
DECRETO SICUREZZA. NO IN CASSAZIONE MENTRE MANIFESTARE È SEMPRE PIÙ DIFFICILE
La Cassazione ha sollevato critiche che colpiscono al cuore il Decreto Sicurezza e ne mettono in dubbio la costituzionalità. Mentre in tutta Europa è sempre più difficile manifestare. Il punto di vista di Amnesty International e Giuristi Democratici
07 Luglio 2025
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Il 4 giugno il Decreto Sicurezza è diventato legge. La settimana scorsa l’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha sollevato una serie di critiche che colpiscono al cuore il decreto e sollevano dei dubbi di costituzionalità. Secondo la Cassazione non avrebbe senso la decretazione d’urgenza, le norme troppo eterogenee e la sproporzione delle sanzioni contro la quale in molti avevano alzato gli scudi. Si contestano i reati legati al contrasto del terrorismo, l’ampliamento dei poteri dei servizi e le norme contro il dissenso, tra cui i reati introdotti per i blocchi stradali utilizzati come disobbedienza civile nelle manifestazioni. E anche la repressione della resistenza passiva dei detenuti. Sono state bocciate in toto anche le norme sulle detenute madri secondo le quali è facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le donne condannate in stato di gravidanza o madri di figli con meno di un anno. Il parere della Cassazione non è vincolante, per cui il governo andrà avanti sulla strada intrapresa.
«L’ufficio del Massimario svolge una funzione di analisi delle norme introdotte dal legislatore, allargandole non soltanto alla giurisprudenza della Cassazione, ma alla dottrina e al dibattito scientifico» ci ha spiegato Antonello Ciervo, dell’Esecutivo Nazionale Giuristi Democratici. «Non ha fatto altro che dare conto dell’enorme criticità che l’approvazione del Decreto Sicurezza aveva manifestato nella dottrina costituzionalistica e penalistica. Quello che emerge da questo documento di 130 pagine è un’analisi tecnica e giuridica fermamente critica soprattutto nei confronti dei nuovi reati introdotti, in cui si rilevano innumerevoli profili di illegittimità costituzionale». Uno degli esempi più evidenti è la questione della cannabis light. «L’ufficio del Massimario scrive chiaramente che la misura è in palese contrasto con la normativa europea e la giurisprudenza europea» spiega Ciervo. «Vietare la Cbt in Italia non vuol dire vietare la circolazione dei prodotti dagli altri Paesi dell’UE. Per cui si crea una discriminazione alla rovescia: il mercato italiano sarà invaso da prodotti stranieri a base di canapa a danno della filiera produttiva della canapa in Italia». «L’ufficio del Massimario ha detto che il Re è nudo» aggiunge. «Gli attori politici dovrebbero riconoscere che hanno approvato un decreto legge incostituzionale, contrario al diritto europeo, in alcuni casi al diritto internazionale, che apre a una svolta autoritaria e repressiva, che ci avvicina a uno Stato di Polizia in stile Ungheria di Orban più che alle democrazie occidentali».

Sul Decreto Sicurezza si combatterà nelle aule
Adesso la battaglia si sposterà nelle aule, nei tribunali e presso la Corte Costituzionale. «Noi come Giuristi Democratici e le altre associazioni della rete poniamo la questione della incostituzionalità di molte norme” spiega Ciervo. «Ma non è che tutte le norme introdotte, solo perché sono sbagliate o hanno un profilo evidente di incostituzionalità, verranno necessariamente dichiarate incostituzionali. I giudici sono tenuti a dare delle leggi un’interpretazione costituzionalmente conforme. Anche senza dichiarare incostituzionali le norme possono neutralizzare tutti i profili più critici sul piano costituzionale. Penso che avremo una giurisprudenza molto più garantista nell’interpretazione delle norme di quella che è stata la decisione politica del governo. L’obiettivo è neutralizzare la portata autoritaria e repressiva di queste norme. Lo si può fare tanto nei giudizi, chiedendo a giudici di essere garantisti, quanto, nell’ipotesi in cui questo non sarebbe possibile questione, di sollevare la questione di illegittimità costituzionale. Abbiamo molte frecce al nostro arco. Nel corso dei prossimi mesi e anni ci sarà molto da lavorare».
Amnesty International: non solo l’Italia, stanno fiorendo “democrature” ovunque
Il riferimento all’Ungheria di Orban non è casuale. Il nostro Decreto Sicurezza non è infatti un percorso che nasce in un unicum e all’improvviso. Amnesty International da anni si occupa del diritto di protesta, di manifestazione e di espressione. Nel luglio del 2024 ha pubblicato un rapporto, “Poco tutelato e troppo ostacolato”, che racconta lo stato di salute della protesta in 21 Paesi dell’area europea, tra cui l’Italia, e che fa parte un lavoro globale che ha analizzato anche l’Iran, la Colombia, il Venezuela. «Perché ci interessa la protesta?» riflette Ilaria Masinara, Head of Campaigning Unit di Amnesty International Italia. «È quella che, con il potere delle persone e della società civile, ci permette di sfidare e cambiare il potere precostituito. Gli avanzamenti in fatto di diritti umani non sarebbero stati possibili se non grazie alla spinta della società civile. La protesta di piazza, o quella sui social, ci permette di avere degli avanzamenti di diritti sui cui i governi sono profondamente contrari, distanti o sordi. Il diritto internazionale tutela la protesta, come intersezione del diritto di manifestazione e del diritto di espressione». Che cosa ci racconta, allora, questo stato di salute? «È uno schema che si replica uguale in tantissimi Paesi, non solo in Italia: delle leggi draconiane. Sia in Europa che a livello globale, stiamo assistendo al fiorire di governi che si possono definire “democrature” o “autocrazie”, e che vedono nella protesta della società civile un fattore da silenziare. E tendono a proporre leggi sempre più irrispettose dei diritti umani senza che venga fatta nessuna opposizione. Il Decreto Sicurezza non è il primo e non è neanche l’ultimo, né di questo governo né dei governi precedenti». Per fare un riferimento recente, pensiamo al decreto anti rave. Ma che cosa intendiamo per leggi draconiane? «In Italia, come nel Regno Unito e in Francia ci sono leggi che rendono sempre più difficile e sanzionato lo scendere in piazza e alzare la voce, l’essere sempre più critici verso le posizioni governative. È un passaggio verso le autocrazie che non accettano il dissenso perché mette in rilievo leggi e atteggiamenti profondamente razzisti, un razzismo istituzionale che di fatto non può essere sfidato».
La burocrazia della protesta
C’è quindi un fattore di dissuasione che segue uno schema messo in piedi da diversi governi. Ed è interessante vedere come, tra le leggi che delegittimano lo spazio di dissenso, ci sia una sorta di burocrazia della protesta. «Ad esempio, la distinzione tra piazze autorizzate e piazze notificate, secondo un decreto regio che arriva dagli anni del fascismo, e che in alcuni punti va in direzione contraria rispetto alla presunzione di pacificità espressa dall’Art. 17 della Costituzione» ci spiega Ilaria Masinara. «C’è una presunzione di pacificità delle proteste che si organizzano. Il decreto regio che mette nero su bianco che le manifestazioni andrebbe autorizzate e non notificate va in contrasto con la nostra Costituzione. È un cortocircuito. Per cui ci sono strumenti che dovrebbero tutelare il diritto di protesta che vengono erosi dalla proliferazione di leggi mai come in questo governo messe in campo, con ricorso alla decretazione d’urgenza spropositato su contesti su cui non si sente l’urgenza, che hanno l’obiettivo di silenziare il parlamento e svuotare di contenuto l’opposizione della società civile».
La criminalizzazione della protesta
Esiste poi una sorta di criminalizzazione della protesta. «È messa in atto una narrativa tossica che dipinge i manifestanti e gli attivisti come ecovandali, terroristi» fa notare la responsabile delle campagne di Amnesty. «Ed equipara atti di protesta pacifica e tutelata ad atti di sovvertimento dell’ordine costituito o di terrorismo. Cosa ci preoccupa del Decreto Sicurezza? La vaghezza con cui viene espressa la casistica di protesta, per cui sanzioni che prima erano amministrative diventano penali: c’è un deterrente fortissimo alla protesta e un ricorso ingiustificato all’equiparazione di atti di terrorismo con atti di protesta pacifica. Collegata a questa è la disobbedienza civile, che di fatto è tutelata dalle Nazioni Unite, come una sfida legittima a norme e normative dell’ordinamento nazionale, che servono ad attirare l’attenzione su tematiche e questioni che altrimenti non l’avrebbero. È famoso il caso dell’attivismo climatico e dei movimenti contro le grandi opere. Il DDL Sicurezza mette nomi e cognomi su leggi che sono di fatto costruite ad hoc come il blocco stradale».
Lo svuotamento tematico
Ma preoccupa anche lo svuotamento tematico rispetto ad alcune proteste. «L’abbiamo visto chiaramente in tutta Europa con il contrasto alle proteste Pro Palestina e contro il genocidio di Israele» ci spiega Ilaria Masinara. «E anche in Italia, con dei divieti preventivi come quello del 5 ottobre 2024 a Roma nella piazza di Ostiense, che vietano la protesta sulla base del contenuto. Ma un divieto non può essere espresso a priori per il tema della protesta, altrimenti è censura. Ci preoccupa la gestione della protesta nei confronti di target specifici, come i minori. Come la manifestazione degli istituti superiori a Pisa che manifestavano per Gaza repressa con l’uso della forza, sproporzionato, indiscriminato e non necessario. L’utilizzo della forza nei confronti dei minori dovrebbe essere limitato al massimo, perché procura danni fisici, ma anche psicologici e morali. E poi vale la presunzione di pacificità della piazza: le forze dell’ordine dovrebbero mettere in pratica tattiche di de-escalation e non ricorrere alla forza».
