
FINE VITA, LUCA COSCIONI: 16MILA LE RICHIESTE NELL’ULTIMO ANNO
Eutanasia e suicidio assistito, interruzione delle terapie, cure palliative. Nell’ultimo anno al Numero Bianco dell’Associazione Luca Coscioni sono arrivate 44 richieste al giorno. Ognuna una persona che non ce la fa più, un Paese che non trova soluzioni e un volontario, per ascoltare e far capire che il suicidio assistito non è l’unica possibilità rimasta
10 Dicembre 2025
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Da quasi cinque anni, due volte a settimana, Katharina Quadt sceglie con cura ogni singola parola per rispondere nel modo più preciso e scrupoloso possibile a chi telefona in cerca di informazioni su una serie di temi altamente sensibili come eutanasia e suicidio assistito, testamento biologico e interruzione delle terapie. Nata 76 anni fa in Germania e residente da 41 a Roma, Katharina è una delle 35 volontarie e volontari che ogni giorno rispondono allo 06 9931 3409: il Numero Bianco dell’Associazione Luca Coscioni, creato nel 2021 per fornire indicazioni chiare e attendibili sui diritti legati al fine vita. «Sono venuta in Italia per scelta e ho lavorato come programmatrice informatica», racconta. «Poi, andando in pensione, sono tornata padrona del mio tempo e cinque anni fa ho scelto di dedicare una parte delle mie energie rispondendo al telefono del Numero Bianco. Da due anni, poi, sono diventata anche volontaria di una delle cellule territoriali dell’Associazione, che nelle varie città portano avanti attività di sensibilizzazione per la difesa delle libertà e dei diritti, come le raccolte firme e le proiezioni di film».
Da utente a volontaria: «L’Associazione Luca Coscioni mi ha illuminato»
Katharina si è avvicinata all’Associazione Luca Coscioni per motivi personali, dopo aver ricevuto lei stessa aiuto in un momento di forte difficoltà. «Sono diventata caregiver dell’uomo con cui avevo vissuto per 35 anni, rimasto allettato in seguito a un’operazione», ricorda. «Quella del caregiver è una vita molto pesante, specie quando manca una rete di amici e familiari. Tra il 2017 e il 2018 non c’era nessuno a cui chiedere aiuto, nemmeno per questioni pratiche come cambiare un cerotto o un catetere, mentre il medico di famiglia si limitava alle cose strettamente necessarie. Alla fine ho avuto l’illuminazione di rivolgermi all’Associazione Luca Coscioni, che mi ha aperto gli occhi sulla possibilità di ricorrere alle cure palliative, un’opzione che non avevo preso in considerazione. Poi il mio compagno è venuto a mancare e, quando l’Associazione ha istituito il Numero Bianco, ho deciso di dare il mio contributo».
Quarantacinque volontarie e volontari a fianco di chi cerca informazioni
La storia di Katharina non è un’eccezione, perché molti dei volontari e delle volontarie del Numero Bianco sono stati in primo luogo utenti. «Spesso ci raccontano di essersi attivati perché quella chiamata è stata risolutiva per loro. Questo non vuol dire necessariamente che il proprio caro sia arrivato al fine vita, ma che siamo riusciti a fornire delle alternative valide per alleviare il suo dolore», spiega Matteo Mainardi, responsabile delle iniziative sul fine vita e coordinatore dei volontari dell’Associazione Luca Coscioni insieme a Valeria Imbrogno, psicoterapeuta e compagna di Dj Fabo. Mainardi lavora nell’Associazione da 13 anni e prima dell’istituzione del Numero Bianco era lui, da solo, a raccogliere le tante telefonate che arrivavano ogni giorno. Oggi coordina il gruppo dei 35 volontari a cui si aggiunge un’altra decina di medici e avvocati, che intervengono, sempre su base volontaria, nelle situazioni più complesse, quelle che necessitano di una consulenza più approfondita. «Anche se non mancano persone più giovani, la maggior parte di chi fa volontariato con noi è in pensione, perché ha più tempo da dedicare all’associazione», prosegue il coordinatore. «Attraverso una piattaforma web è possibile rispondere al Numero Bianco da casa propria, ma nessuno svolge turni di più di due ore a settimana: il carico emotivo è troppo forte. Molte persone chiamano non solo per ottenere informazioni, ma anche per il bisogno di esprimere la propria sofferenza. È importante offrire un ascolto attivo, ma poiché la sofferenza di chi chiama rischia di trasferirsi su chi fornisce le informazioni, ogni uno o due mesi organizziamo momenti di confronto per aiutare i volontari a sostenere il dolore con cui vengono in contatto».
Sedicimila richieste in un anno: le storie di chi non ce la fa più
Solo nell’ultimo anno, tramite il Numero Bianco e la posta elettronica, l’associazione ha ricevuto oltre 16mila richieste di informazioni sul fine vita: una media di 44 al giorno, con un aumento del 14% rispetto ai 12 mesi precedenti. Nel dettaglio, si tratta di circa 5 richieste al giorno solo su eutanasia e suicidio medicalmente assistito, per un totale di oltre 1.700 l’anno, e di 393 richieste sull’interruzione delle terapie e sulla sedazione palliativa profonda. Beatrice, per esempio, ha 67 anni e soffre di atassia cerebellare cronica e progressiva. È stata operata al cuore, ha un pacemaker, dipende dall’ossigeno 24 ore su 24 e si alimenta solo con cibo frullato. La patologia sta compromettendo tutte le funzioni vitali, provocandole anche gravi deficit visivi. Ha tentato quattro volte il suicidio senza riuscirci, ma spiega di essere ormai troppo debole anche per togliersi la vita. Per questo ha chiesto di poter affrontare «l’ultimo viaggio» verso Zurigo. Simone, 38 anni, è affetto da vasculite sistemica idiopatica autoimmune. Non è più in grado di leggere, vedere la Tv, usare il computer, ma si sente perfettamente «lucido e determinato» per affrontare il suicidio assistito. Una richiesta che la sua Regione ha respinto, perché attualmente non è dipendente da trattamenti di sostegno vitale, una delle quattro condizioni individuate dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale per la non punibilità dell’aiuto al suicidio medicalmente assistito, insieme alla presenza di una patologia irreversibile, di sofferenze intollerabili e della piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Anche Sara, 56 anni e la sclerosi multipla, non ce la fa più. Per scrivere utilizza un puntatore oculare e dal 2017 ha provato ogni tipo di terapia. Ma ora sente che le condizioni per andare avanti si sono fatte troppo pesanti e spera di potersi congedare dal mondo il prima possibile.
Non solo fine vita, dalle cure palliative al rifiuto delle terapie i diritti ignorati di chi soffre
«La richiesta principale che arriva al Numero Bianco riguarda il fine vita per interrompere le sofferenze personali o dei propri cari, ma noi cerchiamo di far capire alle persone che il suicidio assistito non è l’unica soluzione possibile», precisa Mainardi. Esistono anche il testamento biologico, il rifiuto o la sospensione delle terapie e il diritto alle cure palliative. «Così, nella maggior parte dei casi, la richiesta iniziale viene meno», prosegue. «La persona riesce mettere in ordine le idee e ad affrontare il momento di grande sconforto che sta vivendo, comprendendo quali sono le possibilità reali. E forse è proprio questo il maggior successo del servizio: riuscire a indirizzare richieste estreme, come quelle del fine vita, verso altre possibilità meno conosciute, ma comunque presenti nel nostro Paese».
Le chiamate più pesanti arrivano da chi ha una sofferenza psichica
Non sempre, però, i volontari riescono a essere d’aiuto. E se tutte le storie sono difficili, alcune situazioni sono ancora più complicate da gestire. Spesso non si tratta di chi sta percorrendo l’ultimo tratto della propria vita o dei suoi cari, ma di persone con gravi disturbi psichiatrici. «A volte minacciano il suicido e i volontari si ritrovano a doverle calmare, a farle ragionare o a metterle in contatto con un Centro di salute mentale», spiega il coordinatore. «Ma una volta chiusa la chiamata non sai che cosa farà quella persona». Forse è anche per la consapevolezza delle difficoltà a cui si va incontro che molti non riescono a terminare neppure i corsi di formazione per volontari o, se li terminano, rinunciano a passare dalla teoria alla pratica. Dei 35 che hanno frequentato l’ultimo percorso formativo organizzato dall’associazione solo cinque risponderanno effettivamente al Numero Bianco. Gli altri hanno capito di non essere le persone giuste per un carico di responsabilità così grande. «Spesso, quando ti chiama qualcuno che dice di volerla fare finita a causa di un disturbo psichiatrico, non basta indirizzarlo presso un Centro di Salute Mentale, perché sono persone che quei luoghi li hanno frequentati per anni e che hanno già provato ogni tipo di cura, senza trovare sollievo. Servirebbe una riflessione seria su questo tema», conclude Mainardi, «ma al momento sembra impossibile in un Paese che non riesce a trovare soluzioni neppure per chi ha gravissime patologie fisiche».
Immagine di copertina: PhotoLanda







