MIGRANTI, CENTRO ASTALLI: IL PAESE NON RIESCE AD USCIRE DALLA LOGICA DELL’EMERGENZA

Le conseguenze della pandemia, gli effetti dei decreti sicurezza, il silenzio dei media. Padre Ripamonti: «Il coraggio della pace ha le sue radici in una nuova giustizia. Abbiamo avuto questo coraggio?»

Gli effetti a lungo termine dei decreti sicurezza, la pandemia e la distrazione dei media. Tre elementi che non consentono al Paese di andare oltre la logica dell’emergenza quando si parla di migranti. È il grido d’allarme lanciato dal Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS, realtà impegnata da 40 anni a Roma e a Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Padova, Trento e Vicenza per difendere i diritti di chi arriva in Italia, fuggendo da guerre e violenze. Al Teatro Argentina di Roma è stato presentato il 12 aprile il rapporto annuale 2022 sulle attività del Centro, che parte da un dato su scala internazionale: nel 2021 il numero dei conflitti nel mondo è aumentato. L’UNHCR stima che nel mondo gli sfollati siano stati oltre 84 milioni (con la Siria che detiene ancora il triste primato, 6,7 milioni), in aumento rispetto agli 82,4 milioni di fine 2020.

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Anche nel 2021 l’accoglienza è stata soprattutto nei Centri di Accoglienza Straordinaria, con 52.302 persone ospitate, a scapito della rete SAI, che garantisce un’accoglienza «diffusa e molto più progettuale»

Centro Astalli: la situazione al 2021

I servizi territoriali del Centro Astalli – con costi di 3,4 milioni di euro pareggiati da altrettante entrate – sono l’accettazione, la mensa, l’ambulatorio, il servizio di orientamento legale e il centro per la salute dei migranti forzati SAMIFO. Dopo alcuni anni in cui l’accettazione aveva registrato una presenza prevalente di persone dall’Africa occidentale, soprattutto Mali e Nigeria, nel 2021 sono aumentati i migranti provenienti dal Corno d’Africa. Su 767 nuovi tesseramenti, ben 260 sono di persone provenienti dalla Somalia, con ben 111 contributi (su 487 totali) per il rilascio del primo permesso di soggiorno. Sono somali (417) e maliani (407) anche gli utenti più numerosi della mensa, per un totale di 46.027 pasti distribuiti durante il 2021. Hanno usufruito dei servizi dell’ambulatorio 1.634 migranti: 565 somali, 401 afghani, 220 iracheni, 163 maliani, 87 egiziani e altri 198 provenienti da altri Paesi. La maggior parte di loro sono uomini (89%) di età compresa tra i 20 e i 30 anni (49%), con poche donne (11%). Altri 1.044 rifugiati si sono rivolti al servizio di orientamento legale: primo ascolto, accompagnamento nella procedura d’asilo, ricorsi e contatti con avvocati e ricongiungimenti familiari hanno caratterizzato l’azione della struttura coordinata da padre Camillo Ripamonti, che durante la presentazione del rapporto ha spiegato come «il coraggio della pace ha le sue radici in una nuova giustizia». «Abbiamo avuto questo coraggio?» è la domanda che si è posto Ripamonti in un J’accuse che mette anche la politica di fronte alle proprie responsabilità. «Al centro Astalli abbiamo guardato negli occhi e ascoltato le storie e l’anelito di giustizia di migliaia di rifugiati. Nel 2021 abbiamo incontrato 17 mila persone, circa 10 mila solo a Roma. Dov’era il nostro coraggio quando abbiamo lasciato nei centri di detenzione in Libia migliaia di migranti, o le abbiamo abbandonate in mare, lungo la costa balcanica e al confine tra Polonia e Bielorussia? La riforma della Convenzione di Dublino tarda ad arrivare. La pace si costruisce ogni giorno e forse ci è mancato il coraggio della quotidiana convivenza con i migranti».

Nel 2021 gli sbarchi nel nostro Paese sono stati 67.747 (il 47% provenienti dalla Libia). I morti o i dispersi nel Mediterraneo sono stati 1.496, un “cimitero” nel quale si contano oltre 23 mila vittime dal 2013. «Si parla di falsi rifugiati secondo una nuova retorica della propaganda» ha proseguito Ripamonti. Centro Astalli ha poi acceso un faro su un’altra questione: anche nel 2021 l’accoglienza c’è stata prevalentemente nel CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), con 52.302 persone ospitate, a scapito della rete SAI (25.715 presenze) che garantisce un’accoglienza «diffusa e molto più progettuale». In queste strutture la Nigeria resta il Paese più rappresentato. Per la fase successiva dell’inclusione sociale, invece, il Centro Astalli garantisce l’insegnamento della lingua italiana (la scuola di italiano è un servizio attivo da oltre 20 anni e si sono iscritte 176 persone nel 2021), corsi e laboratori per il rafforzamento delle competenze (9 persone hanno partecipato al corso di teoria per prendere la patente, altre 6 ai corsi di conoscenza della Costituzione italiana), orientamento e accompagnamento sociale, formazione professionale e inserimento lavorativo, oltre all’erogazione di contributi per l’inclusione. Dal 1999, il Centro Astalli annovera tra i suoi servizi la lavanderia “Il Tassello”, una piccola attività produttiva che fornisce un servizio di lavaggio, stiratura, imballaggio e consegna di lenzuola e biancheria a numerosi centri di accoglienza, in funzione tutti i giorni nei locali adiacenti alla mensa.

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Padre Ripamonti: «Nel 2021 abbiamo incontrato 17 mila persone, circa 10 mila solo a Roma».

Persone, non numeri

Particolarmente significative le testimonianze di Duclair e Olha durante la presentazione del rapporto. Il primo, rifugiato in Italia da 4 anni, in Camerun studiava Giurisprudenza e durante una protesta studentesca è stato arrestato e torturato, restando in carcere per due mesi. «Sono fuggito, avrei voluto raggiungere l’Algeria dove c’era mio nipote ma i trafficanti mi hanno ingannato e sono finito in Libia. Mi sono ritrovato in una casa abbandonata, con altri 200 prigionieri. Potevamo uscire solo pagando un riscatto di 400 euro. Da lì, la via del mare è stato un percorso obbligato». A salvare il suo gommone è stata la nave di una Ong. «Ricordo il dolore quando l’acqua del mare entra a contatto con il carburante uscito dalle taniche e ti ustiona la pelle. Adesso sono un operatore socio-sanitario e il primo contratto di lavoro vero l’ho avuto in una famiglia dove facevo assistenza a una persona anziana. Noi rifugiati scappiamo perché non abbiamo scelta».

Olha viene invece dall’Ucraina, è una psicologa di Leopoli. Dopo aver studiato a Roma è tornata nel suo Paese nel 2014 «per essere d’aiuto al mio popolo quando è iniziata la guerra nella regione di Donetsk, Luhansk e Crimea». L’invasione russa l’ha costretta a fuggire: «volevo salvarmi dai bombardamenti. La vita nei rifugi sotterranei senza cibo, acqua, luce e gas, con torture e violenze su donne e bambini, ti porta a fare una scelta. Da quando sono a Roma continuo a lavorare online come psicologa dando sostegno alle persone rimaste in Ucraina e nel frattempo aiuto i rifugiati come psicologa e mediatrice culturale».

La guerra, e l’emergenza sanitaria

Gli effetti socio-economici dell’emergenza sanitaria hanno acuito le vulnerabilità dei rifugiati, aumentando fragilità e marginalità sociale: la pandemia ha influito sulla loro vita, sugli spostamenti e sull’accesso alla protezione internazionale. Nel frattempo, però, le migrazioni sono sparite dal racconto quotidiano dei media. Nei tg e sui giornali non se ne parla quasi più. Il bilancio a due anni dal superamento dei decreti sicurezza fotografa quindi un Paese che continua a discutere di immigrazione con timori, paure e pregiudizi, mentre la guerra in Ucraina ha portato in Italia 70 mila persone, più di quelle accolte nell’intero 2021. «In questo contesto finalmente è divenuta operativa la direttiva 55 del 2001 che prevede l’immediata protezione temporanea del rifugiato» ha sottolineato la vice ministra degli Esteri, Marina Sereni, presente al Teatro Argentina. «È la prima volta che viene applicata, si tratta di un fatto storico che crea un importante precedente. Ne abbiamo discusso per anni ed ora si offre ai rifugiati questa occasione». Ma c’è ancora molto da fare per una diversa considerazione dei migranti e dei loro diritti. E bisognerebbe farlo ogni giorno, partendo dal territorio, con gesti concreti.

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