CONTRO DIZIONARIO DEL CONFINE. PAROLE ALLA DERIVA NEL MEDITERRANEO CENTRALE

Nel volume a cura di Filippo Torre (Tamu edizioni) l’equipaggio della Tanimar raccoglie un complesso glossario sulle parole incontrate al confine italo-tunisino, tra «chi cerca di sfidare il sempre più violento regime di confine europeo e per questo viene ostacolato, aggredito, criminalizzato». Una storia dal basso tra migranti, pescatori, soccorritori, abitanti di isole e comunità costiere. Per andare oltre la narrazione dominante

di Laura Badaracchi

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Un glossario articolato e complesso, nato da un intenso lavoro etnografico, su 42 parole utilizzate da viaggiatori e viaggiatrici che tentano le rotte del Mediterraneo. Lo delinea in ordine alfabetico – da “aventure” a “clandestino”, da “bunker” a “taximafia” – l’equipaggio della Tanimar nel volume Contro dizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale, a cura di Filippo Torre e appena pubblicato da Tamu edizioni. Le voci corrispondono «ad alcune parole significative legate a chi cerca di attraversare il confine italo-tunisino. A chi cerca di sfidare il sempre più violento regime di confine europeo e per questo viene ostacolato, aggredito, criminalizzato», spiega l’equipaggio della Tanimar, composto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori (sociologi, antropologi e giuristi) delle Università di Genova e Parma, che studiano le forme di mobilità e l’abitare migrante nel regime di frontiera mediterraneo. Usando metodi etnografici, visuali e partecipativi nella ricerca, tre anni fa l’equipaggio ha navigato tra Pantelleria, Malta e le Isole Pelagie, mentre nel 2023 un secondo viaggio etnografico ha toccato i porti tunisini di Kerkennah, Sfax, Mahdia e Monastir. Quest’anno gli studiosi si sono mossi intorno alle isole dell’Egeo, tra Grecia e Turchia; a settembre hanno partecipato all’iniziativa f.Lotta, gioco di parole tra “flotta di mare” e “lotta”, per un’occupazione simbolica del Mediterraneo.

contro dizionario del confine

L’Equipaggio della Tanimar è un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle Università di Genova e di Parma che studia le forme di mobilità e l’abitare migrante nel regime di frontiera mediterraneo

Gli attraversamenti nel Mediterraneo centrale nelle parole ai margini della narrazione dominante»

La scelta degli autori è quella di costruire una storia a partire “dal basso”, rivolta soprattutto a «chi intende guardare agli attraversamenti nel Mediterraneo centrale attraverso le parole interne usate dai gruppi sociali che non concorrono, o concorrono solo marginalmente, all’enunciazione della narrazione dominante: soprattutto i migranti, ma anche i pescatori, i soccorritori, gli abitanti delle isole e delle comunità costiere». Infatti la narrazione prevalente delle migrazioni «è imbevuta di una visione e di un linguaggio che criminalizzano gli spostamenti di alcuni soggetti e gli sforzi di chi li sostiene. Si parla di migrazioni via mare nei termini di un’“invasione” da parte di clandestini che sbarcano sulle coste europee, in cui la persona che approda deve necessariamente rientrare nelle categorie della vittima (dei trafficanti, della guerra, ecc.) o del criminale (potenziale terrorista islamico, fanatico religioso o delinquente)». Il glossario si basa sulle persone incontrate, «soprattutto migranti provenienti dall’Africa francofona bloccati in Tunisia, migranti tunisini respinti o deportati dall’Europa, pescatori siciliani e tunisini nel canale di Sicilia, attivisti della flotta civile, abitanti delle isole Pelagie».

Boza era la libertà. E il dolore

Emerge quindi «un vero e proprio slang per nominare gli alleati, i nemici, le pratiche, l’ambiente, i mezzi e i modi di viaggiare; sono nati nuovi termini che, cambiando nel tempo e nello spazio, si muovono a cavallo di diversi contesti culturali e gruppi sociali. In tal senso, nella maggior parte dei casi, sono parole derivate dal tunisino, dal francese, dal siciliano e dall’italiano, ma i confini tra le diverse lingue si sono rivelati molto più porosi di quello che ci saremmo aspettati». Alcune parole «sono frutto di un’invenzione, sono state cioè create nel corso del tempo dalle persone in movimento che se le attribuiscono», ad esempio “boza”. Nella prefazione ne spiega il senso Georges Kouagang, attivista e difensore dei diritti umani costretto a fuggire dal Camerun nel 2011: «La sentii per la prima volta in Camerun ma il suo vero significato lo capii in Marocco. Boza voleva dire «saltare il muro», entrare in Europa senza pagare, senza documenti, senza passare dalle mani dei trafficanti. Era il sogno di attraversare Melilla o Ceuta e gridare «ce l’ho fatta!» al mondo intero. Boza era libertà. Ma anche dolore. Con il passare del tempo la parola è cambiata. È diventata boza free, che significava più genericamente superare il confine via terra o via mare senza soldi, solo con il coraggio, solo con i piedi, solo con la voglia di vivere». Georges ce l’ha fatta a coronare il suo sogno di libertà, ma tantissimi altri migranti – troppi – hanno perso la vita. «Come reazione alla compressione dei canali legali per raggiungere l’Europa, le persone escluse dal diritto di viaggiare hanno dovuto fare affidamento su rotte informali sempre più pericolose e letali», denuncia l’equipaggio della Tanimar. Con un tragico bilancio di vittime: «Dagli anni ’90 lungo la rotta del Mediterraneo centrale hanno visto la morte tra le ventimila e le venticinquemila persone. Inoltre la chiusura e la fortificazione delle frontiere mediterranee hanno trasformato il centro del Mediterraneo nel più remoto posto di frontiera della Fortezza Europa».

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contro dizionario del confineEquipaggio della Tanimar
a cura di Filippo Torre
Contro-dizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale
Tamu edizioni 2025
228 pagine, 16 euro

CONTRO DIZIONARIO DEL CONFINE. PAROLE ALLA DERIVA NEL MEDITERRANEO CENTRALE

CONTRO DIZIONARIO DEL CONFINE. PAROLE ALLA DERIVA NEL MEDITERRANEO CENTRALE