ROMA. LA CHIUSURA DELL’ALVEARE FRUTTO DI SCELTE INCOMPRENSIBILI

Un quartiere complicato, Centocelle, perde un pezzo di welfare. Per ragioni davvero difficili da capire

Lacrime e preoccupazioni, ansie e timori per la chiusura dell’Alveare. Da venerdì al V Municipio non c’è più uno spazio utilizzato da decine di mamme e papà che vi avevano trovato il luogo ideale dove far crescere i propri bambini. La storia che vi raccontiamo è l’ennesima finita male per le associazioni e le realtà del Terzo settore: un altro spazio della Roma sociale è stato smantellato.

 

Chiusura dell'alveare
L’Alveare ha dovuto abbandonare i locali.

IL PROGETTO. Siamo nel quartiere Centocelle, in via Fontechiari 35. Dopo 5 anni il Comune ha deciso la chiusura dell’Alverare e quindi di interrompere l’attività coworking con spazio baby portata avanti da due realtà, l’associazione di volontariato Città delle mamme, divenuta poi Genitori in Città (al fine di includere da un punto di vista prettamente semantico anche i papà) e la cooperativa L’Alveare (necessaria perché la sola associazione di volontariato non è uno strumento adatto alla gestione dei servizi), che aveva dato il nome alla struttura di 54 metri quadri.

Incontri di genitorialità, sostegno concreto alle famiglie, attività con pediatri e psicologi, corsi di musica, di lettura e progetti con le donne che avevano perso il lavoro, utilizzo di spazi condivisi per genitori e bambini dai 4 mesi ai 3 anni di vita. Tutto questo, un modello di assistenza alle famiglie di stile nord-europeo, è stato cancellato. Era l’unico a Roma e tra i pochi in tutta Italia.

 

Chiusura dell'alveare
Un quartiere con tanti problemi perde un servizio importante

COSA PENSANO I CITTADINI. L’Ufficio patrimonio del Municipio si è fatto riconsegnare le chiavi, nella persona di Rita Silvestri, funzionaria responsabile del procedimento, mettendo i sigilli con l’aiuto dei vigili. Gli spazi erano stati concessi dall’assessorato alle Periferie di Roma Capitale per lo svolgimento del progetto, patrocinato da Comune e Municipio, del lavoro condiviso con spazio baby. La prima concessione, scaduta dopo 18 mesi, era stata prorogata dal municipio “fino a espletamento del bando”.

Il bando non è stato espletato (anche perché un bando, attualmente, non esiste), ma Roma Capitale ha deciso comunque di tornare in possesso dei locali, «senza neppure verificare se qui si svolgeva un’attività di reale sostegno alle famiglie, importantissima per il quartiere»,  ci raccontano Giulia, Monica e Roberta. Tre mamme che adesso si trovano ad affrontare una situazione di emergenza: «Abbiamo più volte chiesto un incontro con il Municipio, non siamo mai state ascoltate. Da mamme e lavoratrici usufruivamo dei servizi dell’Alveare, un punto di riferimento fondamentale per le nostre vite. Ci vorrebbero 10 posti così a Roma, invece hanno chiuso l’unico disponibile. Le educatrici sono competenti, gli spazi a misura di bambino. Perché nessuno ci ha chiesto un parere prima di procedere? È importante cosa pensa il cittadino di un servizio oppure conta solo la burocrazia? Gli asili nido costano troppo, ci costringono a lasciare il lavoro per stare con i nostri figli. Il Comune non si è reso conto che questo spazio offriva un welfare che lo Stato non riesce a garantire».

 

Chiusura dell'alveare
La burocrazia non tiene conto del parere dei cittadini

LA BUROCRAZIA CIECA. La Giunta Municipale, guidata da Massimo Boccuzzi, sostiene che l’assegnazione sia scaduta il 30 novembre 2015 – non riconoscendo, di fatto, la proroga della precedente gestione politica – una versione che i responsabili dell’Alveare contestano duramente. Serena Baldari della cooperativa, insieme al suo legale, ha chiesto e ottenuto delle modifiche al verbale preparato dagli uffici del dipartimento al momento dello sgombero. «Questi locali erano inizialmente destinati a uno spazio Be.Bi, un servizio simile a un asilo. Il progetto, però, non è mai partito perché noi siamo uno spazio baby, non abbiamo delle autorizzazioni necessarie ad avviare il Be.Bi. e l’innovazione che abbiamo proposto risiede nel fatto che i genitori lavorano nello stesso luogo dove vengono assistiti i loro figli. Il Municipio ha sempre fatto finta di non capire questa differenza e crediamo abbia accelerato questo processo appositamente giocando su una finta incomprensione». Baldari aggiunge: «Dicono che siamo irregolari dal 2015, ma non è così. Anzi, noi abbiamo trovato una situazione di totale degrado e abbiamo speso 30 mila euro, vinti da un bando nazionale per la creazione di start up, per sistemare la caldaia, pulire i locali, ristrutturare gli interni e rendere questo luogo pulito e accogliente».

 

La speranza è che si possa ricominciare, in qualche modo

IL FUTURO. Ma che cosa succederà dopo la chiusura dell’Alveare? «Ci batteremo affinché il progetto continui, anche utilizzando altri spazi messi a disposizione dalla Regione Lazio», promette la consigliera regionale Marta Bonafoni, che durante l’operazione di venerdì ha contestato l’operato di Roma Capitale.

Riguardo gli spazi di via Fontechiari, invece, c’è l’incertezza più assoluta. Da quanto si apprende, il Municipio vorrebbe realizzarci una ludoteca, ma prima di qualsiasi assegnazione si attende un bando che attualmente non c’è. Potrebbero volerci mesi, se non anni. E il rischio occupazione, stavolta davvero illegale, è dietro l’angolo.

Il metodo applicato a Roma si ripete in circostante differenti, ma sempre con le stesse modalità: nelle linee programmatiche per il governo di Roma Capitale 2016-2021, nella quale viene esplicitata “la piena utilizzazione del patrimonio immobiliare capitolino” e nella delibera 140 del 2015, con la quale viene richiesto espressamente agli uffici preposti  di recuperare gli immobili utilizzati senza un titolo valido, c’è il progetto generale dell’Amministrazione di tornare in possesso di centinaia di spazi dislocati su tutto il territorio. Le associazioni, però, chiedono soltanto di giudicare nel merito i singoli progetti, salvando quelli validi che forniscono una reale assistenza alla comunità di riferimento. Senza applicare la legge con cecità e inconsapevolezza.

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org

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