PROTEZIONE INTERNAZIONALE IN ITALIA: QUANTI SONO E CHI SONO QUELLI CHE ABBIAMO ACCOLTO

Oltre 200mila posti nei centri, l’8,7% sono nel Lazio. Serve uno sforzo per l’accoglienza diffusa, spesso impedita da strumentalizzazioni politiche.

Mercoledì 8 ottobre a Roma, è stato presentato il Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017, realizzato da Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes e Sprar, in collaborazione con Unhcr. In Italia previsti meno sbarchi, più domande di protezione internazionale, in lieve aumento la percentuale di riconoscimento della protezione (43%), più posti nei centri di accoglienza e una maggiore distribuzione sul territorio, anche se non si può ancora parlare di accoglienza diffusa.

Rimangono fuori dai circuiti di accoglienza tra le sei e le ottomila persone, di cui quasi tremila a Roma.

 

NEL MONDO E IN EUROPA. Ad oggi si contano 37 conflitti e 11 situazioni di crisi nel mondo. Nel 2016 le persone forzate a lasciare la propria casa erano oltre 65 milioni. Un numero impressionante, che però riguarda solo in modo residuale l’Europa, considerato che ben 40 milioni sono sfollati interni, ossia persone che, costrette ad abbandonare le proprie case, sono comunque rimaste all’interno del proprio Paese. Degli altri 25 milioni inoltre, l’84% viene accolto da Paesi in via di sviluppo, spesso confinanti alle zone di conflitto da cui fuggono.

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Il rapporto di Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes e Sprar, in collaborazione con Unhcr

Nei Paesi Ue il numero dei rifugiati è quindi in realtà residuale rispetto ad altre zone del mondo, ma la paura e le strumentalizzazioni hanno portato negli ultimi anni ad adottare politiche di chiusura e strategie alternative per bloccare l’arrivo di migranti, senza distinzioni tra richiedenti asilo e migranti economici e senza reali garanzie per il rispetto dei diritti delle persone nei Paesi in cui si intende bloccarli.

Politiche che stanno portando i loro risultati in termini numerici, considerando che, secondo quanto riportato nel rapporto, le domande di protezione internazionale in Europa sono in netta diminuzione nel 2017 (il 40% in meno rispetto ai primi sei mesi del 2016) e si attende un trend negativo anche per il secondo semestre del 2017. Conseguenze dirette della chiusura della rotta balcanica avvenuta con l’accordo con la Turchia e la diminuzione degli sbarchi attraverso la rotta mediterranea successiva all’accordo siglato dal governo italiano con la Libia. Entrambi gli accordi hanno però trovato una netta condanna delle organizzazioni umanitarie per le poche garanzie riguardanti il rispetto dei diritti umani in tali Paesi e nei loro centri di accoglienza.

Nel rapporto si parla anche del fallimento del programma di relocation, attraverso cui si sarebbero dovute ricollocare 160mila persone dalla Grecia e dall’Italia negli altri Paesi UE. A settembre 2017 ne sono state ricollocate meno di 30mila, di cui solo 9mila dall’Italia.

 

IN ITALIA. La rotta principale di arrivo per i migranti in Italia è quella del mediterraneo centrale. Nel 2016 sono arrivate 181.436 persone, nei primi mesi del 2017 ne sono arrivate 83.752, anche se, come già accennato, è prevista una netta diminuzione per il secondo semestre.

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I dati degli sbarchi, secondo il Rapporto

Circa il 90% delle persone arrivate in Italia attraverso questa rotta sono partite dalla Libia. La maggioranza sono africani, uomini e giovani (13mila minori nei primi mesi del 2017, di cui il 93% no accompagnato).  I Paesi di origine sono soprattutto quelli dell’Africa Occidentale, Nigeria in primis; nel 2017 si registra un netto aumento degli arrivi dal Bangladesh e una diminuzione rispetto al 2016 dall’Eritrea.

Nel rapporto si possono anche leggere degli approfondimenti su alcuni di questi Paesi e delle motivazioni delle migrazioni. Un dato su tutti, che vale la pena riportare, è quello che vede la Nigeria come il terzo Paese al mondo dove gli attentati terroristici uccidono di più, a causa della presenza radicata dei Boko Haram, subito dopo Afghanistan e Iraq.

Nel 2017 sono in aumento le domande di protezione internazionale in Italia, il 44% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Di 77.449 domande presentate nel corso del primo semestre 2017, le commissioni territoriali ne hanno esaminate 41.379 circa, di cui il 43% hanno avuto esito positivo (status di rifugiato: 9%; protezione sussidiaria: 9,8%; permesso per motivi umanitari: 24,5%), mentre per 51,7% l’esame si è concluso con un diniego. Più alta la percentuale di protezione accordata ai minori, che arriva al 70%. Come per gli sbarchi, anche per le domande di protezione la gran maggioranza (85%) sono uomini, anche se aumentano lievemente le donne, alle quali, però, molto difficilmente viene negata la protezione.

 

L’ACCOGLIENZA. Sono circa 205mila i richiedenti di protezione internazionale in Italia, accolti negli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), realizzati dagli enti locali tramite il Fondo Nazionale per le Politiche e Servizi per l’Asilo, nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e nei centri di prima accoglienza (dove avvengono identificazione e primo soccorso).

Venticinquemila sono i migranti accolti dalla rete ecclesiale, tra SPRAR e CAS gestiti dalle Diocesi, l’accoglienza nelle parrocchie e anche in famiglia.

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Occorre lavorare di più sull’accoglienza diffusa, sia in Italia che in Europa (foto G. Marota)

Dopo l’Intesa del 2014, attraverso cui la distribuzione dei migranti a livello regionale avviene in base alla percentuale della quota di accesso al Fondo nazionale per le politiche sociali, si ha oggi un equilibrio maggiore nella distribuzione tra le Regioni. Le Regioni del sud e soprattutto la Sicilia hanno così dovuto gestire un minor numero di migranti, trasferiti nelle strutture aperte anche al nord.

Il primato spetta oggi alla Lombardia con il 13,2% dei posti totali, seguita da Campania (9,3%) e Lazio (8,7%). I Comuni italiani coinvolti in progetti di accoglienza sono 3.200. In alcune Regioni l’accoglienza è più diffusa, come in Toscana ed Emilia Romagna, dove oltre l’80% dei Comuni hanno dei centri di accoglienza nel loro territorio.

 

NEL LAZIO. Il Lazio è una delle regioni che con la ridistribuzione dei migranti sul territorio nazionale ha visto diminuire la percentuale di posti in strutture sul suo territorio, passando dal 15% al 8,7% dei posti totali nazionali. Al 15 luglio 2017 i migranti assistiti in strutture laziali erano 17.738, di cui oltre 12mila accolti nei CAS, oltre 4mila negli SPRAR e un migliaio nei centri di prima accoglienza.

Ad essere coinvolti nei progetti della rete SPRAR sono 141 Comuni (il 37,3% del totale) anche se oltre 3mila dei 4.334 posti del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati laziale si trovano nella provincia di Roma.

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Spesso sono le strumentalizzazioni politiche che impediscono l’accoglienza

Nella Capitale esiste un’ulteriore criticità data dall’alto numero di richiedenti asilo che rimangono fuori dai circuiti dell’accoglienza (tra i 2500 e i 3000 secondo una stima di Medici Senza Frontiere), a cui si aggiungono un gran numero di migranti transitanti, tutti costretti a vivere in soluzioni abitative precarie e con condizioni di vita inaccettabili, sostenuti spesso soltanto dall’aiuto di associazioni o gruppi informali di volontari.

 

L’INTEGRAZIONE. Il solo fatto di essere ospitati in un centro per un richiedente asilo però non significa che l’accoglienza funzioni. C’è bisogno, come ribadito anche dal rapporto, che i servizi erogati dai centri siano adeguati per sostenere i rifugiati nei processi di inclusione sociale, affinché una volta usciti dai circuiti dell’accoglienza non si trovino in condizioni precarie, che ne possano compromettere l’integrazione nel lungo periodo. Se i mesi passati nei centri si trasformano in mero assistenzialismo tutti questi numeri che abbiamo riportato rischiano di essere inutili.

La sfida dell’accoglienza è quindi l’integrazione, che deve però fare i conti con la crescente diffidenza nei confronti dei migranti, alimentata dalle strumentalizzazioni politiche e la crescita dei movimenti xenofobi. In un momento storico dove la solidarietà rischia di non essere più riconosciuta come un valore, dove chi aiuta viene anche criminalizzato (le Ong, i volontari), tutti dobbiamo fare la nostra parte, contrastando e isolando chi alimenta l’odio, la paura, l’egoismo.

 

 

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