SE UN RAGAZZO SBAGLIA, EDUCHIAMOLO CON LA MEDIAZIONE PENALE

La logica della giustizia riparativa ha un valore educativo che la semplice punizione non ha. A Roma, un convegno al Borgo don Bosco

Promuovere la cultura della giustizia riparativa all’interno dei processi penali minorili, preferendo, al semplice sconto della pena, un percorso costruttivo e rieducativo per il giovane. Se ne è parlato al Borgo Ragazzi Don Bosco, in occasione del convegno “Il percorso della giustizia riparativa nel procedimento penale minorile. Dialogo a più voci”, pensato per presentare il documento di studio e proposta che l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha diffuso all’inizio di quest’anno.

 

mediazione penale
Roma. Il convegno al Borgo Ragazzi Don Bosco sulla mediazione penale

LA MEDIAZIONE PENALE. Quando a commettere un reato penale è un minore, come si può fare giustizia dando giusta considerazione – e se possibile riparazione – alla vittima dell’illecito? Come assicurarsi che l’offensore comprenda appieno la sofferenza causata e non ripeta più il proprio gesto? Partendo da queste domande, l’Autorità ha spinto gli organi di giustizia italiani ad adottare un nuovo approccio per i reati commessi dai minorenni, che privilegi l’incontro tra vittima e autore del reato.

Si chiama “mediazione penale” e, quale strumento di giustizia riparativa, prevede «un processo formale in cui un terzo neutrale tenta, mediante scambi tra le parti, di permettere a queste ultime due di confrontare i propri punti di vista e cercare una soluzione al conflitto che le oppone».

«Il rito penale minorile ha delle peculiarità particolari», spiega l’avvocato Andrea Farina, coordinatore dell’Osservatorio salesiano sui Diritti dei Minori, per il fatto che il protagonista è un giovane di minore età. Il rito prevede di usare il canone di minima lesività nei confronti del minore, ma al tempo stesso il processo impone anche la tutela della vittima. Per questo motivo la giustizia riparativa permette di conciliare queste due esigenze: la sfida per un giudice o pubblico ministero è quella di adeguare il livello di punitività. rispetto alle sfide educative di un minore. Il documento dell’Autorità mette al centro la “mediazione penale” perché rappresenta una modalità di non sacrificare né la vittima del reato, né colui che commette il reato e neanche la sanzione punitiva prevista».

 

LE LEGGI CHE MANCANO. Le linee guida tracciate dal Garante sono rivolte a tutti gli attori della giustizia minorile (tribunali per i minorenni, procure minorili, dipartimenti di giustizia minorile e di comunità del ministero della giustizia) e sono state sollecitate da numerose raccomandazioni che l’Unione Europea, il Consiglio d’Europea e le Nazioni Unite hanno rivolto al nostro Paese: l’Italia, è infatti, uno degli Stati che non ha leggi specifiche sulla giustizia riparativa.

«Da giurista», spiega l’avvocato penalista Silvia Campagna, «posso dire che abbiamo urgenza di un testo normativo, che ci vada a descrivere le modalità di applicazione di questo istituto giuridico. Questa assenza crea un vuoto che il legislatore deve al più presto colmare. In Italia si parla si parla di giustizia riparativa solo all’interno del decreto legislativo 121/2018, che tratta l’esecuzione della pena in tema di minori, ma questo non basta. Il documento dell’Autorità va in questa direzione individuando non solo gli attori di questo processo (reo, vittima, facilitatore, mediatore), ma anche indicando le diverse modalità in cui può essere applicato: ci può essere un incontro diretto (o indiretto) tra autore del reato e la vittima stessa; oppure può prevedere le scuse formali scritte dall’autore del reato a favore della vittima; altre volte si creano degli incontri collettivi tra 4-5 vittime di autori di uno stesso reato per discutere su quelle che sono le conseguenze e le emozioni che il reato ha generato».

 

mediazione penaleIL VALORE EDUCATIVO. Preferire il percorso di “mediazione penale” ha risvolti positivi sul giovane, soprattutto in vista del suo futuro. «Il paradigma reo-pena viene ribaltato in conflitto-riparazione», spiega la pedagogista Micol Trillo. «La sfida che lancia la giustizia riparativa è quella di superare la sterile logica del castigo per invece far spazio ad una logica costruttiva, dell’impegno, del dialogo e della corresponsabilità. Non si parla più di chi deve essere punito e con quali sanzioni, ma piuttosto di chi soffre e di cosa può essere fatto per riparare il danno. La giustizia riparativa guarda al futuro, restituisce senso alla dignità della vittima e del reo, alla loro unicità. A differenza del diritto penale classico, questo istituto scommette sulle persone e sul loro futuro».

A supporto di questa tesi c’è  la prassi educativa di diversi centri per minori, che indirizzano i ragazzi in questo tipo di percorsi. Come quello che al Borgo Ragazzi ha accolto qualche anno fa Giovanni, un ragazzo che ha cambiato vita dopo la messa alla prova all’interno del centro salesiano. «Sono qui», racconta Giovanni, «perché da ragazzo ho fatto una rissa ed è stata coinvolta una persona, che ha riportato delle ferite. Eravamo in un gruppo di amici e mi sono fatto coinvolgere in un gesto, che da solo non  avrei mai fatto. Sono venuto al Centro Minori per fare la messa alla prova. Ero chiuso e impaurito. Piano piano imparando, ho iniziato ad aprirmi e a raccontare ciò che era successo. Mi sono chiesto se io fossi la stessa persona che aveva fatto la rissa e come fosse stato possibile tutto ciò. Con gli operatori abbiamo deciso di parlare con l’assistente sociale, e ho fatto una mediazione che mi ha fatto cambiare idea. Stavolta ho potuto scegliere ed ho ripreso in mano la mia vita. Oggi mi sento realizzato professionalmente e lavoro con una ditta di pulizie e giardinaggio».

Il convegno ha voluto celebrare anche i 30 anni della convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un documento che», spiega Don Daniele Merlini, direttore del Borgo Ragazzi Don Bosco, «in questi anni ha ricevuto ben 196 ratifiche da parte degli Stati. Da qualche anno, come salesiani, ci stiamo impegnando in questo dialogo tra il sistema preventivo di Don Bosco e i diritti umani dei minori. Quando leggiamo, ad esempio, il principio della “non discriminazione”, vedo l’accoglienza senza condizioni, segno di riconoscimento di ogni ambiente salesiano».

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