L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE A SCUOLA È PREVENZIONE

Dopo il caso di Giulia Cecchettin si è parlato molto di educazione sentimentale. Per Orietta Matteucci, Associazione Bambino Oggi Uomo Domani, dovrebbe essere insegnata a scuola, coinvolgendo genitori e insegnanti. Oltre a media e social

«L’educazione è l’unica arma che abbiamo per salvare il Mondo. Usiamola!» Lo diceva Nelson Mandela. Questa citazione l’ha ripresa Orietta Matteucci, presidente dell’Associazione Bambino Oggi Uomo Domani, che da anni si occupa proprio di educazione. In particolare di educazione sentimentale, un tema di cui oggi si parla molto, soprattutto dopo la terribile storia dell’omicidio di Giulia Cecchettin. C’è bisogno di un’educazione alle emozioni, di imparare una gestione delle stesse, anche per combattere secoli di retaggio maschilista e patriarcale. Sulla questione di recente ha detto la sua anche l’attrice e regista Paola Cortellesi. «Io ho goduto dei diritti conquistati anche per me, ma la cronaca ci racconta una non considerazione del femminile molto cruento. Come si cambia? Con la scuola: l’educazione sentimentale deve essere una materia. Ma una materia importante, di quelle con i voti che fanno media» ha dichiarato. Ma, come ci ha spiegato Orietta Matteucci in un post, il fatto è che gli adulti, a partire da genitori e insegnanti, devono avere le competenze per trasmettere l’educazione ai sentimenti. Cooperazione, tolleranza, solidarietà: non si tratta di doti innate e la storia insegna. E l’unico rimedio è realizzare coraggiosamente e doverosamente l’educazione ai sentimenti come indicato 30 anni fa nel documento WHO’93 Skills for Life. Quelle skill vanno insegnate “con la pratica e l’allenamento” agli adulti, a partire da genitori e insegnanti, in modo da trasmetterle, poi, alle giovani generazioni di ogni sesso. Orietta Matteucci si chiede giustamente: se l’educazione ai sentimenti fosse stata iniziata 30 anni fa seriamente, quante probabilità ci sarebbero che un giovane di 22 anni uccida una sua coetanea?

Dieci competenze contro la violenza

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Matteucci: «Educare alle emozioni significa prevenzione. E sappiamo bene che in Italia prevenzione e merito non sono considerati prioritari»

Ma come si può realizzare oggi una vera educazione sentimentale? «Tutto dipende da come comunichiamo», spiega. «Saper comunicare, saper raccontare fa la differenza. La nostra guida è stato proprio il documento WHO’93 Skills for Life emanato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’obiettivo di arginare e prevenire, dopo studi decennali, le liti, il bullismo, i femminicidi, le violenze, le guerre. Questo documento ha tirato fuori un nucleo di 10 competenze, chiamate Skills For Life; si tratta di capacità cognitive, sociali ed emotive» continua. «Tra le capacità cognitive ci sono la gestione dello stress, risolvere i problemi, prendere decisioni, senso critico e creatività. Tra le competenze sociali ci sono empatia, comunicazione e relazioni efficaci. Tra le competenze emotive ci sono consapevolezza di sé e gestione delle emozioni. L’empatia sta nelle skill sociali, non è un’emozione» precisa. «Pensiamo a chi trova una persona che sta per affogare: c’è chi chiama il 118, ed è preso da simpatia; chi si getta per salvarlo e annega anche lui; chi si chiede se può salvarlo o se non è in grado, e in quel caso chiama il 118, o se quella persona non sta annegando e vuole solo nuotare. L’empatia prevede che io sappia riconoscere le mie emozioni per riconoscere quelle dell’altro. E, soprattutto, rimanere me stesso: capire se qualcuno mi chiede aiuto e se io posso aiutare. L’educazione sentimentale deve insegnare tali skill» spiega Matteucci. «Tramite queste si possono poi sviluppare la famosa intelligenza emotiva, quella che affianca il QI razionale. Devono andare di pari passo, altrimenti come gestire gli istinti? Quando parliamo di femminicidio, di violenze, pensiamo a questo: se i bambini non vengono educati appena nati quando può accadere? L’unica arma che abbiamo per salvare il mondo sono queste dieci competenze».

L’educazione sentimentale è prevenzione. E in Italia non è prioritaria

Ma come si insegnano e come si apprendono queste competenze? «Di certo non si possono insegnare, come ha detto il Ministro Valditara, con un’ora ogni tanto, per un totale di 12 ore all’anno, con uno psicologo e un’influencer» risponde Orietta Matteucci. «Lo scoglio è questo. Educare alle emozioni in fondo significa prevenzione. E sappiamo bene che in Italia prevenzione e merito non sono considerati prioritari. È altrettanto chiaro che i politici o non sanno come attuare questa educazione, con quali professionisti e anche con quali fondi. Oppure sono consapevoli di questo e non vogliono affrontare un progetto oneroso e che sappiamo che potrà avere risultati solo nel medio e lungo termine».

Tra insegnanti e genitori uniformità ai messaggi educativi

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Un gruppo di insegnanti che hanno collaborato con Bambino Oggi Uomo Domani sul tema dell’educazione sentimentale

«Con la nostra associazione, per dieci anni, abbiamo sperimentato l’efficacia di queste skill, che abbiamo offerto alle scuole, a insegnanti e genitori» ci spiega la presidente di Bambino Oggi Uomo Domani. «Perché insegnanti e genitori devono dare uniformità ai loro messaggi educativi: i bambini già sono disorientati, poi se i genitori parlando in un modo e gli insegnanti in un altro, lo diventano ancora di più. Ma perché insegnanti e genitori per primi? Perché si nasce figli, non si nasce né genitori né insegnanti, ma lo si diventa. Siamo andati per dieci anni nelle scuole, abbiamo ideato un format, nato da un ricercatore a livello internazionale, e lo abbiamo applicato durante i laboratori. Come dice l’OMS, queste skill devono essere allenate anche quotidianamente, perché siamo all’inizio. Quando, tra trent’anni, le avranno tutti, diventeranno innate. Abbiamo fatto 18-20 incontri di due ore e mezzo ciascuno, condotti da volontari, professionisti che provenivano dall’Aspic: avevano un’esperienza provata nelle relazioni interpersonali e nella gestione dei conflitti. Hanno imparato il format e lo hanno applicato privatamente nelle loro attività. Una volta imparato a comunicare, comunichi sempre: nella coppia, nella famiglia, con gli amici, a scuola, con i colleghi. È come parlare una nuova lingua».

Necessari nelle scuole professionisti esperti nelle relazioni e nei conflitti

 Riprendendo quindi quel documento WHO’93 Skills For Life «si tratterebbe di avviare, anche per gradi, un programma nelle scuole, coinvolgendo insegnanti, genitori e media. Una cosa infatti è lo psicologo a scuola, una figura che esiste da tempo come supporto per chi lo chiede, un’altra è avere dei professionisti esperti nelle relazioni e nei conflitti da impiegare per l’educazione all’affettività. Sarebbe un piano da realizzare in tutte le scuole di ogni ordine e grado, affiancato doverosamente dal coinvolgimento di media e social che trasmettano comportamenti etici di esempio per i giovani e non solo per questi. Io ho utilizzato questi professionisti dell’Aspic, un gruppo che è presente capillarmente in tutta Italia, anche nelle scuole» sottolinea Matteucci. «Professionisti che potrebbero essere coinvolti con una quarantina di ore all’anno: che hanno un costo, certo, ma avrebbero anche un loro ritorno di immagine».

Con l’ascolto si risolvono le cose

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Il maestro Manzi in Non è mai troppo tardi. Immagine Wikicommons

L’obiettivo è allora che si rafforzi l’insegnamento dell’affettività e dell’empatia a scuola, attraverso la sperimentazione, l’allenamento, la pratica. Ma come sarebbe in concreto una lezione di educazione sentimentale. «Quando facevo gli incontri nelle scuole, portavo in scena due attori e facevo recitare loro una scenetta con lo stesso problema e due soluzioni. Una volta la soluzione era litigare, l’altra era spiegarsi, e alla fine questi attori si abbracciavano. La differenza tra le due situazioni è l’ascolto. Quando si diventa capaci di ascoltare attentamente si possono risolvere le cose. Ciò che impedisce di farlo è il giudizio. Io sono pronto a giudicare, a dare consigli, a parlare di me, a dire la mia esperienza, ma non ascolto. Quando siamo capaci di un ascolto attivo, incondizionato, vuol dire che diamo la precedenza a quanto la persona sta dicendo. Così potremo capire che quella persona magari voleva solo nuotare e non stava affogando».

Trasmissioni tv per insegnare le emozioni

In questi discorsi fanno spesso la loro comparsa i media e i social, che in fatto di educazione hanno una loro responsabilità e dovrebbero agire in un senso univoco per quanto riguarda l’educazione. Orietta Matteucci fa un parallelo interessante. «Dopo la Seconda Guerra Mondiale in Italia c’era un alto tasso di analfabetismo» ricorda. «Così si diede vita a Non è mai troppo tardi, trasmissione in cui il maestro Manzi insegnava a leggere e scrivere agli italiani. Oggi dovrebbero fare delle trasmissioni per insegnare le emozioni. Quelle scenette di cui parlavamo prima dovrebbero essere fatte vedere in tv, per mostrare come si litiga e come invece si comunica. Sarebbe una rivoluzione culturale».

In copertina foto di Stefano Ferrario da Pixabay

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