VIVERE DISUNITI? NO GRAZIE, PERCHÈ DUE SONO MEGLIO DI UNO

Secondo Massimo Ammaniti, E-go e We-go crescono insieme e la collaborazione con gli altri non impedisce la soddisfazione personale, anzi

Prima ancora di nascere, entriamo in comunicazione con la mamma e sentiamo che oltre a noi ci sono altri. Appena nati siamo in grado di seguirne lo sguardo, entrando in risonanza. Quando siamo soli, ne immaginiamo la presenza. Le nostre storie, le nostre memorie si intrecciano inestricabilmente con quelle degli altri.
Insomma, la dimensione del “noi” nella vita degli individui è inscindibile da quella dell’io. E-go e We-go crescono insieme e si rafforzano reciprocamente.
Si intitola “Noi. Perché due sono meglio di uno” il saggio di Massimo Ammaniti che è un inno alle capacità di risonanza emotiva e di comprensione della mente altrui, che arricchiscono le nostre vite e la nostra società. In fondo, se esiste una civiltà, è perché c’è stata tra gli uomini collaborazione e interdipendenza, e questa interdipendenza non è poi così frustrante, checché ne dica Freud. Non è vero che gli altri sono un inferno, come diceva Sartre, è vero invece che il rapporto con gli altri produce soddisfazione e gratificazione.

Prima della nascita già comunichiamo

Neuropsichiatra infantile e psicanalista, Ammaniti sviluppa – con linguaggio chiaro e di gradevole lettura – una riflessione che va a toccare un tema oggi cruciale, collocandosi nella riflessione sui processi di disgregazione di una società basata sull’individualismo. «Forse sta cominciando una stagione diversa», scrive Ammaniti, «che ci spinge a trovare il senso del noi adottando una concezione, potremmo dire, strutturalista della comunità umana, in cui “l’io e l’altro – come affermava Lévi Strauss … – affrancati da un antagonismo che solo la filosofia cercava di stimolare, recuperano la loro unità”».
Il Sé si costruisce sulla base di relazioni significative, che si stabiliscono già prima della nascita, come dimostrano le interazioni verificabili tra mamme e bambini ancora nella pancia. E poi, «si nasce già pronti all’incontro con  le persone della comunità umana», a stabilire quelle relazioni che ci rimandano continuamente «diverse immagini di sé che vengono interiorizzate ed entrano a far parte della propria organizzazione personale».
Il senso del noi emerge in famiglia nei primi anni di vita, poi si costruisce grazie ai rapporti con gli amici più stretti e cresce poi man mano che si sviluppa la capacità di cooperazione. Sono soprattutto gli adolescenti ad essere esposti alle valutazioni degli altri, con il passaggio all’età adulta si crea poi un punto di equilibrio che ridimensiona l’importanza dei giudizi degli altri nella percezione di sé.

La reciprocità è un piacere

Crescere vuol dire imparare a cooperare. E Ammaniti spiega che, anche se  in campo economico si è individuato nell’interesse personale il motore del comportamento umano, la ricerca nel campo neurobiologico ed evoluzionistico ha esaltato la capacità di cooperare.  Gli studi neurobiologici hanno infatti confermato che la collaborazione sociale «attiva il sistema di ricompensa, come si è visto con l’attivazione dello striato ventrale, un’area cerebrale che suscita soddisfazione. In altri termini non solo la soddisfazione dei propri impulsi personali suscita piacere, ma anche le esperienze di reciprocità, in cui si riconosce un ruolo positivo all’altro da cui si riceve a propria volta una conferma personale».
per aiutarci nell’incontro con gli altri, il nostro cervello dispone dei mirror neurons o neuroni a specchio – scoperti in tempi relativamente recenti – che entrano in gioco quando appunto scatta la risonanza emotiva, che ci permette di cogliere lo stato emotivo dell’altro e di preparare quindi l’incontro. Il sistema mirror è un meccanismo di interazione sociale immediato,  poi interviene il secondo livello, quello della mentalizzazione, che ci spinge «ad adottare la prospettiva degli altri, in modo da comprenderne le intenzioni, i desideri, oltre alle emozioni».

L’influenza dell’ambiente

La genetica insomma ci dà gli strumenti, l’ambiente ci aiuta a svilupparli: non c’è dubbio che gli atteggiamenti familiari influenzino il maturare di atteggiamenti aperti alla reciprocità, e che anche le altre figure educative e la scuola possano e debbano giocare in il loro ruolo nell’insegnare a mentalizzare l’altro e a collaborare. I bambini di oggi, segnala Ammaniti, spesso figli unici e troppo al centro dell’attenzione, sviluppano atteggiamenti narcisistici che interferiscono con la scoperta del noi.
Eppure, che We-go sia meglio di E-go è noto alla saggezza popolare da sempre. Il libro si apre con una citazione dell’Ecclesiaste: «Due sono meglio di uno perché hanno una buona ricompensa pe ril loro lavoro. Perché se cadono, l’uno rialzerà il suo compagno, ma guai a colui che è solo quando cade e non ha altri che lo rialzi».

ammanitiMassimo Ammaniti
“Noi. Perché due sono meglio di uno”
Il Mulino 2014
pp. 142, € 12,00

VIVERE DISUNITI? NO GRAZIE, PERCHÈ DUE SONO MEGLIO DI UNO

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