
GAZA ANCORA AL BUIO. FACCIAMO LUCE SUI PALESTINESI
La situazione in Palestina dalla voce di Yousef Salman, Delegato per l'Italia della Mezzaluna Rossa Palestinese e dell’associazione dei Giovani Palestinesi di Roma. Salman: «Il popolo italiano nella sua maggioranza è a favore della pace, anche in Palestina. Spero che al più presto anche il governo italiano faccia dei passi in questo senso»
25 Giugno 2025
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Gaza è ancora al buio. Uno degli ultimi atti di Israele è stato quello di tagliare qualsiasi collegamento internet tra la Striscia di Gaza e il resto del mondo. Vuol dire isolare ancora di più quelle terre, togliere anche gli ultimi riflettori su una situazione tragica. A Gaza non può entrare alcun aiuto. E non può uscire alcuna comunicazione. Ma la voce dei palestinesi non deve rimanere inascoltata. Abbiamo parlato con Yousef Salman, Delegato per l’Italia della Mezzaluna Rossa Palestinese e fondatore dell’Associazione Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese, e con l’associazione Giovani Palestinesi Roma, durante un’iniziativa di sensibilizzazione organizzata presso la Casa del Municipio Roma I Centro. Fieri, orgogliosamente palestinesi e cittadini del mondo, pieni di dolore ma anche di speranza e senso di appartenenza. «Stanno cercando di completare questo complotto imperialista sionista: sfollare, cacciare fuori i palestinesi da Gaza verso gli altri Paesi» ci ha spiegato Yousef Salman. «È un progetto che portano avanti non dal 7 ottobre 2023, ma da più di 77 anni. Non hanno mai riconosciuto lo Stato palestinese. E tutto questo fa parte del loro progetto di dominio e sfruttamento del mondo arabo: il petrolio, la posizione geografica strategica. Non è mai stato un conflitto religioso, ma di dominio e sfruttamento di interessi economici e geopolitici. Ora l’obiettivo è cacciare i palestinesi usando l’arma della fame, della sete, delle malattie. Da mesi non fanno entrare cibo, acqua, medicinali. L’obiettivo non è solo assassinare – hanno già distrutto Gaza – ma sterminare il popolo palestinese. Che è abituato a questa lunga serie di crimini e continuerà la sua eterna resistenza fino a che la comunità internazionale cominceranno a rappresentare qualcosa di serio per noi».

«La guerra si fa tra due stati e due eserciti»
Il popolo palestinese oppone una resistenza ferma, fiera. «Nonostante il buio che stiamo vivendo, noi palestinesi siamo sempre stati ottimisti. Ci sono più di 149 Paesi al mondo che riconoscono lo Stato di Palestina, 11 Paesi a livello europeo. Quando si parla di una soluzione per questa questione tutti dicono: due stati per due popoli. Ma il governo italiano, se ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Israele, 77 anni fa, perché non riconosce anche lo Stato di Palestina? È questa l’ipocrisia del governo di questo Paese e dell’Europa. Se lo riconoscessero andrebbero verso una soluzione pacifica giusta, sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite». Yousef Salman rivendica il diritto alla resistenza. «È un diritto sacrosanto» afferma. «Anche gli italiani hanno lottato e sparato per liberarsi dall’occupazione nazifascista. Israele occupa tutta la Palestina e non solo viola ogni diritto del popolo palestinese, ma ha sempre negato e tutt’ora nega la sua esistenza». Ma Yousef si arrabbia quando sente parlare di guerra. «La guerra si fa tra due stati e due eserciti» ci tiene a ribadire. «Noi non abbiamo uno stato né un esercito. Loro hanno bombe, carri armati, un esercito vigliacco, che continua a bombardare Gaza, provocando centinaia di migliaia di morti, con i cacciabombardieri, con gli F35, gli F16 contro una popolazione inerme. La forza del popolo palestinese viene dalla giustizia della sua causa: cacciato dalla sua terra, dalla sua casa, cerca di vivere come agli altri popoli. La vittoria è questione di tempo. Grazie alla resistenza eroica del popolo palestinese e grazie a questa grande solidarietà a livello internazionale, prima o poi noi palestinesi riusciremo a festeggiare la nostra giornata della Liberazione». «Il popolo italiano nella sua maggioranza è contro le armi, le guerre, a favore della pace, anche in Palestina» è il suo appello. «Spero che al più presto anche il governo italiano faccia dei passi in questo senso. Mi spiace sentire i rappresentati del governo israeliano dire che i migliori amici di Israele sono l’Italia e la Germania, i paesi responsabili dell’Olocausto. Noi abbiamo sempre testimoniato vicinanza ai nostri fratelli ebrei per l’Olocausto, ma stiamo continuando a pagare un reato che non abbiamo mai commesso, e il senso di colpa e l’ipocrisia di questa Europa».
Il ruolo dell’Italia
Insieme ai Giovani Palestinesi, alla Casa del Municipio Roma I Centro, abbiamo visto dei documentari che raccontano da vicino la situazione in Palestina. Si tratta di Al Ard, West Bank Aftermath, Gaza, Abo Jabal. Alcuni di questi sono precedenti al 7 ottobre 2023. E mostrano una situazione che, già prima di quella che viene chiamata guerra, è sempre stata insostenibile. Da quasi 100 anni a questa parte si manifesta in quella terra la violenza dell’occupazione sionista. L’Italia non solo non ha mai smesso di vendere armi a Israele dal 7 ottobre 2023, ma l’8 giugno ha rinnovato automaticamente il Memorandum d’intesa con Israele sulla cooperazione militare e della difesa in vigore dal 2005, di cui sono tuttora ignoti contenuti e costi.
La Cisgiordania e la violenza strutturale per cancellare la presenza palestinese
I documentari che abbiamo visto sono uno sguardo sulla quotidianità di un popolo che da oltre 77 anni resiste alla pulizia etnica, al colonialismo, all’apartheid, all’annientamento programmato. Ci hanno raccontato che la Cisgiordania oggi è un luogo dove si sperimentano sistematicamente forme di violenza strutturale e legale per cancellare la presenza palestinese dalla storia e dalla terra. Un esempio è la Legge sulla Proprietà degli Assenti del 1950: una norma che consente all’entità sionista di confiscare case e terre dei palestinesi espulsi o costretti alla fuga, dichiarandoli formalmente “assenti” quando in realtà sono stati cacciati con la forza. Su quelle terre oggi sorgono oltre 140 insediamenti ufficiali e circa 200 avamposti illegali. Solo nel 2025 sono state approvate 17.000 nuove unità abitative per coloni: dietro ogni nuova casa coloniale c’è un villaggio svuotato, un’economia distrutta, una memoria spezzata. A questo si aggiunge il dominio militare: ordini arbitrari, chiusure forzate, blocchi e checkpoint. Interi villaggi vengono dichiarati “zone militari chiuse”, dove non si può costruire, coltivare, vivere. È un soffocamento lento, sistematico, inesorabile perpetrato dai coloni stessi, armati e impuniti, che quotidianamente aggrediscono i palestinesi, incendiano le loro case e i loro raccolti. Negli ultimi due anni li vediamo anche bloccare i camion con gli aiuti umanitari verso la Striscia, il tutto con la collaborazione e la protezione dell’esercito più morale al mondo. Dopo il 7 ottobre, l’attenzione del mondo si è concentrata su Gaza, ma anche la Cisgiordania è stata travolta da una repressione brutale: oltre 1.000 palestinesi uccisi, più di 44.000 sfollati, campi profughi storici come Jenin e Nur Shams devastati da incursioni continue. Ma la violenza non arriva solo da Israele. L’Autorità Nazionale Palestinese, nata con gli Accordi di Oslo, si è ormai trasformata in uno strumento di repressione.

Gaza è sempre stata occupata
Gaza è sempre stata occupata. Nonostante la propaganda vuole farci credere che tutto sia iniziato il 7 ottobre 2023, la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che il territorio di Gaza è occupato illegalmente dal 1967, in quanto Israele ne controlla, lo spazio aereo, marittimo, elettromagnetico, sei valichi terrestri su sette (questo al 7 ottobre 2023) e l’ingresso e l’uscita di merci e persone. Dall’inizio dell’aggressione, le vittime accertate sono almeno 70.000. A questa stima, già di per sé al ribasso – la rivista scientifica The Lancet già un anno fa parlava di un bilancio effettivo che si sarebbe aggirato intorno alle 200.000 vittime – si aggiungono migliaia di vittime collaterali della condotta genocidaria dello Stato sionista, morte per fame, malattie, freddo o ancora sepolte sotto le macerie. Dal 2 marzo, ogni tipo di aiuto umanitario è stato interdetto nella Striscia. Oggi, quasi 300.000 bambini rischiano la morte per malnutrizione.
Non abbiamo paura di nulla
I documentari raccontano una resistenza fiera, un popolo che continua a coltivare la loro terra. «Come ogni essere umano anche noi vogliamo vivere. I nostri bambini vogliono vivere. Abbiamo diritto alla vita» sentiamo dire dalle loro voci. «Non abbiamo paura di nulla. Siamo in strada. Hai paura se sei ricco, se hai delle case, molti soldi». Molti dei palestinesi non hanno più nulla. Una madre racconta la morte della figlia, uccisa a fucilate dai militari. Era in sedia a rotelle, paralitica, cerebrolesa: non poteva parlare, né sentire. Ed era ovvio che non potesse fare alcun male a nessuno. In un altro documentario seguiamo la vita di una donna di 42 anni in un campo di rifugiati, dove è stata evacuata con la sua famiglia dopo il 7 ottobre. Ha una bambina di 8 anni, Sidra, ma ha perso il suo figlio maggiore, colpito al collo da un proiettile. «Mio fratello mi manca più di ogni altra cosa» racconta la bambina. «Giocava con me, mi faceva tutto». La madre non ha ancora il suo certificato di morte, né i documenti, né lo zaino. «Non è rimasto niente della sua memoria» racconta. «Hanno distrutto tutto. Anche il telefono. Non ho neanche una maglietta». Mentre gira con la sua bambina per quella che era la città, tra palazzi sventrati, di cui è rimasto solo lo scheletro, dove ci sono solo macerie e polvere, arriviamo alla tomba del ragazzo. La madre porta con sé una pianta e la appoggia lì, e la annaffia. Ma per quanto deve andare avanti tutto questo?
