GIUSTIZIA MINORILE: NON PUNIRE, MA PUNTARE SULLE COMUNITÀ EDUCANTI

Con Francesco Montalbano sul suo “Misure penali esterne nella giustizia minorile”, manuale per gli operatori del Terzo Settore, che sarà presentato il 28 maggio presso Arpjtetto ETS. «Il Decreto Caivano è un passo indietro. Il disagio lo superi se crei occasioni per uscirne. Non se reprimi»

di Maurizio Ermisino

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Entrare in contatto con l’universo della giustizia minorile non è impresa semplice. In genere, quanto sappiamo di questa realtà è filtrato dalle notizie quotidiane, per lo più di cronaca. La distanza tra quello che avviene a quei ragazzi e a quelle ragazze e noi, fruitori passivi di ricostruzioni sommarie, sembra aumentare con il riprodursi crescente di informazioni, immagini, video, analisi di esperti nei salotti tv. È questa la premessa che apre l’interessante libro di Francesco Montalbano, Misure penali esterne nella giustizia minorile. Manuale per Operatori del Terzo Settore (2Kind Edizioni), che verrà presentato il 28 maggio alle 18.30 nella sede di Arpjtetto ETS, in Lungotevere Dante 5. I ragazzi e le ragazze che si trovano in questa situazione, fra i 14 e i 18 anni, sono in piena formazione, hanno bisogno di figure preparate, sensibili, capaci di colmare, almeno in parte, un senso di inevitabile desolazione. A queste figure si rivolge Francesco Montalbano, che ha voluto sistematizzare e rendere raccontabile un lavoro che spesso è frammentato, raggomitolato in tecnicismi poco fruibili e, per questo, di fatto, inaccessibile. Un lavoro che nasce da un’esperienza collettiva, quella del centro Gli Scatenati, che lavora da anni con ragazzi e ragazze segnalati dall’autorità giudiziaria, promuovendo modelli alternativi alla detenzione.

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Il centro Gli Scatenati è un progetto di Arpjtetto ETS che accoglie ragazzi dai 14 ai 18 anni che hanno commesso un reato da minori e che accedono alle misure penali esterne

Giustizia minorile: con le misure alternative si tutela la crescita dei ragazzi

La convenzione ONU sui diritti dell’infanzia esclude la pena dell’ergastolo per i minori e interpreta il carcere come forma residuale di eventuale sanzione: «L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile». La detenzione minorile, infatti, può essere stressante e pericolosa: comporta privazioni fisiche, emotive e intellettuali a cui anche gli adulti hanno difficoltà a far fronte. Per i ragazzi e i giovani adulti, quindi, è probabile che la detenzione abbia un effetto particolarmente grave e duraturo. «Il processo penale minorile nasce nel 1988 in Italia e si ispira alle varie carte internazionali, dove si dichiara che il minore non deve accedere alla carcerazione e che bisogna rispettare la fase dell’età del minore che accede alla fase penale», spiega Montalbano. «Questo perché il minore è una personalità che in quel momento si sta sviluppando. La legge ci dice di evitare la stigmatizzazione, di non danneggiare il percorso di crescita, ma anche che non vengano interrotti i processi educativi in corso».

Il decreto legislativo del 2 ottobre 2018, n. 121 disciplina l’esecuzione penale esterna e, in particolare, le misure penali di comunità, cuore pulsante della riforma, che consistono in misure alternative alla detenzione in carcere applicabili ai condannati minorenni e ai giovani adulti e plasmate in funzione delle esigenze di questi. Secondo l’art. 2 sono misure penali di comunità l’affidamento in prova al servizio sociale, l’affidamento in prova con detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare, la semilibertà e l’affidamento in prova in casi particolari. «La più significativa è la MAP, la messa alla prova, qualcosa di veramente innovativo», spiega Montalbano.  «Prevede che il percorso del processo di giustizia minorile sia interrotto e che il minore possa fare una serie di attività come volontariato, percorsi educativi, che non abbiano un carattere retributivo ma che siano reinserimento sociale. E che facciano sì che il minore esca dal percorso con il reato cancellato. Sono attività che offrono l’opportunità di inserirsi a scuola, nel mondo del lavoro, del volontariato». Francesco Montalbano tutto questo lo vive in prima persona, quotidianamente, sul campo. Tutto quello di cui stiamo parlando avviene nel centro Gli Scatenati. «È un progetto di Arpjtetto ETS, rivolto proprio ai minori in misure alternative alla detenzione» ci racconta. «Accoglie ragazzi dai 14 ai 18 anni che hanno commesso un reato da minori e che accedono alle misure penali esterne. I ragazzi fanno attività, tra cui un laboratorio di falegnameria e attività sportiva. Facciamo laboratori di filosofia, teatro, fotografia e di autocostruzione, un’attività che ha una parte di manualità e anche un coinvolgimento personale, dove vengono promosse le capacità dei ragazzi, le personalità, le conoscenze di base».

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«Chi accede ai percorsi di giustizia minorile è perché spesso non ha avuto opportunità. Bisogna far sì che siano promossi tutti quegli aspetti che vanno verso una costruzione di una comunità educante territoriale»

Il Decreto Caivano: un’involuzione 

L’approvazione del decreto legislativo n. 150/2022, la cioè riforma Cartabia, è un altro passo avanti: introduce una disciplina organica della giustizia riparativa e prevede anche un istituto delle pene sostitutive e delle pene detentive brevi e la creazione del Tribunale per le persone, i minorenni e la famiglia. Il «Decreto Caivano» è, tuttavia, un grande passo indietro: il numero di minori reclusi è aumentato di quasi il 50 per cento. «È un vero passo indietro rispetto a quella che fino ad oggi è stata la giustizia minorile», commenta Montalbano. «C’è un numero crescente di minori destinatari di misure cautelari. E, mentre prima i percorsi di messa alla prova c’erano per determinati reati, il decreto Caivano riduce i procedimenti per cui si può accedere e inasprisce le pene. Mentre fino a oggi lo sguardo sulla giustizia minorile era molto illuminato, e il centro era l’educazione e il reinserimento dei minori nella società, ora c’è una sorta di involuzione perché si predilige la punizione. Con la convinzione che più si inaspriscono le pene più si possa avere ordine pubblico. Gli studi invece dimostrano che aumenti la recidiva se i ragazzi non vengono inseriti in percorsi positivi».

La costruzione di una comunità educante territoriale

In tutto questo scenario, va tenuto conto di un aspetto importante. L’abbandono scolastico, la povertà educativa, la sofferenza, l’isolamento e la fragilità inducono a comportamenti considerati inadeguati e alimentano la microcriminalità e il disagio giovanile. E a questo non si può rispondere con misure punitive. «Più che promuovere leggi che portano alla punizione andrebbero promossi dei processi che portino a progettualità in ambienti che sono deprivanti», riflette Montalbano. «Vanno promossi tutti quei centri, le scuole aperte, che danno le possibilità a chi non le ha di accedere a percorsi positivi. Il disagio lo superi se crei occasioni per uscire dal disagio. Non se reprimi. Bisogna avere chiaro che chi accede ai percorsi di giustizia minorile è perché spesso non ha avuto opportunità. Bisogna far sì che siano promossi tutti quegli aspetti che vanno verso una costruzione di una comunità educante territoriale, dove l’associazionismo, il Terzo Settore, la scuola e i centri di aggregazione lavorano e insieme affrontano i problemi sociali. E la politica si deve fare promotore di queste iniziative che sono preventive».

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giustizia minorileFrancesco Montalbano
Misure penali esterne nella giustizia minorile.
Manuale per operatori del Terzo Settore
2Kind Edizioni, 202

GIUSTIZIA MINORILE: NON PUNIRE, MA PUNTARE SULLE COMUNITÀ EDUCANTI

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