CORONAVIRUS: PER IL VOLONTARIATO TEMPO DI OPPORTUNITÀ

“La pandemia ci ha insegnato che ce la possiamo fare”. Tra attività sospese e volontari inattivi da motivare, la voce di alcune associazioni

«L’arrivo del Covid-19 ci ha un po’ spiazzato, con l’interruzione all’inizio di tutte le attività di volontariato, tranne i trasporti in ospedale. Quando abbiamo capito che la situazione sarebbe durata un bel po’, Kim ha risposto in maniera positiva: abbiamo strutturato nuovi percorsi formativi. Il valore di fondo era fare in modo che questo tempo “imprigionato” potesse essere un tempo di opportunità», afferma Salvatore Rimmaudo, coordinatore Volontari e Area Formazione, Responsabile Relazioni esterne di Kim.

Coltivare le motivazioni dei volontari

L’associazione dal 1997 si occupa di accoglienza, tutela e ospedalizzazione di minori italiani o stranieri gravemente ammalati, che vivono in condizioni di disagio economico e sociale, spesso provenienti da Paesi in guerra o senza strutture sanitarie adeguate. A causa della pandemia hanno dovuto riorganizzarsi e cercare di essere vicini alle famiglie, nonostante l’impossibilità di recarsi in ospedale. «Volevamo dare una prospettiva diversa a questo periodo, che potesse dare a questo tempo un senso, utilizzando strumenti nuovi per continuare a fare incontri, invitando i volontari a fare manutenzione delle relazioni: da più di un anno è prioritario tenerle vive, sia con i volontari sia con gli ospiti della casa. Era importante dare una risposta positiva e dinamica, rispondere in modo generativo all’emergenza: il rischio che si atrofizzassero l’interesse e la motivazione dei volontari era molto alto. Ad esempio abbiamo inventato per i volontari nuovi percorsi mensili, on line, con persone che vivevano in missione all’estero e si occupavano di bambini».

TEMPO DI OPPORTUNITÀ
Volontarie dell’associazione Kim

«L’estate scorsa abbiamo riattivato all’aperto le attività del centro di accoglienza, anche con l’insegnamento dell’italiano: i volontari hanno dato subito un feedback molto positivo alla ripresa. Abbiamo dato vita ad un’esperienza di volontariato a distanza, come attività di animazione e relazione, dopo una formazione agli strumenti digitali. Il nostro motto è come la frase del film “Frankenstein Junior”: si può fare!».

Normalmente, i volontari di Kim vanno a trovare i bambini in ospedale (fino a quando era possibile prima del Covid), si occupano degli accompagni per terapie e visite, di attività di animazione (nella casa o con gite) e didattiche ai bambini, insegnano italiano alle mamme, dormono la notte al centro di accoglienza, animano le due botteghe di cucito e ceramica. «Tante attività hanno l’obiettivo di rendere la permanenza della mamma e del bambino quanto più gradevole e sostenibile possibile, durante il tempo delle cure, per evitare che il perno della giornata sia la terapia e ricostruire un clima di amicizia e di affetto. Con l’arrivo del Covid-19 abbiamo dovuto interrompere le visite in ospedale e il pernottamento nella casa di accoglienza», dice Rimmaudo. «Abbiamo però potenziato le attività di animazione a distanza, coinvolgendo anche i volontari di altri ambiti, per tenerli fidelizzati. Quando si riaprirà, vogliamo ritrovare le persone vicine a noi». L’associazione ha nove dipendenti che hanno mantenuto sempre aperto, a turno, il centro di accoglienza, con il supporto anche dei ragazzi del servizio civile.

«In questo tempo abbiamo svolto anche un corso on line di formazione per nuovi volontari. Molte persone chiedono di fare volontariato, in questo tempo in cui sembra che ognuno voglia pensare a se stesso, tanti hanno voglia di aiutare gli altri ora più che mai. Per il futuro, la raccolta fondi è una delle grosse sfide, abbiamo registrato una grande contrazione».

Alleggerire il peso delle giornate

Sostegno materiale, umano e psicologico alle famiglie che si trovano in difficoltà ad affrontare le malattie dei bambini ricoverati in alcuni reparti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Questo fa Arcoiris.
«Nata nel 2011, l’associazione nasce a partire da un’esperienza negativa della nostra fondatrice e presidente di allora, a causa della malattia rara di un suo nipotino, ricoverato al reparto di Broncopneumnologia dell’Ospedale Bambino Gesù, dove vengono seguiti i bambini medicalmente complessi, che hanno bisogno di apparecchiature che effettuano il monitoraggio costante dei piccoli pazienti per poter vivere», dice Gloriana Bracale, presidente di Arcoiris. «Il bambino non riuscì a superare la sua malattia. In quest’esperienza la nostra fondatrice toccò con mano il fatto che in questo reparto ci sono degenze lunghe, si vive chiusi in una stanza dell’ospedale per mesi e a volte anni, isolati dagli affetti: quando si scopre la malattia di un bambino, ad ammalarsi è tutta la sua famiglia. Questo reparto è di terapia semintensiva con 21 stanze, un’assistenza sanitaria perfetta, ma mancava la presenza di un supporto umano, relazionale: così è nata Arcoiris. Ci siamo estesi anche ad altri reparti. Quello che facciamo è alleggerire il più possibile il peso delle giornate in ospedale. Siccome i bambini devono essere sempre con un adulto in stanza, permettiamo al genitore di uscire una mezz’ora per una commissione, per prendersi un caffè o fare una chiacchierata».

Volontari a distanza, ma presenti 

Da marzo 2020, a causa della pandemia, il servizio in ospedale si è fermato. Le realtà che i volontari seguono sono molto critiche.

I volontari di Arcoiris, prima della pandemia
Foto di gruppo di Arcoiris, prima della pandemia

«Siamo attivi in reparti in cui i bambini possono essere immunodepressi e a rischio di infezioni, questa situazione ha reso impossibile l’attività. Quando si è cominciato a parlare di vaccinazioni, speravamo si facessero presto anche ai volontari, figure fondamentali in un ospedale come il Bambino Gesù di Roma, ma la scarsità di vaccini lo ha impedito finora. Non poterci recare in ospedale è stata una frattura dolorosa per noi, ma abbiamo cercato di mantenere i legami con le famiglie, che vanno al di là del momento della degenza, con contatti telefonici cerchiamo di tenere viva la relazione di aiuto e di ascolto e abbiamo attivato un servizio di volontari telematici, per fare in modo che le famiglie di nuovi degenti possano mettersi in contatto con noi per esigenze pratiche e organizzative. È difficile creare empatia a distanza, con le famiglie che non ci conoscevano prima è più complicato. Facciamo accompagni per diverse esigenze, per famiglie che arrivano in stazione o all’aeroporto. A Natale abbiamo portato cesti natalizi nei reparti, lasciandoli al personale sanitario, a Pasqua abbiamo donato delle uova decorate ai bambini ricoverati».

Oltre alla presenza in ospedale, Arcoiris mette a disposizione un alloggio per le famiglie dei piccoli ricoverati. «Spesso non sono di Roma e a volte non sono italiane, le aiutiamo nelle pratiche burocratiche per le difficoltà con la lingua italiana. I nostri volontari ricevono una formazione erogata dall’ospedale, poi la nostra associazione propone un percorso ad hoc, con psicologi specializzati. Periodicamente svolgiamo un coordinamento interno tra i volontari e ogni due mesi c’è la supervisione con uno psicologo. A volte ci troviamo ad affrontare la morte di bambini che seguivamo e siamo toccati in maniera importante. Abbiamo approfittato di questo periodo per sviluppare, con incontri on line, un percorso sui valori di Arcoiris, per tenere vivo il legame con i volontari. In occasione del decennale abbiamo il progetto di stendere una carta dei valori. Abbiamo anche organizzato visite virtuali, a mostre o monumenti, per incontrarci e raccogliere fondi. L’importante è non stare mai fermi».

Basta una parola o una carezza

«Prima della pandemia andavamo una volta alla settimana in reparto: per noi è stata dura, sappiamo che le mamme e i papà ci aspettano.  A marzo dell’anno scorso da un giorno all’altro le mamme si sono ritrovate chiuse nei reparti, senza neanche la possibilità che i papà potessero entrare», racconta Françoise Guisnet, una delle fondatrici, socia e volontaria di Arcoiris dal 2011. «Alcune famiglie ci restano particolarmente nel cuore, nel ricordo del bambino o della bambina che non ce la fanno, che spesso erano in attesa di un trapianto. Noi volontari allontaniamo il lato medico da quello che facciamo, dobbiamo tirare fuori solo il lato umano: le mamme hanno bisogno di parlare, con i bambini basta una carezza o una favola e sono contenti. Speriamo di tornare presto in ospedale».

 

 

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