CARCERE. CASSINO, IN CON-TATTO CON I DETENUTI

Alla Casa Circondariale di Cassino lo Sportello In Con-Tatto, nato da Dike APS e Fondazione Sue Ryder OdV, è un punto di riferimento per i detenuti e un ponte tra il dentro e fuori

Si chiama Sportello In Con-Tatto quello che, a metà marzo, ha preso vita presso la Casa Circondariale di Cassino. Un nome evocativo per un progetto che vuole connettere i detenuti con il mondo esterno, e con il loro futuro. Lo Sportello In Con-Tatto è stato presentato da Dike APS e Fondazione Sue Ryder OdV, in risposta all’avviso pubblico della Regione Lazio “Approvazione dell’Avviso Pubblico per la concessione di finanziamenti finalizzati al miglioramento della vita detentiva e al reinserimento sociale delle persone private della libertà personale mediante interventi ed azioni di natura trattamentale negli istituti penitenziari del Lazio” D.G.R. 921/2022 – Determinazione 24 novembre 2022, n. G16329. Il primo incontro è stato il secondo sabato di marzo, ma c’è stata un’attività in back office che è partita molto prima. La Casa Circondariale di Cassino è un luogo molto delicato: il 25 aprile c’è stata una rivolta da parte di alcuni detenuti per sottolineare i problemi che ci sono all’interno.

Sportello In Con-tatto: capire i bisogni dei detenuti

Ha preso il via a metà marzo lo Sportello In Con-tatto presso la Casa circondariale di Cassino. Immagine Fondazione Sue Ryder OdV

Ne abbiamo parlato con Walter Bianchi, presidente dell’associazione Dike APS. «Come associazione avevamo già collaborato alla realizzazione di un progetto per la Casa Circondariale di Cassino l’anno scorso, in risposta a un bando simile» ci ha raccontato. «In quell’occasione avevamo avuto modo di approcciarci alla realtà carceraria e capire, attraverso attività di valenza culturale e ludica, quali fossero i bisogni dei detenuti. Questo ci ha permesso di immaginare un intervento interno alla struttura stessa. Attraverso il Cineforum, che si chiamava Storie di riscatto, realizzato insieme al Centro dei Diritti e della Solidarietà, avevamo raccolto le osservazioni e i bisogni dei detenuti. Questo lavoro ci ha permesso di maturare l’esperienza per realizzare lo Sportello In Con-Tatto. Si chiama così perché, oltre a stabilire un contatto, serve un approccio che sia il più empatico e umano possibile. La collaborazione con la fondazione non è stata formalizzata a livello progettuale ma ci sono dei volontari della fondazione e quindi è una collaborazione di fatto». Ma come si lavora alla nascita di un progetto come questo, per rispondere adeguatamente al bando della Regione? «Abbiamo cercato dei contatti con la Casa Circondariale di Cassino per avere la lettera di supporto rispetto al progetto» ci risponde Walter Bianchi. «Abbiamo incontrato l’equipe educativa dell’istituto con la quale abbiamo già stabilito delle linee guida da seguire per la realizzazione del progetto».

Sovraffollamento e mancanza di spazi

L’attività dello Sportello In Con-Tatto va a inserirsi in un contesto per nulla semplice, come è quello della Casa Circondariale di Cassino. «È un carcere piccolo che però ha diverse criticità che stiamo toccando con mano e che già conoscevamo» ci spiega Bianchi. «Per questo abbiamo scritto questo progetto. Stiamo avvertendo ancora di più queste criticità e stiamo cercando di dare una mano a tutti: i detenuti, ma anche le persone che lavorano all’interno». Le criticità sono prima di tutto di natura strutturale. «Un’ala del carcere, che è stato costruito negli anni Cinquanta, è chiusa» approfondisce Bianchi. «C’è un sovraffollamento di almeno una trentina di persone e gli agenti penitenziari sono in numero ridotto rispetto a quello che è previsto. E anche l’equipe educativa è presente in numero minore rispetto a quello che sarebbe necessario. Non ci sono spazi adeguati per fare attività sportiva e ricreativa. Non c’è una vera e propria biblioteca, e se c’è non c’è lo spazio necessario per ampliarla». «Ovviamente in un contesto del genere tutti quelli che sono i principi costituzionali, tra cui l’art. 27 sul fine rieducativo della pena e il reinserimento sociale vengono meno» riflette il presidente di Dike. «In questo periodo abbiamo incontrato una sessantina di detenuti che, anche attraverso il lavoro con l’equipe, ci hanno portato delle istanze. E registriamo sempre le stesse criticità, che sono quelle che dicevo e che abbiamo messo all’interno nell’analisi. E che sono ancora più evidenti quando si entra all’interno della struttura. Che, essendo così piccola, dovrebbe essere un fiore all’occhiello, un punto di riferimento per le buone prassi».

La ricerca del lavoro e di una abitazione per la fine della pena

E allora un progetto di questo tipo è più che mai necessario. Perché vuole provare a colmare queste lacune. Ma vuole essere anche un punto di riferimento per i detenuti e un ponte tra il dentro e fuori garantendo l’erogazione di servizi fino ad ora non presenti o assicurati in maniera saltuaria all’interno della Casa Circondariale. «L’obiettivo è quello di dare risposte di carattere tecnico, dando informazioni sulle pensioni sociali o sul rinnovo dei documenti, o la ricerca di soluzioni abitative alla fine della pena e tutte le richieste utili nel momento in cui si esce dal carcere» spiega Walter Bianchi. «E agevolare tutte quelle che sono le opportunità che vengono offerte; la ricerca del lavoro esterno, l’attivazione dell’art. 21. Anche se, anche qui per motivi strutturali, alcuni tipi di azioni non possono essere compiuti in maniera totale. L’art.21 prevede che si siano degli spazi e delle celle destinati a chi usufruisce di questo articolo per poter uscire e rientrare all’interno del carcere. Non avere tanti posti limita anche la possibilità di attivazione di queste offerte lavorative. Questo al di là delle difficoltà territoriali di trovare imprese che vogliano avere nelle loro fila persone che hanno avuto problemi con la legge». «Sono criticità che conoscevamo, che sono ancora più impattanti rispetto alla nostra prima analisi» continua. «Non è un caso che la questione dell’inserimento lavorativo è stata pensata per essere attivata dopo alcuni mesi. Così prima è stata fatta una ricognizione dello status quo, e poi eventualmente con le persone che si dimostrano più valide e meritevoli ci attiveremo per attivare queste modalità da art. 21». In questo senso si punta anche a creare momenti di formazione dei detenuti, per rafforzare le loro capacità per far sì che questo reinserimento sociale avvenga in maniera più confortevole possibile.

Muoversi su diversi livelli, lavorare in rete

Sportello In Con-tatto
Lo Sportello In Con-tatto vuole essere un ponte tra dentro e fuori: «L’obiettivo è dare risposte di carattere tecnico, informazioni e risposte a tutte le richieste utili nel momento in cui si esce dal carcere»

Ma si tratta di fare i conti con il contesto. E allora cosa può fare il Terzo Settore, che mette la progettualità, l’apertura mentale e il know-how per mettersi a disposizione dei detenuti quando ci sono problemi effettivi, come i problemi di spazio, strutture obsolete, che sono veri e propri ostacoli fisici, muri difficili da superare? «Bisogna muoversi su diversi livelli» ci risponde Bianchi. «Il primo livello è cercare di dare delle risposte, dove sia possibile, ai bisogni delle persone che vengono allo sportello. Registrare tutto quello che viene detto, raccogliere le risposte, fare il monitoraggio. E magari far arrivare le nostre osservazioni alle istituzioni. Bisogna creare i giusti partenariati con altri enti di Terzo Settore, capire in che modalità lavorare in rete e capire come possiamo essere utili noi agli altri enti. Capire come poter fare da ponte tra un caf e la Casa Circondariale. Si va dalle cose più semplici e basilari alle cose più importanti. Ci sono delle realtà come l’Associazione Antigone, che non può essere presente alla Casa Circondariale di Cassino come può esserlo in contesti più grandi. La funzione di associazioni come Dike e come la Fondazione Sue Ryder è proprio quella di accendere i riflettori in contesti come questi».

L’importanza dell’equipe educativa

Il progetto vive grazie presenza di un’equipe multidisciplinare composta da assistenti sociali, avvocato, psicologo, mediatore linguistico e segretario di progetto, consentirà di avvicinare i detenuti e le loro famiglie a percorsi individualizzati di sostegno all’inclusione sociale, promuovendo e realizzando iniziative di orientamento e facilitazione all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché consulenze nell’accesso a prestazioni previdenziali, socio-assistenziali e legali. Ma che profilo ha chi lavora allo sportello?  «Il primo passaggio dei detenuti verso lo sportello è con l’equipe dell’area educativa del carcere» ci risponde Bianchi. «Loro ci forniscono i nominativi, ci raccontano le caratteristiche delle persone e le loro esigenze. Io sono un assistente sociale, come altri, insieme a noi ci sono operatori sociali che hanno già fatto esperienze di segretariato sociale, non professionale, ma di ascolto all’interno di sportelli. Hanno tutti un’esperienza che permette loro di gestire questo spazio». Dietro si muove ovviamente una rete. «Una rete che o è già attiva o è da ampliare, e le cui maglie vanno ben saldate» ci racconta Bianchi. «C’è un lavoro che in questi mesi dovrà essere anche esterno. Si lavora su più fronti: si tratta di costruire un ponte con le istituzioni, con gli enti di Terzo Settore, con le famiglie».

Dentro al carcere: un basso grado di istruzione

Lo sportello sarà uno spazio di condivisione sociale della devianza, di sperimentazione di nuovi approcci per affrontare i problemi sociali, creando spazi di lettura del bisogno condivisi e integrati, focalizzando l’attenzione sulla persona e non sulla categoria che esprime. Ma che cosa è emerso dai primi giorni di ascolto dei detenuti? «Le prime impressioni ci dicono che c’è un basso grado di istruzione» ci illustra Bianchi. «È un dato che si tende a sottovalutare. I bisogni dei detenuti hanno spesso a che fare con i contatti con familiari, con la possibilità di spostarsi da un carcere ad un altro. Quelle che emergono sono le criticità rospetto al carcere stesso. Spesso le domande che arrivano sono le conseguenze dei limiti che ci sono all’interno. Non so quanto possa essere politicamente corretto dirlo in una fase di realizzazione stessa del progetto. È evidente che c’è la piena collaborazione da parte dell’area educativa, che fa quello che può rispetto alle risorse che ci sono. Le domande riguardano la documentazione, lo stato e le condizioni dei contatti con i minori, con i figli, o con i parenti. La possibilità di trovare un luogo dove effettuare i domiciliari. C’è un filo conduttore che riguarda il carcere».

CARCERE. CASSINO, IN CON-TATTO CON I DETENUTI

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