
COMUNITÀ EDUCANTI. LA SFIDA È COSTRUIRE SOSTENIBILE E CON CONTINUITÀ
Come le comunità educanti superano la fine dei progetti? Che cosa c’è e cosa servirebbe per dare seguito ai percorsi avviati sui territori? Una riflessione su ciò che, al di là delle differenze, accomuna la grande varietà di ecosistemi in continuo movimento che sono le comunità educanti a Roma
04 Giugno 2025
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«Per costruire una comunità educante basta una scuola, una piazza, un gruppo di genitori e una libreria di quartiere, una polisportiva o, perché no?, anche un’edicola». Così Marta Alice Mosiello, presidente dell’Associazione Genitori 303 e animatrice per Roma della Rete Sap (Scuole Aperte e Partecipate) descrive gli ingredienti di una comunità educante: quell’insieme di famiglie, organizzazioni della società civile, istituzioni, associazioni culturali e sportive, università, aziende e parrocchie che, su un territorio, uniscono le forze per accompagnare le nuove generazioni nel loro percorso di crescita, e non soltanto di istruzione. Perché, al di là delle definizioni, quella delle comunità educanti è una realtà molto eterogenea e frastagliata, che nella maggior parte dei casi nasce dal basso, a volte senza neppure la piena consapevolezza di essere quello che è.
La spinta dell’impresa sociale Con I Bambini sulle realtà romane
Nel 2021, grazie a un bando dell’impresa sociale Con i Bambini realizzato con l’obiettivo di rafforzare o creare comunità educanti, a Roma ne sono nate una decina, al fianco di altre formalizzate e non. «I progetti sono partiti ufficialmente nel 2023, ma per molto tempo ogni comunità educante è andata avanti per conto proprio», racconta Yasmin Abo Loha, segretaria generale di Ecpat Italia e rappresentante di Forum SaD, capofila del progetto Peer Sharing Comunità educante diffusa, avviato nel settimo Municipio grazie al bando di Con i Bambini. A maggio scorso venti comunità educanti attive a Roma hanno promosso un incontro – realizzato da CSV Lazio in collaborazione con Roma Tre – tappa importante in un percorso condiviso che, in un anno, le ha unite attorno a riflessioni comuni, questioni aperte, criticità, obiettivi futuri, nel quale CSV Lazio sostiene gli oltre trenta Enti del Terzo settore voce delle venti comunità educanti, solo tra quelle più strutturate. «L’iniziativa prevedeva il coinvolgimento di enti del Terzo settore e Municipi, ma ha dovuto fare i conti con un cambio politico radicale», precisa Abo Loha: «i progetti sono stati scritti sotto una giunta, ma realizzati in quasi tutti i casi sotto un’altra. Questo ha provocato ritardi, discontinuità istituzionale e difficoltà operative, soprattutto nella fase di avvio».

La sostenibilità e l’importanza della fiducia
Così, ora che i progetti sono tutti vicini alla conclusione la sfida principale riguarda la sostenibilità, non solo economica ma soprattutto politica. «Se non si trovano strumenti strutturali e continuità di visione, si rischia di smantellare quanto costruito», prosegue la segretaria generale di Ecpat. «Le comunità educanti nate con questi progetti, ma anche tutte le altre sorte spontaneamente, hanno bisogno di spazi per continuare a esistere». L’interruzione dei progetti, secondo la rappresentante di Forum SaD, avrebbe un impatto particolarmente devastante su una questione delicata e sensibile come la fiducia nei confronti delle istituzioni e delle organizzazioni civiche. Nei territori più segnati dalla povertà educativa, ogni nuova iniziativa parte in salita. Spesso c’è scetticismo e rassegnazione. «Quando ha inizio un progetto, la prima reazione è spesso di diffidenza», prosegue Abo Loha: «chi vive in certe realtà ha visto troppi tentativi fallire per credere davvero che qualcosa possa cambiare. Ma il vero nodo arriva alla fine. Quelli che chiamiamo “progetti” e che sono in realtà processi complessi, generano relazioni, fiducia e, soprattutto, aspettative. E quando terminano senza una continuità concreta, lasciano dietro di sé non solo un vuoto operativo, ma anche una frattura. Chi lavora sul campo lo sa: ogni volta che ci si ritira, si rischia di deludere le comunità più fragili, esattamente come hanno fatto in passato altre iniziative abbandonate a metà. E ricostruire, ogni volta, diventa è più difficile».
La comunità educante: una realtà in continuo movimento
La situazione è resa più complessa dalla pluralità delle esperienze, che riflettono le diversità non solo tra i 15 Municipi, ma anche tra i singoli quartieri. Nei fatti ogni comunità educante è un mondo a sé con differenze di approccio, formalizzazione e grado di partecipazione che impongono una visione plurale e flessibile del fenomeno. «Non possiamo parlare di una comunità educante, ma di comunità educanti», ricorda Abo Loha. «Per popolazione ed estensione il settimo Municipio è pari alla quarta città italiana», aggiunge Mosiello. «E all’interno di esso ci sono ben 15 quartieri. Pur facendo parte dello stesso Municipio, come si fa a paragonare la zona dell’Appio Latino con quella della Romanina, situata a ridosso del Grande Raccordo Anulare? Noi abbiamo stabilito rapporti con le principali realtà del territorio, dal Centro interculturale giovanile di zona al Centro antiviolenza Lucha y Siesta, dal Centro famiglie Nuovi legami al Comitato del Parco della Caffarella. Con il Comitato del Parco della Caffarella abbiamo anche partecipato ai bandi della Tavola Valdese e ora intendiamo partecipare al bando Scuole aperte di Roma Capitale con altre realtà della nostra rete. Siamo in continuo movimento».
Cosa voglia dire esattamente essere in movimento lo spiega bene Sara Baglivi, educatrice e formatrice di Cemea del Mezzogiorno: «La comunità educante è un corpo che cambia costantemente, perché si modifica e si arricchisce di nuovi attori. È un organismo in continua mutazione verso un futuro che non può prevedere esattamente come sarà fatto, allo stesso modo in cui non puoi prevedere cosa diventerà un bambino o una bambina appena nati. Anche una volta formalizzata, il patto di comunità resta in movimento, si evolve continuamente come le parti che lo compongono».

Il sostegno strutturale e il ruolo della scuola
La ricchezza di questo vivace ecosistema risente però di quella mancanza di sostegno strutturale, che rischia di disperdere un patrimonio di collaborazioni nate, appunto, dal basso. «Spesso mancano i patti educativi territoriali e i patti di comunità di cui le nostre realtà avrebbero bisogno come il pane, ma su questo i Municipi non sono tutti allineati», insiste Mosiello. «I patti generici non servono a nulla, ci vogliono patti “sartoriali” fatti su misura, ne occorrerebbe uno per scuola». Uno dei nodi più discussi è, infine, il ruolo della scuola. Anche qui le esperienze sono variegate, ma troppo spesso, i dirigenti scolastici restano chiusi in sé stessi e non concedono spazi all’interno degli istituti. Inoltre, non partecipano ai tavoli istituzionali, lasciando un vuoto proprio nel luogo che dovrebbe essere centrale nel processo educativo. «Il punto è capire se la comunità scolastica fa davvero parte della comunità educante o se continua a muoversi su un binario parallelo», spiega Abo Loha. «Serve aprire un dialogo concreto, superare le chiusure e spingere i dirigenti scolastici a partecipare attivamente». Il tema delle “scuole aperte” non è solo simbolico, conclude: «Bisogna fare in modo che il territorio entri nella scuola e la scuola esca sul territorio».
