
DAL TUFELLO A OSTIA LA POVERTÀ ALIMENTARE COLPISCE PIÙ DI 1 ROMANO SU 5
Approvata dal Comune di Roma, primo in Italia, una delibera per la prevenzione e il contrasto alla povertà alimentare, frutto della collaborazione con il Consiglio del Cibo, che riunisce 147 organizzazioni per una food policy per la città. Sara Fiordaliso: «Previsti nuovi empori solidali e il progetto delle Case del Cibo, che potranno ospitare anche altri servizi»
17 Dicembre 2025
10 MINUTI di lettura
ASCOLTA L'ARTICOLO
Più di un romano su 5 vive in condizioni di povertà alimentare. Che non vuol dire soffrire la fame in senso stretto, ma trovarsi nell’impossibilità di avere accesso a una dieta sana e adeguata. In altre parole significa mangiare poco o troppo, ma soprattutto male e senza poter scegliere cosa mettere nel piatto. In alcuni casi la mancanza di autodeterminazione si concretizza in un frigo mezzo vuoto oppure nella necessità di bussare alla porta di una parrocchia per chiedere un pacco alimentare. Ma anche nell’acquisto, quasi esclusivo, di cibo in offerta al supermercato o nel non avere abbastanza soldi per mandare i propri figli a mangiare la pizza con i compagni di classe. «Nella Capitale la povertà alimentare non è un’emergenza improvvisa, ma una condizione che si è ampliata negli ultimi anni e che coinvolge migliaia di persone», spiega Francesca Benedetta Felici, antropologa e ricercatrice del Cursa, il Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e per l’ambiente che ospita al suo interno un Osservatorio sull’insicurezza e la povertà alimentare, che si occupa di misurare il fenomeno e le politiche in atto per contrastarlo. «La questione è emersa con la pandemia, quando la crisi economica legata al Covid-19, la perdita di lavoro e l’aumento dei prezzi hanno reso evidente un problema che esisteva già, ma di cui si parlava ancora poco».

A Roma il 5,5% della popolazione riceve aiuti alimentari
Secondo un recente Report del Cursa sullo stato della povertà alimentare nella città metropolitana di Roma Capitale nel contesto italiano, nel nostro Paese il 5,6% della popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare. Parliamo di quasi 3 milioni di persone, l’equivalente degli abitanti di una regione come la Toscana. Guardando più da vicino la citta di Roma, scopriamo che l’ultimo anno ha visto un leggero miglioramento della situazione: nel 2024 il numero dei romani in condizione di insicurezza alimentare moderata o grave si è ridotto al 4,3% del totale rispetto al 5,6% registrato nel periodo 2021-2024. Non c’è da essere troppo ottimisti, però, perché oggi nella Capitale il 5,5% della popolazione riceve aiuti alimentari, grazie all’intervento di 422 enti del Terzo settore che assistono oltre 152mila beneficiari. La povertà alimentare non colpisce in modo uniforme il territorio cittadino. Le aree più fragili si concentrano nella zona Est, in particolare a Tor Bella Monaca, ma riguardano anche Ostia e alcune parti del quadrante Nord, come il Tufello. A questo si aggiunge un ulteriore elemento critico: più di un abitante su tre vive nei cosiddetti “deserti alimentari”, dove per raggiungere un punto vendita è necessario percorrere più di un chilometro, mentre un altro terzo abbondante risiede nei “deserti solidali”, aree in cui la presenza di aiuti alimentari è scarsa se non inesistente. Infatti, la stragrande maggioranza degli 815 interventi di solidarietà alimentare censiti dal Report – tra mense sociali, empori solidali e distribuzione di pacchi viveri – si concentra nel centro della città «creando un pendolarismo forzato dei beneficiari, che devono spostarsi per ricevere sostegno», puntualizza la ricercatrice.
Povertà alimentare, non solo una questione economica
A Roma, come nel resto del Paese, la povertà alimentare colpisce in modo diseguale, pesando soprattutto sulle famiglie numerose, sui nuclei monogenitoriali e sugli anziani. Ma non si tratta soltanto di una questione di scarsità di risorse. «È un fenomeno multidimensionale», sottolinea Felici. «La dimensione economica è centrale, perché riguarda redditi e prezzi. I cibi più sani e sostenibili sono spesso anche quelli che costano di più, mentre quelli più economici sono spesso prodotti in modo insostenibile e di qualità più bassa». Inoltre, chi vive in povertà alimentare spesso sperimenta anche altre forme di povertà, da quella abitativa a quella educativa. «Esiste poi una dimensione legata al luogo in cui vivi e alla possibilità di accedere a cibi freschi e di qualità», prosegue la rappresentante del Cursa, «così come una dimensione sociale, che ha a che fare con le reti di relazioni». La povertà alimentare, infatti, è anche esclusione sociale: «Soprattutto per i più giovani non potersi permettere un aperitivo o una cena fuori significa essere esclusi dai momenti di socialità. A questo si aggiungono la preoccupazione costante e la vergogna di ritirare un pacco alimentare. Il cibo, del resto, è identità, cultura, relazione».
Il Consiglio del Cibo e la delibera per la prevenzione e il contrasto della povertà alimentare
Nelle scorse settimane, il Comune di Roma, primo in tutta Italia, ha approvato all’unanimità una delibera per la prevenzione e il contrasto alla povertà alimentare. Il provvedimento, che mette a sistema la collaborazione tra l’amministrazione e il Terzo settore, segna anche un successo per il Consiglio del Cibo: la Consulta cittadina nata nel 2021 e operativa dal 2023, che riunisce 147 realtà del Terzo settore con l’obiettivo di dotare la città di una food policy. Il Consiglio del Cibo «è stato uno spazio prezioso nato dal basso, che mette a confronto realtà molto diverse tra loro, come Caritas, Banco Alimentare e Croce Rossa», spiega Sara Fiordaliso, attivista di Nonna Roma e coordinatrice, insieme a Francesca Benedetta Felici, del Tavolo contrasto alla povertà alimentare del Consiglio del Cibo, uno degli otto tavoli tematici che compongono la Consulta. «Il vero valore aggiunto, però, è quello di essere un organo riconosciuto dalla stessa amministrazione comunale, il cui risultato più visibile è stato, appunto la delibera n. 271, che riprende in modo fedele le nostre proposte», chiarisce Fiordaliso. Ad accelerare il confronto ha contribuito anche la crisi del 2024 legata alla riduzione degli aiuti europei del Programma FSE+, che ha messo a dura prova sia le organizzazioni che i beneficiari. «Finora le organizzazioni hanno operato in assenza di una cornice pubblica chiara», sottolinea l’attivista. «Utilizziamo in gran parte aiuti europei e sperimentiamo pratiche dal basso, ma senza una strategia complessiva, risorse strutturali e capacità di programmazione è difficile coprire tutta le città». La delibera può cambiare effettivamente lo scenario, prevedendo tra le azioni da effettuare una mappatura delle organizzazioni attive sul territorio, il rafforzamento e l’innovazione degli empori solidali, il miglioramento della qualità del cibo e dell’offerta complessiva. È prevista, in particolare, l’apertura di nuovi empori nei territori che ne sono sprovvisti e la loro trasformazione in veri e propri “hub del cibo”, aperti e accessibili a tutti. «Gli empori possono diventare luoghi meno stigmatizzanti, dove si sperimentano anche cucine collettive e nuovi modelli di distribuzione che mettono al centro la scelta e la dignità delle persone», precisa Fiordaliso. All’interno di questo quadro si inserisce anche il progetto delle Case del Cibo. «È un’idea che attraversa tutti i tavoli del Consiglio», dice ancora. «Gli empori solidali rinnovati saranno i primi hub di sperimentazione, ma le Case del Cibo potranno ospitare anche altri servizi, dalla gestione degli sprechi alimentari ai gruppi di acquisto solidale, fino alla vendita di prodotti a chilometro zero».

Vivere la povertà alimentare al Tufello, un Report dell’associazione Terra!
Un contributo per comprendere meglio cosa significhi vivere in condizioni di insicurezza alimentare nella Roma di oggi arriva dal Report dell’associazione ambientalista Terra! Quando il cibo non basta – Vivere la povertà alimentare al Tufello tra cura, solitudine e rinunce. L’indagine si concentra sul Municipio III, e in particolare nel quartiere del Tufello, un territorio caratterizzato da una popolazione anziana (oltre un quarto dei residenti ha più di 65 anni), da una forte presenza di nuclei monofamiliari, da una quota significativa di cittadini di origine straniera e da una dispersione scolastica in crescita. Basata su un’indagine qualitativa condotta nel maggio 2025 tra le persone che frequentano l’emporio solidale Astra, l’analisi racconta di donne che rinunciano al piacere di cucinare, anziani che non possono invitare nessuno a pranzo, adolescenti costretti a ridimensionare desideri e richieste. «Per mangiare bene devi avere uno stipendio alto», dice una donna. «Mi vergognavo… io sono giovane, devo andare a chiedere la roba?», aggiunge un’altra. In età avanzata, poi, la solitudine può alterare i ritmi della vita quotidiana e la povertà alimentare non riguarda soltanto ciò che c’è nel piatto: «Quando si è soli passa la voglia di mangiare», afferma una delle persone anziane che hanno preso parte all’indagine. E un’altra confida: «Sarebbe bello preparare anche pasta e zucchine a mia figlia, con una persona che mi capirebbe». Per gli adolescenti, infine, la povertà alimentare agisce come marcatore silenzioso di disuguaglianze, limitando la partecipazione sociale e la possibilità di sentirsi parte del gruppo. Così, espressioni come «Mi arrangio», «Non lo chiedo più» o «Mangiamo sempre le stesse cose», parlano di rinunce interiorizzate e di un’autonomia spesso solitaria, costruita più per necessità che per scelta.
«Occuparsi di povertà alimentare significa intrecciare due piani che il più delle volte restano separati: trasformare il modello agroindustriale e tutelare i diritti delle persone», commenta Eleonora Cavallari, condirettrice di Terra!. «Ecco perché un’associazione ambientalista come la nostra, impegnata nella transizione ecologica dei sistemi alimentari, non può limitarsi a leggere la povertà alimentare come un’emergenza ma deve dare il proprio contributo nella costruzione di risposte strutturali. Nei grandi centri urbani, come Roma, sono molte le realtà che sperimentano pratiche di aiuto alimentare e che si interrogano su come superare la logica assistenziale», continua Cavallari. «Tuttavia, in assenza di una visione e di una regia nazionale, che riconosca il diritto al cibo come parte integrante delle politiche pubbliche, il contrasto alla povertà alimentare resta affidato a iniziative frammentate. È anche per questo che riteniamo necessario partecipare a forme di governance collaborativa nate a livello locale, come il Consiglio del Cibo».
Generazione cibo e l’impegno per rendere sostenibili i sistemi alimentari
E di food policy si è parlato anche lo scorso 14 novembre a Roma, nel corso della giornata conclusiva del progetto di Terra! Generazione cibo – Cittadinanza attiva per i sistemi alimentari sostenibili, che si è svolta presso la sede di CSV Lazio, in via Liberiana. Un progetto durato oltre un anno che, attraverso eventi di sensibilizzazione, mobilitazioni e percorsi politici e formativi su tutto il territorio italiano, ha messo al centro l’urgenza di trasformare l’attuale sistema di produzione e distribuzione del cibo, eliminando le diseguaglianze e rendendolo sostenibile dal punto di vista ambientale. «Generazione Cibo, tra le altre cose, ha dato anche vita a percorsi cittadini di costruzione delle politiche locali del cibo, a Bari e a Genova», fanno sapere dall’associazione Terra!, che ha guidato il partenariato del progetto. «Le amministrazioni locali hanno ascoltato le richieste della cittadinanza su accesso e diritti legati al cibo, povertà alimentare, impatto ambientale dei sistemi alimentari, rafforzamento della piccola agricoltura, delle mense scolastiche e della ristorazione urbana».







