
MIRKO FREZZA, CON IL VOLONTARIATO SCACCIO GLI INCUBI DEL PASSATO
Un passato difficile, poi l’amore della sua famiglia, il lavoro, il volontariato con l’associazione Casale Caletto. «Oggi sono felice per gli altri. E con il volontariato cerco di dare una seconda opportunità ai giovani del mio quartiere, per poter scavalcare i muri immaginari che ti ghettizzano dentro una periferia»
30 Aprile 2025
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«Non sono capace a dare del lei». Così inizia questo dialogo con Mirko Frezza, 51 anni, attore. Un passato in carcere, la vita cambiata a 40 anni, il volontariato.
Lei è presidente dell’associazione Casale Caletto. Di cosa vi occupate?
«L’associazione è a via di Cervara 200, che sta tra Tor Bella Monaca e San Basilio, a La Rustica. Con Casale Caletto prepariamo 1600 pasti al mese, 400 pacchi viveri e assistenza medica e legale. Proprio oggi abbiamo costituito una nuova associazione, Casale Caletto Junior».
Di cosa si occuperà Casale Caletto Junior?
«È pensata per i ragazzi fino a 22 anni, che hanno sofferto di bullismo e cyberbullismo. Non ci occupiamo di giovani con problemi di droghe, per cui occorrono delle esperienze diverse dalle nostre, con competenze specifiche. Questa associazione l’ho costituita assieme a Giorgio Granito, Mattia Del Forno, Alessandro Pompili e Valerio Cintio. Siamo tutte persone che abbiamo vissuto per strada e abbiamo fatto uno switch, abbiamo capito che il perdono era più forte della bomba atomica e che la penna era più forte del kalashnikov. Abbiamo preso una consapevolezza che era giusto spiegarlo anche agli altri. Con Casale Caletto Junior vogliamo portare qualcosa che in periferia non c’è, abbiamo l’obiettivo di dare ai ragazzi una seconda opportunità per poter scavalcare quei muri immaginari che ti ghettizzano dentro una periferia, e che ti fanno pensare che dall’altra parte non ci sia niente per te».
Lei viene dalla periferia. E cosa ha trovato dall’altra parte?
«Io vengo da là, una donna (mia moglie), che è splendida, mi ha trascinato fuori da quel micromondo. Mi sono accorto che quando vieni dalle case popolari occupate puoi andare dove vuoi, nulla ti fa paura».
Lei è protagonista del cortometraggio “Un lavoretto facile facile”, per la regia di Giovanni Boscolo, premiato ai Corti d’Argento 2025 come Migliore commedia, in cui si parla anche del tema della sessualità e dell’affettività nelle persone con disabilità. Cosa vuole dirci di questo corto?
«Ritengo sia una genialità. Se si studia bene, è veramente un messaggio forte. L’anno prossimo si farà il film, nel quale io e Antonio Bannò saremo i protagonisti. Stavolta si vedrà anche Giorgio Colangeli, non si sentirà solo la voce come nel corto. Spero che “Un lavoretto facile facile” possa lanciare un messaggio e che venga proiettato nelle scuole: i ragazzi sarebbero attenti, rimarrebbero colpiti e capirebbero i messaggi, che lanciamo noi. Quello del diritto all’affettività e alla sessualità delle persone con disabilità è un messaggio importantissimo».
Ci parla del suo switch?
«Il mio switch è molto particolare. Ho studiato al Convitto nazionale fino a 14 anni, poi catapultato a La Rustica mi sono scontrato con una realtà diversa. Ho cercato di far parte di qualcosa, che mi ha portato a fare cose di cui non vado orgoglioso: ho commesso reati, ho ferito persone. Vengo da una detenzione molto lunga, quasi 10 anni, da una famiglia importante per la strada. Ho fatto cose che mi hanno segnato per sempre. Ho capito che quella non era la vera vita. L’ho capito a 40 anni e con tre figli, tutti con la stessa donna, che mi ha supportato e sopportato, soprattutto. La mia vita è cambiata grazie a lei e a tanti amici che hanno creduto in me. Nel momento in cui stavo scontando una condanna ho iniziato a lavorare nel cinema, come capogruppo, stuntman, attore. Quando stavo senza soldi i miei amici me li prestavano e mi spronavano a continuare, mi dicevano: “Secondo me ce la fai”. E adesso stiamo qui a fare quest’intervista. Il mio è stato uno switch che è venuto dall’amore».
Ma la forza è venuta anche da lei?
«Sì, ma nel momento in cui ho capito che dovevo far star bene chi volevo io. E chi stava bene non erano le cose materiali. Andavo in giro con il Ferrari, ma non mi serviva. Oggi sto a piedi e gli amici mi portano».
Lei oggi è (almeno ogni tanto) felice?
«Oggi sono felice per gli altri. Avendo cambiato la mia vita a 40 anni non posso essere felice, non mi posso levare tutta quella “roba” del passato, io non dormo bene. Dormo poche ore la notte, i miei incubi viaggiano. Poi mi sveglio e vedo la casa nella prateria. Ho fatto un cambio generazionale, io e la mia famiglia viviamo in Umbria. Mia figlia fa il terzo anno all’università, fa Scienze politiche, diritto internazionale. Ho coronato il sogno di andare via dal mio quartiere, ho portato la mia famiglia “in salvo”. Volevo che l’ultimo mio figlio crescesse la sua infanzia, se fosse cresciuto nel mio quartiere sarebbe stato “il figlio di Mirkone”, a mia figlia il ragazzo giusto per lei forse non le si sarebbe neanche avvicinato. Ma io sono romano, non mi sono trasferito, sono andato a vedere le colonie. Qualsiasi parte del mondo per un romano va bene».
