
IL PREMIO COLOMBE D’ORO PER LA PACE NEL NOME DI GAZA
Il Premio giornalistico Colombe d’Oro per la Pace sarà dedicato ai giornalisti palestinesi che stanno documentando la realtà di Gaza: Aya Ashour, già in Italia, Fatena Mohanna e Alhassan Selmi, in attesa del visto. Archivio Disarmo ha lanciato una sottoscrizione per aiutarli ad arrivare in Italia: tutte le informazioni per partecipare
17 Settembre 2025
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Sarà nel nome di Gaza e della Palestina la 41ma edizione del Premio giornalistico Colombe d’Oro per la Pace, il premio istituito da Archivio Disarmo nel 1986 con l’obiettivo di incoraggiare il mondo dell’informazione a farsi portavoce sui temi della pace e del controllo degli armamenti. In occasione della 41ma edizione del Premio, su suggerimento degli ex premiati e giudizio unanime della Giuria, si è inteso di riconoscere il coraggioso lavoro dei giornalisti palestinesi che, a rischio della propria vita, stanno documentando la realtà di Gaza. Un premio doveroso, e molto importante per accendere i riflettori su quello che sta accadendo. Il prossimo 18 ottobre a Roma il Premio sarà assegnato ad Aya Ashour, la giornalista che è arrivata in Italia lo scorso giugno, Fatena Mohanna e Alhassan Selmi, che sono in attesa del visto. Archivio Disarmo ha avviato presso il Ministero degli Affari Esteri italiano le pratiche per il rilascio del visto per Fatena e Alhassan, affinché possano essere presenti alla cerimonia di premiazione a Roma. E ha lanciato una sottoscrizione per aiutarli ad arrivare in Italia. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Battistelli, Presidente di Archivio Disarmo. «Le Colombe d’Oro per la Pace è un premio giornalistico che nasce 40 anni fa nel tentativo di valorizzare le testimonianze di giornalisti che si siano distinti nell’informazione e nella promozione dei temi della pace, del dialogo tra nazioni, tra culture e il dialogo interreligioso» ci ha spiegato. «Ogni anno c’è una giuria che identifica i possibili candidati. Tra i giornalisti c’è anche una prassi, una cena tra gli ex premiati che è un brainstorming che porta a una serie di suggerimenti. Tra questi vengono scelti ogni anno tre giornalisti, tra stampa, radio, televisione e nuove forme di comunicazione».

Un numero esorbitante di giornalisti ha perso la vita in Palestina
«Quest’anno l’idea, data la particolarissima e drammatica situazione della Palestina, è stata quella di concentrare la nostra attenzione sui giornalisti di Gaza» ci ha raccontato Battistelli. «Un numero esorbitante di essi ha perso la vita, è stato colpito a morte dall’esercito israeliano con una frequenza che fa pensare quasi a un disegno: quello di annichilire possibili portavoce e testimoni di quello che sta accadendo». A memoria non si ricorda niente di simile in qualsiasi conflitto più o meno recente. «Ha superato tutti i record di ogni guerra» ci conferma il Presidente di Archivio Disarmo. «Nella Seconda Guerra Mondiale hanno perso la vita circa 60 reporter in una guerra di quelle dimensioni. Qui, in un breve periodo di tempo e in uno spazio così ristretto, sono almeno 140 le morti ufficiali, ma sono molte di più se contiamo quelle presumibili (si stima che i giornalisti deceduti siano almeno 250, ndr). Si tratta di una strage».
Fatena Mohanna e Alhassan Selmi: per arrivare in Italia ci sono ostacoli legali e pratici
Aspettiamo tutti con ansia e commozione di vedere Aya, Fatena e Alhassan ritirare il premio, Ma, se Aya è già in Italia, per gli altri due non è affatto facile arrivare da noi. «È difficilissimo riuscire a far espatriare in questo momento due dei premiati. Fatena Mohanna e Alhassan Selmi» ci spiega Battistelli. «Fatena è una videomaker molto coraggiosa, giovane, che ha già sperimentato il fuoco della guerra. Alhassan è un fotoreporter e giornalista che ha documentato una serie di passaggi cruciali della guerra. I loro reportage sono stati tradotti in italiano e presentati al pubblico da Presadiretta. Stiamo cercando di ottenere l’espatrio e farli raggiungere Roma entro il 18 ottobre, in occasione della cerimonia di consegna delle Colombe per la Pace». Come potete immaginare, le difficoltà sono di tutte le nature. «Sono di natura legale, perché i cittadini di Gaza non hanno una rappresentanza internazionale riconosciuta, e di volta in volta sono la Giordania o l’Egitto che consente loro di avere un passaporto» racconta il Presidente di Rete Disarmo. «E poi c’è la questione sostanziale: sono sotto assedio. Entrambi in questo momento sono a Gaza City, nel cuore della tragedia. Giovedì scorso siamo riusciti a vedere in collegamento Selmi e abbiamo parlato con lui. Cosa che non è stata possibile con Fatena Mohanna. Che, tra l’altro, ha davanti alla propria casa un presidio di soldati israeliani». «La terza corrispondente da Gaza, Aya, è stata accolta in Italia grazie all’intervento dell’Università per stranieri di Siena e il suo rettore Tommaso Montanari e all’intervento del Ministro degli Esteri Tajani» continua. «È stato possibile ottenere eccezionalmente un visto per un espatrio in Italia. Da giugno Aya è in Italia. L’abbiamo vista giovedì, attualmente vive a Siena. È una storia a lieto fine, ma non è facile replicarla».

Nessun palestinese vuole andare via per sempre
Come è oggi la vita di questi giornalisti, divisi tra il bisogno di raccontare la verità e la paura per le loro vite e quelle dei loro cari? «Non ho notato nessuna remora a dire le cose come stanno» ci risponde Battistelli. «È una situazione talmente disperata, loro sono già nel mirino. Ho notato in loro la sindrome del sopravvissuto. Hanno una grandissima amarezza interiore, forse persino un senso di colpa vivi quando i loro cari non ci sono più. Sono perennemente in ansia per la sorte delle loro famiglie. Fatema ha il dilemma di una mamma anziana e malata che assiste. E, se viene in Italia, rischia di non poter più rientrare». «E non sono storie speciali o folcloriche» continua. «Questa è la condizione di un abitante di Gaza oggi. Se anche in casi eccezionali riesce a sopravvivere e scappare a questa sorta di lager bersagliato da attacchi continui comunque vive questa contraddizione. Nessuno di loro vuole venire via per sempre. E allora viene da pensare a queste ipotesi fantasmagoriche o provocatore dei progetti di Trump, Kushner e Tony Blair che fantasticano di una Gaza liberata dai gazawi, cioè dai loro abitanti, sembrano assolutamente difficili da realizzare. Non vogliono andare via. Nessuno vuole andare via per sempre. E allora cosa faranno? Sposteranno in modo coatto 2 milioni di persone? Faranno una deportazione di massa? È una situazione purtroppo senza un’immediata conclusione positiva. Ciò non toglie che dobbiamo fare di tutto per mantenere l’attenzione dell’opinione pubblica su questo buco nero, su questo angolo della coscienza collettiva che è diventata la Palestina sotto l’attacco continuo, di ogni natura, compresa la carestia e la fame, del governo Netanyahu».

La sottoscrizione per i due giornalisti
Grazie ad Archivio Disarmo è nata una sottoscrizione. «45 giornalisti italiani che hanno vinto la Colomba d’Oro per la Pace, a partire dagli anni Settanta, hanno rivolto un appello per accogliere un fondo che possa aiutare i vincitori a raggiungere l’Italia» ci spiega Battistelli. «Se questo non fosse possibile, devolveremo a loro e alle loro famiglie la somma che verrà raccolta, con un conto che Archivio Disarmo ha istituito appositamente presso Banca Etica». Gli estremi si trovano su www.archiviodisarmo.it. Sono questi: IBAN: IT44 U050 1803 2000 0002 0001 088. Intestatario: Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo. Causale: Donazione giornalisti per Gaza (specificare se la donazione vuole rimanere anonima).
La Croce Rossa Internazionale
Alla premiazione ci sarà anche Mirjana Spoljaric, Presidente della Croce Rossa Internazionale. «È un’istituzione: su tutti i teatri di guerra è una presenza rilevante, utilissima» commenta Battistelli. «E, di solito, indiscussa. Anche se in questo momento Israele sta ponendo anche alla Croce Rossa gli ostacoli che impone a tutti. Purtroppo anche per un segno antico e consolidato di civiltà e solidarietà come la Croce Rossa a Gaza oggi è impossibile a meno di trattative estenuanti con il governo israeliano». La speranza è che il 18 ottobre a Roma possano esserci tutti e tre i giornalisti premiati. Al momento di accettare il premio, Alhassan ha scritto, «La pace può essere raggiunta: mano nella mano possiamo farcela!». Ci crediamo. Crediamoci tutti.
