PROGETTO ITACA ROMA: «AIUTIAMO LE PERSONE A RIPRENDERE IN MANO LA PROPRIA VITA»

A via Nomentana, Progetto Itaca Roma, sostiene le persone con un disagio mentale e le loro famiglie. E con il Club Itaca Roma punta all'autonomia sociale e lavorativa. Morelli: «Bisogna imparare a dare fiducia, concentrandosi sulla parte sana delle persone. Il lavoro non è l’unico traguardo, ci sono la laurea, la patente, andare a vivere da soli. Aiutiamo le persone a coprire l’ultimo miglio di strada per riprendere in mano la propria vita»

di Antonella Patete

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Il traffico di Piazza Sempione è solo a qualche centinaio di metri, ma a Via Nomentana 512 regna la pace. Varchi un portone anonimo affacciato su strada, sali la scala immediatamente a sinistra e trovi quello che non ti aspetti: un dedalo di sale colorate e corridoi, scalette, terrazze, l’immancabile biliardino, un micro bar dall’arredamento minimal immerso nella luce di mezzogiorno. Terzo Municipio, Città Giardino. Siamo al Club Itaca Roma: il centro diurno dell’associazione Progetto Itaca Roma, un’organizzazione che offre supporto alle persone con disagio mentale e alle loro famiglie. Negli ultimi 14 anni, in questa struttura, aperta mattina e pomeriggio dal lunedì al venerdì, sono passati circa 130 soci, uomini e donne, che tra queste pareti hanno trovato senso di appartenenza e sostegno costante per sviluppare le proprie abilità sociali e lavorative. Nell’anno giubilare anche Progetto Itaca Roma ha aderito al progetto Vol.A in Rete, diventando uno dei Punti di accoglienza per i pellegrini in tutta la città. «Siamo davvero felici di aver fatto parte di questo progetto, che ha coinvolto lo staff, i soci e i volontari», afferma convinto Francesco Morelli, responsabile della comunicazione. Promosso dal Dipartimento Protezione Civile e dal Dipartimento Politiche sociali e salute di Roma Capitale, Vol.A in Rete è realizzato da CSV Lazio e Forum Terzo Settore Lazio, iniziativa finora unica di accoglienza diffusa da parte delle organizzazioni civiche. «Per noi è ed è stata un’opportunità di scambio e di incontro con nuove persone, anche provenienti da fuori Roma», prosegue Morelli. «La nostra associazione è un luogo aperto, dove condividere idee, esperienze e sorrisi. Crediamo nell’importanza di parlare apertamente di salute mentale e siamo lieti di farci conoscere».

Itaca Roma
Eli è arrivata nel 2011. «La prima cosa che ho fatto è stato realizzare i ritratti degli altri soci, che sono ancora appesi all’ingresso. I miei disturbi non passeranno mai, ma ho una buona qualità della vita e un luogo dove lavorare, stare insieme e fare nuove esperienze»

Il Club Itaca Roma, un centro per l’autonomia sociale e lavorativa

Il Club Itaca Roma non è una struttura sanitaria, bensì un centro per l’autonomia sociale e lavorativa dedicato a persone tra i 20 e i 45 anni con una storia di disturbo psichico alle spalle. «È vero che c’è un limite di età, ma una volta diventato socio, lo resti per sempre», puntualizza Morelli. «Qui arrivano persone da tutta la città e perfino da fuori Roma», prosegue. «C’è un ragazzo che viene ogni giorno da Latina per partecipare alle nostre attività. In media, il Club accoglie una quindicina di persone al giorno, ma la frequenza è libera e variabile». Dall’inserimento dati alla gestione dei social network e la realizzazione di video sono tante le attività che possono essere portate avanti dai soci. Ci sono il bar e la cucina con il menù settimanale da pianificare, bisogna fare la spesa, tenere in ordine la dispensa e preparare il cibo. C’è la manutenzione dei tanti spazi verdi e il giardinaggio, che permettono di acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro. E poi ci sono gli innumerevoli laboratori artistici aperti tutto l’anno e soprattutto cinque Job Station, postazioni di telelavoro supportato da un tutor aziendale un tutor dell’associazione che offrono la possibilità di lavorare in un ambiente protetto grazie all’accordo con alcune grandi aziende. Francesco, uno dei soci, si occupa dell’inserimento dati per una multinazionale. Potrebbe farlo da casa, ma sarebbe da solo, mentre al Club c’è sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere durante le pause. «Il lavoro è ripetitivo, ma non mi lamento», dice. «Faccio quello che devo fare».

Una rete di servizi per affrontare insieme le sfide salute mentale

Tra le attività rivolte ai familiari, c’è invece il progetto Famiglia a Famiglia. Si tratta di un corso organizzato in 12 incontri settimanali di due ore mezzo ciascuno, che in 11 anni ha coinvolto oltre 1.500 persone provenienti da tutta Italia. Dopo il percorso formativo, che spazia dall’approccio più teorico a quello più pratico di problem solving e gestione delle crisi, i partecipanti possono entrare a far parte dei gruppi di auto-aiuto condotti da facilitatori. L’associazione organizza anche corsi per volontari tenuti da psichiatri e formatori. «Dopo la formazione molti volontari restano con noi e spesso sono proprio loro a condurre i laboratori e le altre attività che si svolgono durante tutto l’anno», aggiunge Morelli. «Inoltre, portiamo avanti progetti di prevenzione nelle scuole, soprattutto nei licei, dove realizziamo incontri di sensibilizzazione e informazione rivolti ai ragazzi».

Morelli: «Con noi le persone possono coprire l’ultimo miglio di strada»

Francesco Morelli è arrivato al Club Itaca nel 2016 come volontario del servizio civile. Era laureato in Lettere e abitava a Montesacro, l’associazione era proprio vicino casa sua. Era il posto giusto per candidarsi. «Durante il mio anno di servizio civile sono entrato per la prima volta a contatto con il mondo della salute mentale», racconta. «Fino ad allora ne sapevo poco, a parte l’esperienza di un amico che aveva avuto difficoltà. Istintivamente, con lui ho adottato lo stesso approccio che usiamo al Club: essere presenti, sospendere il giudizio e continuare a fare le cose normalmente, fianco a fianco». Dopo il servizio civile, Francesco ha deciso di rimanere. Ha trasformato il rapporto con l’associazione in un lavoro e ora sono nove anni che, ogni giorno, viene in Via Nomentana 512. «Considerando che ho 30 anni, vuol dire che ha trascorso quasi un terzo della mia vita in questo posto», riflette. Da subito ha fatto della salute mentale una missione e dell’empatia uno strumento di lavoro. «Ho immediatamente sentito la necessità di saperne di più e ho fatto molto letture, ma non sono né uno psicologo né, tantomeno, uno psichiatra. Mi interessa l’aspetto sociale della salute mentale, un tema di stretta attualità. Bisogna imparare a dare fiducia, concentrandosi sulla parte sana delle persone. Più che alle diagnosi guardo all’individuo. Nel corso del tempo abbiamo seguito una trentina di inserimenti lavorativi. Ma il lavoro non è l’unico traguardo, ci sono anche la laurea, la patente, andare a vivere da soli, per fare solo qualche esempio. Aiutiamo le persone a coprire l’ultimo miglio di strada per riprendere in mano la propria vita».

“Dai a ogni giornata la possibilità di essere la più bella della tua vita”

Girando tra le stanze del Club non è facile distinguere i soci dagli operatori. Eleonora, che tutti chiamano Eli, è arrivata nel 2011 e di questa struttura conosce ogni angolo e ogni sfaccettatura. Palermitana, oggi 51enne, si è trasferita a Roma per curarsi. «Vivevo in una situazione di totale chiusura e isolamento, prendevo molte medicine e l’unica cosa che riuscivo a fare era dipingere», racconta. Dopo la perdita della madre, scomparsa nel 2007 alla fine di una lunga malattia, era a pezzi. «A Palermo frequentavo il mondo dell’arte. Avevo un’associazione dove facevamo video amatoriali. Ho iniziato a dipingere a 29 anni, quando ho scoperto la mia malattia. Sento di essere funzionale all’arte e disfunzionale alla realtà», ironizza. Quando Eli ha avvertito per la prima volta i sintomi depressivi ha cominciato un percorso di psicoanalisi, ma la psicoterapeuta le ha detto che la sua sofferenza era presente da tanto tempo. Ci sono voluti molti anni, e l’aiuto del Club, per intraprendere un percorso di accettazione. «La prima cosa che ho fatto quando sono arrivata qui è stato realizzare i ritratti degli altri soci, che sono ancora appesi all’ingresso. Poi ho cominciato a lavorare nell’inserimento dati, prima direttamente in azienda e, dopo il Covid, con una Job Station. Abito da sola in una casa non troppo distante dal Club e nel tempo libero mi occupo delle attività dell’associazione, soprattutto dei ringraziamenti ai donatori. I miei disturbi non passeranno mai, ma ho una buona qualità della vita e un luogo dove lavorare, stare insieme e fare nuove esperienze». Sul muro del bar del Club, accanto al bancone, è incorniciata una frase di Mark Twain: “Dai a ogni giornata la possibilità di essere la più bella della tua vita”. È stata la stessa Eleonora a trascrivere quell’aforisma per farne una sorta di monito. Perché, forse, oggi lei questa possibilità se la sta dando davvero.

Foto Francesco Paolucci

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