DAL FALASTIN FESTIVAL VOCI AL FEMMINILE PER LA PALESTINA

Storie e testimonianze di pensiero e di azione al femminile per la liberazione di Gaza e della Palestina dal Falastin Festival 2025. Tra i contributi Maria Elena Delia, portavoce italiana della Global Sumud Flotilla: «Non perdeteci di vista. Siamo in mare esclusivamente per Gaza, dove continuano a morire persone innocenti e dove fame e sete sono usate come arma»

di Antonella Patete

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Huda Almughary è una giovane donna palestinese, che studia ingegneria alla Sapienza di Roma, dopo essere arrivata in Italia grazie a una delle operazioni umanitarie messe in campo per accogliere persone provenienti dalla Striscia di Gaza. «Voglio raccontare la mia storia di donna di Gaza che cerca di andare avanti da sotto le macerie della Patria», ha detto intervistata dal presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio, Yousef Salman. Salman ha tradotto le sue parole a beneficio del vasto pubblico che, nella Capitale, ha affollato i locali della Città dell’Altra Economia, dove fino al 14 settembre è in corso la sesta edizione di Falastin Festival della Cultura palestinese. «A Gaza vivevo in maniera semplice, facevo le mie cose e sognavo di andare in Europa», ha raccontato Huda, aprendo il panel Le donne e la lotta di liberazione in Palestina. «Poi, dopo l’aggressione e l’invasione di Israele, la mia vita è cambiata completamente, così come quella di tutti i palestinesi. Si tratta di una guerra completamente diversa da tutte quelle precedenti e, ora che sono in Italia, leggo sempre le notizie per vedere se tra i morti ci sono i nomi dei miei familiari. In altre circostanze i miei interessi si sarebbero rivolti ad altre cose», ha detto ancora. «L’unica cosa buona è che, dopo tante sofferenze, ho ripreso i miei studi e sono riuscita ad aiutare mia madre, che oggi si trova qui tra noi, a completare le sue cure mediche. In Italia la gente vive una vita normale, mentre a Gaza questo non è possibile. La mia speranza è che i gazawi possano vivere come voi e come tutti gli abitanti del mondo. Vi prego di aiutarci e di fare di tutto affinché il boicottaggio rappresenti una sfida vincente».

Cossutta, Casa internazionale delle donne: «Un femminismo che non riesce a nominare Gaza non è femminismo»

Quello di Houda è solo un esempio di come le donne palestinesi non siano sempre e solo madri e vittime, ma una comunità di studentesse, cittadine, attiviste da sempre al centro della vita civile nei territori occupati. «Sono la spina dorsale della resistenza palestinese», ha affermato l’attivista per i diritti umani Leen Abusaid, ricordando la necessità di atti concreti per aiutare la popolazione di Gaza. «La Palestina non ha bisogno di compassione ma di azione concreta: di alleanza tra donne e popoli» ha scandito. «Per favore non lasciateci sole, ascoltate e amplificate le nostre storie, sostenete i nostri progetti, aiutate le donne palestinesi a far sentire la propria voce». E sul ruolo delle donne palestinesi si è soffermata anche Maura Cossutta, presidente della Casa delle donne, una realtà che per tanti anni ha seguito progetti a Gaza. «Le donne di Gaza e le donne della diaspora sono straordinarie», ha rimarcato. «Tra i nostri progetti c’era quello di costruire la Casa delle donne anche a Gaza. Ci hanno insegnato tantissimo, non solo resistono, ma ci danno una grande lezione di femminismo: o il femminismo è transnazionale o non è. Un femminismo che non riesce a nominare Gaza non è femminismo».

Delia, Global Sumud Flotilla: «Non perdeteci di vista»

All’incontro ha partecipato anche Maria Elena Delia, la portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, che ha inviato un messaggio registrato dalla Sicilia, dove ieri era in attesa della partenza delle barche italiane. «Vi mando questo messaggio da Siracusa da dove domani (ieri ndr) partiranno le barche della Global Sumud Flottilla. Questa missione sta coinvolgendo centinaia e centinaia di persone e ha sollevato un’ondata di solidarietà che non ho mai visto prima nella vita». Nel messaggio dell’attivista anche il riferimento agli attacchi subiti negli scorsi giorni dalla Flottilla. «Come sapete», ha proseguito Delia, «nelle scorse due notti, due delle barche arrivate a Tunisi dalla Spagna sono state attaccate con droni. Siamo preoccupati perché sappiamo che – nonostante si tratti di un’azione umanitaria, pacifica e non violenta – la Flottilla sta portando dei grandi grattacapi al governo israeliano e a quello dei suoi alleati». Il messaggio si è chiuso con l’invito a non lasciare solo l’equipaggio e a tenere alta l’attenzione sulla missione. «Non perdeteci di vista», ha detto, invitando al tempo stesso i presenti a non dimenticare che «noi siamo in mare esclusivamente per Gaza, dove continuano a morire persone innocenti. E muoiono non solo per i bombardamenti, non solo per l’invasione di terra, ma anche per la fame. La fame e la sete sono usate come arma, cosa condannata perfino dalla Convenzione di Ginevra».

Falastin Festival
Leen Abusaid: «La Palestina non ha bisogno di compassione ma di azione concreta: di alleanza tra donne e popoli. Per favore non lasciateci sole, ascoltate e amplificate le nostre storie, sostenete i nostri progetti, aiutate le donne palestinesi a far sentire la propria voce»

Pettini, Emergency: «Operatori provati nell’anima, pazienti triplicati»

A tracciare un quadro drammatico della situazione a Gaza è stata anche Cinzia Pettini, attivista di Emergency. L’organizzazione umanitaria seguirà la missione della Flottilla con una propria nave, la Air Support, pronta a dare supporto medico in caso di necessità. «Non facciamo parte della Flottilla, ma la seguiremo per dare un segnale forte: Emergency è lì ed è con loro», ha spiegato l’attivista. «A bordo della nave ci sono persone di 29 nazionalità diverse: è la popolazione del mondo che ha deciso di muoversi, perché chi ha il potere di fare qualcosa non sta facendo nulla». Da marzo 2024 l’organizzazione fondata da Gino Strada gestisce a Gaza un ospedale, che riceve mediamente 250 pazienti al giorno, numero che negli ultimi tempi è raddoppiato o triplicato. «I nostri operatori tornano da lì provati non solo fisicamente, ma nell’anima. Io li guardo negli occhi, in quegli occhi c’è tutto quello che non riescono a dire», ha raccontato Pettini, ricordando come gli operatori sanitari si siano trovati ad assistere perfino bambini che a 9 anni di età pesavano appena 12 chili. Un altro problema è quello delle condizioni estreme nelle quali si trova a lavorare il personale sanitario. «Sono costretti a medicare le ustioni di bambini senza usare antidolorifici. Devono dargli gocce di Valium». Particolarmente critica risulta poi la situazione degli operatori palestinesi che lavorano con Emergency e vivono nelle tendopoli, senza acqua né servizi igienici da oltre un anno. «Quando un collega palestinese non arriva la mattina, i nostri si domandano: non è riuscito ad arrivare, non ce l’ha fatta ad alzarsi per lavorare, oppure proprio non arriverà più?».

Perri (Sanitari per Gaza): «Se questo non è genocidio, non so cosa si possa definire tale»

In rappresentanza dei Sanitari per Gaza, organizzazione nata nel dicembre 2023, è intervenuta, invece, Francesca Anna Perri, dottoressa emergentista che, insieme ai colleghi, si è fatta portavoce di chi lavora sul campo. «Sono persone non solo resistenti, ma di un coraggio che noi manco ce lo sogniamo, perché siamo qua comodi, al caldo, abbiamo cibo e riscaldamento. Loro lavorano in condizioni veramente estreme», ha spiegato. La situazione più drammatica –secondo la dottoressa – riguarda le scelte che i medici sono costretti a fare per la mancanza di farmaci. «Se arriva un bambino di un anno e un adulto di 60 anni e devi scegliere chi curare perché hai poche scorte, magari curerai quello di 60 anni perché ha più probabilità di sopravvivenza e il farmaco non viene sprecato», ha raccontato l’emergentista. Dei 36 ospedali presenti a Gaza, molti dei quali all’avanguardia, «sono rimaste in piedi solo le rovine». Per i medici questo è l’ultimo atto di una strategia precisa: «Quando tu affami un popolo, lo asseti, distruggi il sistema sanitario, non assisti le partorienti perché non vuoi far nascere i nuovi palestinesi, se lì non c’è volontà genocidaria io non so che cosa sia genocidio».

DAL FALASTIN FESTIVAL VOCI AL FEMMINILE PER LA PALESTINA

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