicurando chi ci legge, facendo capire che stiamo parlando di forme corrette, che non violano nessuna regola della grammatica, e inoltre che nominare il femminile è importante per far esistere le donne, per non cancellarle linguisticamente. Le donne che rivestono alcuni ruoli – come quelli di ministra, assessora, presidente, rettrice – dovrebbero fare la loro parte chiedendo di essere chiamate al femminile», sostiene l’autrice.

Cominciare dalle scuole

Nelle scuole sarebbe importante proporre l’uso dei femminili a bambini e bambine, fin da quando imparano il genere grammaticale. «Loro certamente non farebbero nessuna resistenza a dire “sindaca” se solo la maestra o il libro di testo proponessero l’immagine di una donna che amministra la città! Quindi può essere un compito svolto dalle insegnanti, ma ancora più importante sarebbe che i libri di testo delle scuole dessero conto di queste possibilità della lingua, anche proponendo ruoli nuovi per le donne, oltre quelli tradizionali legati alla cura, alla cucina eccetera», dice Serughetti.
Vocabolaria è diffuso, per cominciare, nelle scuole della Regione Lazio e nelle biblioteche. «Ma siamo disponibili a parlarne e a farlo circolare in tutti i luoghi dove si fa cultura, in cui si scrive, si parla, si legge, incluse le redazioni dei giornali, le fondazioni culturali, le università… Le prime presentazioni sono state partecipate e vive. Un aspetto che viene generalmente apprezzato è che Vocabolaria si fondi sul semplice principio di applicare le regole dell’italiano, senza alcun carico ideologico. Poi il poster è semplice da consultare, leggero, ed è gratuito. Abbiamo ricevuto perciò numerose richieste per sapere come averlo e distribuirlo».

Il ministro, la ministro o la ministra?

In una delle 14 schede di Vocabolaria si legge: «Ministro, come sindaco o postino, è un nome che forma il maschile in –o e il femminile in –a. Nessun problema quindi: il femminile è ministra. Eppure può capitare di sentire frasi come “il ministro è incinta”, che violano la regola grammaticale della concordanza di genere e che hanno un effetto di senso paradossale: il ministro fa pensare a un uomo ma ‘incinta’ può essere soltanto una donna! Allo stesso modo diremo: sindaca, deputata, notaia, chirurga, commissaria ecc. Proprio come postina, maestra, cuoca eccetera».
Recentemente l’invito a declinare le parole al femminile è arrivato, con veemenza, dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha ricordato quanto discriminazioni e parole siano legatissime. L’iniziativa Vocabolaria traduce in buone pratiche il principio: speriamo che sia solo l’inizio di una lunga serie di progetti.

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