CON ME.MO-MEMORIE IN MOVIMENTO, LE PERIFERIE RIPARTONO DA CHI LE ABITA

Obiettivo è la riqualificazione, ma partendo dall'attivazione dei cittadini. Facendo memoria, raccontandostorie, riaprendo spazi. Ma soprattutto facendo reti

Una squadra di giovani architetti, ingegneri, sociologi, antropologi – docenti e ricercatori – messi insieme per raggiungere un obiettivo: restituire le periferie romane ai loro abitanti. “Territori dell’Abitare” (questo è il sito) è un laboratorio interdisciplinare, nato all’interno dell’Università “La Sapienza” di Roma per analizzare con attenzione i diversi temi dell’abitare e, grazie a questi studi, provare a intervenire con progetti mirati in alcuni dei quartieri abbandonati della capitale. Da Tor Bella Monaca al Corviale, da Quarticciolo a Torpignattara e ancora Centocelle e San Basilio: il compito di Marco, Francesco, Serena, Carlo e tanti altri ricercatori non è solo quello di ripensare l’urbanistica di questi quartieri degradati (sotto diversi aspetti), ma soprattutto di creare quell’attivazione sociale che permetta agli stessi cittadini di ribaltare le sorti del proprio territorio.

Ripartire dai cittadini

Francesco Montillo, dottore in ricerca di tecnica urbanistica, è uno dei membri del laboratorio e insieme a lui proviamo a raccontare uno dei progetti che l’equipe sta portando avanti in questi mesi. Parlare di “riqualificazione urbana delle periferie” per molti può sembrare utopia perché, in effetti, sono molti i fattori che negli anni hanno portato un territorio a impoverirsi e, di conseguenza, a sfuggire al controllo del soggetto pubblico. C’è però un punto fermo che Montillo vuole mettere subito in chiaro: «Non possiamo parlare di riqualificazione urbana senza mettere in conto la dimensione sociale di questi territori e cioè i loro stessi abitanti. Per le amministrazioni che si sono susseguite negli anni, è stato facile costruire una piazza, rifare una strada, inaugurare un parco, ma finché il soggetto pubblico non interverrà sulle emergenze sociali di questi cittadini, l’azione fisica non servirà a nulla».

Le periferie non sono nate con la città, anzi, alcune di esse sarebbero dovute diventare un fiore all’occhiello per Roma. Come Tor Bella Monaca, uno dei più ambiziosi progetti di edilizia popolare degli anni ottanta, che nel tempo è fallito a causa di amministratori assenti e sordi nell’ascoltare i bisogni dei più fragili. «È evidente che qui il soggetto pubblico ha perso. Dopo aver abbandonato per 30 anni questo territorio, non lo riprendi in mano facilmente! Davanti a questa assenza, il quartiere si è organizzato in maniera auto-gestista. Si è sì diffusa la malavita, ma sono arrivate anche le associazioni, le cooperative, i comitati di quartiere, che di fatto oggi rappresentano gli unici interlocutori con cui concretizzare progetti di rilancio».

Me.Mo – Memorie in MovimentoRiscoprire il quartiere

Proprio a Tor Bella Monca, grazie alla sinergia tra l’equipe di “Territori dell’abitare” e alcune associazioni che da anni lavorano sul campo, è nato “Me.Mo – Memorie in Movimento”, un progetto nato per far riscoprire ai suoi abitanti la storia di un quartiere vivo che ha saputo lottare per conquistare i suoi piccoli pezzi di civiltà. «Insieme al Liceo E. Amaldi», racconta il ricercatore, «abbiamo partecipato a un bando del MiBact, che ci chiedeva di realizzare una mostra all’interno del quartiere, lavorando sulla promozione sociale. Da questo, però, siamo partiti per creare un processo molto più ampio, rovesciando la piramide e facendo sì che, più della mostra, il progetto si concentrasse sul lavoro con gli abitanti, organizzando incontri, interviste ed eventi di quartiere. Come dipartimento universitario lavoriamo da anni con il Comitato di quartiere, il liceo e le associazioni, e questo bando è stato il pretesto per continuare a valorizzare gli abitanti, a renderli protagonisti, a farli riappropriare di ciò che è stato sempre loro».

Le storie e le azioni

Sono tre le azioni che l’equipe di ricercatori ha seguito in questi mesi all’interno di Me.Mo, coordinando i diversi attori, ciascuno protagonista della sua attività: le capsule della memoria Memory Capsule”, portato avanti dal Comitato di quartiere, il “Laboratorio Narrazioni” partecipato dagli studenti del Liceo Amaldi, il recupero della ludoteca “Casa di Alice”, a cura dell’associazione culturale El “Che”ntro e, infine, lo Sportello di ascolto e partecipazione del progetto, realizzato grazie al Municipio VI.

«Abbiamo chiesto al Comitato di aprire il suo archivio storico per raccogliere e selezionare alcune delle storie di lotta che hanno la segnato la vita di molti abitanti di Tor Bella Monaca. Come la storia del piccolo Andrea Sperelli che muore su via dell’Archeologia aspettando per ben 40 minuti l’ambulanza che arrivava dall’Ospedale San Giovanni, il più vicino allora (Tor Vergata non c’era, il Policlinico Casilino era ancora una struttura privata). Questo ci fa capire come nonostante Tor Bella Monaca fosse stato pensato come il progetto urbanistico simbolo del sindaco Petroselli, una volta realizzato, non fu raggiunto dai servizi essenziali: un presidio sanitario, una rete di trasporto pubblico o delle scuole. La Asl, il Cinema, la Polisportiva, le strade ad alto scorrimento sono state tutte conquiste dei cittadini (gli anziani raccontano di intere giornate di protesta per le strade). Uno degli obiettivi di Me.Mo è stato quello di raccogliere i documenti che testimoniano questi episodi segnanti raccogliendoli in alcune teche che verranno posizionate negli edifici più simbolici del quartiere».

Creare connessioni

Uno dei grandi valori di queste attività è stato il saper generare connessioni tra persone: tra i ricercatori e il comitato di quartiere, tra gli alunni del liceo e gli anziani della zona – “intervistati” per l’occasione dai più giovani – tra le associazioni e il Municipio.

Me.Mo – Memorie in Movimento
Una riunione per la Casa di Alice

La “Casa di Alice” ne è un esempio pratico: una palazzina degradata, fino a pochi anni fa adibita a ludoteca, che nei prossimi mesi potrà rinascere grazie al contributo del centro sociale di quartiere che penserà a bonificarla, rendendola di nuovo agibile. «Dopo diversi incontri con le mamme del quartiere abbiamo realizzato la nuova planimetria degli spazi esterni della “Casa di Alice”, un luogo dove i bambini potranno giocare all’aria aperta ma anche un’azione di arredo urbano, di recupero e di pulizia. Qui stiamo già progettando un orto didattico, un’area cinema e uno spazio piscina».

Il bisogno di visioni

L’emergenza sanitaria di questi ultimi mesi ha rallentato gli incontri delle diverse azioni del progetto Me.Mo – Memorie in Movimento, ma non la voglia di riunirsi e di creare partecipazione. «Differentemente dagli anni ottanta, quando questo quartiere nasceva, oggi è difficile realizzare quella partecipazione attiva dei cittadini che ha permesso di portare avanti lotte importanti. Ma, come ricercatori, siamo convinti che il tramandare ai più giovani la memoria di questo quartiere sia l’unica via praticabile per uscire da un pessimismo dilagante. Tor Bella Monaca non è solo un teatro di spaccio, la criminalità c’è e ci vorrà del tempo per annientarla. Ma questo quartiere è anche tanto altro e questo va reso visibile agli occhi dei più giovani. Il prodotti finali del “Laboratorio Narrazioni” saranno, infatti, dei video girati interamente dagli studenti mentre raccontano le loro strade, le loro piazze e i luoghi che frequentano ogni giorno».

Per Francesco e la sua equipe, “Me.Mo” non è che una piccola goccia di speranza all’interno di un contesto degradato, monopolizzato dalle organizzazioni criminali e che rimarrà tale fin quando non verrà data risposta ai reali bisogni dei cittadini, innanzitutto il lavoro. «La criminalità, in questi territori non ha fatto altro che colmare l’assenza del soggetto pubblico. Alcuni abitanti del quartiere, quando devono spostarsi verso il centro, dicono “vado a Roma” e questo ci fa comprendere l’alto tasso di ghettizzazione in cui vivono. Le amministrazioni che in questi anni si sono susseguite devono ammettere di aver fallito. L’unica via percorribile è avere la capacità di progettare con visioni a lungo termine che diano possibilità agli abitanti di ri-attivarsi. Ecco perché il primo obiettivo di tutti i nostri progetti all’interno delle periferie sarà e resterà sempre questo: coinvolgimento, formazione e occupazione».

Il lavoro di “Territori dell’abitare” è stato prezioso perché, grazie alle sue professionalità, in questi anni è riuscito a tracciare un’unica linea di azione all’interno di progettualità diverse nei singoli quartieri romani. Un contributo che, nella sconfortante precarietà dei ricercatori italiani, ci auguriamo non venga interrotto. «Me.Mo non scalfirà di un millimetro lo spaccio a Tor Bella Monaca, come l’abusivismo al Corviale», conclude il ricercatore, «ma indicherà una strada percorribile, con più forza anche dal soggetto pubblico. Mettiamo a servizio della città i nostri studi per elaborare un’idea concreta su come lavorare in questi territori. Il nostro augurio è che qualcuno ci ascolti».

 

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