CONTRO L’ESCLUSIONE SOCIALE, LIBERARE LE POTENZIALITÀ DEL NON PROFIT

Il 25% delle istituzioni non profit del Lazio è orientata al disagio sociale, che è frutto di processi dinamici in cui sono coinvolte anche le istituzioni

Il 28 maggio si è tenuto il seminario “Le istituzioni non profit e il disagio sociale”, quarto e ultimo appuntamento a cura del Gruppo diRicerca CSV Lazio- Istat che, a partire da quanto esposto nel libro “Volontari, enti del terzo settore e istituzioni non profit nelle fonti dell’Istat” (il libro si può scaricare gratuitamente a questo link) si propone di analizzare il contributo delle associazioni non profit alla crescita socioeconomica del Paese e, nello specifico, della Regione Lazio. Nel corso dell’incontro sono intervenuti Marco Musella (Università Federico II di Napoli), Stefania Della Queva (Istat) e Alfredo Alietti (Università di Ferrara).

«È importante», sostiene Marco Musella, «capire le dimensioni del Terzo settore. L’analisi definita dall’Istat ci permette di comprendere quali e quanti siano i soggetti del non profit. Il mondo delle istituzioni è formato da organizzazioni che svolgono un’azione. Quest’azione non è catalogabile esclusivamente tramite la loro forma e organizzazione, ma ha una proiezione esterna fondamentale».

Chi esclude e chi è escluso

Compito dei diversi incontri è stato proprio quello di identificare l’azione delle Istituzioni non profit in relazione alle dinamiche di fragilità e disagio sociale. «Ciascuna di queste parole», ha proseguito Musella, «merita un’attenzione particolare, ma la parola esclusione ci richiama a una realtà più dinamica di un sistema che la produce. E questa dinamica, alle cui origini vi sono fattori di varia natura, il Terzo Settore si mobilita per contrastarla».

I fenomeni del disagio, della diseguaglianza e della fragilità possono e devono essere approfonditi in sinergia con i dati forniti dall’Istat. La linea di azione delle Istituzioni non profit deve necessariamente perseguire due aspetti fondamentali. Da un lato, capire chi è escluso e in cosa si materializza l’esclusione. Dall’altro, e i dati ci aiutano in questo, comprendere anche chi esclude, nonché «quali sono le dinamiche sociali economiche e psicologiche che sottendono l’esclusione sociale», conclude Musella.

I dati del Lazio

Stefania Della Queva ha invece posto l’accento sui principali dati esaminati dal censimento Istat sulle Istituzioni non profit. Si tratta di istituzioni che orientano la propria attività al contrasto del disagio e della vulnerabilità sociale. Fornire un quadro informativo per caratterizzare queste organizzazioni è stato lo scopo principale della ricerca Istat, al fine di capire come esse si inscrivono nel territorio della Regione Lazio e connotarle tramite censimento permanente, in questo caso risalente al 2015. L’indagine ha raggiunto un campione rappresentativo del settore e ha indagato rispetto alle principali caratteristiche. «Nel questionario», spiega Della Queva, «si indaga l’orientamento delle attività delle istituzioni attraverso due domande principali: e cioè, in primis, se l’azione delle istituzioni non profit è rivolta alla collettività o a categorie di disagio. In secondo luogo, ci si orienta verso specifici disagi. È stato chiesto alle istituzioni se la loro attività fosse orientata in maniera esclusiva, a prevalenza o in modo combinato alle categorie di disagio, analizzate grazie ad un’articolazione di 24 categorie prevalenti».

Il bacino delle istituzioni non profit con orientamento al disagio nella Regione Lazio vede il 75% orientato verso la collettività in generale (in linea con il dato nazionale, del 78%). È del 25%, invece, la percentuale di quelle la cui azione è orientata al disagio sociale.

Dai dati forniti dal censimento Istat, si osserva la distribuzione dell’azione delle istituzioni non profit del Lazio per le diverse categorie di disagio che si propongono di contrastare: per il 52,7%, l’azione è orientata verso persone con disabilità fisica e intellettiva. Per il 24,6% verso persone in difficoltà economica e per il 23,8% disagio psicosociale, in questo caso più alto del dato nazionale (19,5%). Il 79,3% delle istituzioni non profit conta su forme di finanziamento prevalentemente pubbliche. Più della metà delle istituzioni raggiunte dal censimento ha dimensioni economiche contenute (inferiori ai 30.000 euro). Il 19% sono medio-grandi (tra 30.000 e 100.000 euro), mentre la restante parte ha dimensioni economiche superiori ai 100.000 euro.

Liberare le potenzialità del Terzo Settore

Alfredo Alietti, infine, ha incentrato il suo intervento innanzitutto sulle figure del disagio, elemento costitutivo del Terzo Settore. «Il disagio», ha affermato, «è deprivazione. Non si tratta di parlare al singolare, ma di una multidimensionalità del disagio, di una sua intersezionalità. C’è un’articolazione del disagio che amplifica una serie di questioni. Si presenta quindi un ulteriore problema, che è quello degli effetti di contesto: avere dei disagi nel Lazio o Lombardia è un conto. Ma il disagio non ha a livello territoriale strumenti e risorse, cioè quello che definisco “capitale sociale istituzionale”, che può essere sostenuto nella sua capacità di reazione a queste criticità». Il disagio, pertanto, assume uno status non statico, ma dinamico, processuale.

Un secondo elemento fondamentale, per Alietti, è la committenza pubblica. «Vi è una definizione istituzionalizzata del disagio, che non sempre riesce a definirne la pluralità. Questa definizione», ha continuato, «tende a creare i contorni del disagio. Ciò richiede di aprire una discussione sui vincoli all’azione del Terzo settore, che non si risolvono esclusivamente nei termini economico-finanziari». Si rende necessario, pertanto, «incentivare le policies di integrazione alla vita collettiva, per comprendere quanto il Terzo Settore sia in grado di attivarsi, anche per integrare altri strumenti e risorse, volte al sostenimento della multidimensionalità del disagio».

In ultimo, Alietti ha posto l’accento sulla necessità di integrare le azioni delle istituzioni non profit orientate al disagio con la valutazione dell’impatto sociale degli interventi. «Si apre un orizzonte significativo», ha concluso, «conoscere e determinare la misurazione degli effetti sul disagio, come impattano e se impattano sullo status del soggetto che esprime un disagio, è quanto mai opportuno per ottenere quegli strumenti che garantiscano di avere un quadro capace di individuare le criticità e allargare lo spettro degli interventi».

CONTRO L’ESCLUSIONE SOCIALE, LIBERARE LE POTENZIALITÀ DEL NON PROFIT

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