IL VENTO CONSERVATORE: I POPULISTI ALL’ATTACCO DELLA DEMOCRAZIA

Giorgia Serughetti, nel suo “Il vento conservatore”, viaggia dentro i movimenti populisti di destra, che rassicurano il proprio elettorato mostrandosi ostili all'eguaglianza sociale, all'accoglienza degli stranieri, ai diritti delle donne e delle minoranze sessuali

Una folla tumultuosa si raduna di fronte a Capitol Hill, sede del Congresso degli Stati Uniti d’America. Sono veterani e poliziotti, commercianti e imprenditori, artigiani e baristi, disoccupati e studenti. Provengono da almeno trentasei Stati, e sono quasi tutti bianchi. Sono gli uomini e le donne che hanno risposto all’appello di Donald Trump per una manifestazione di protesta contro la «vittoria rubata», cioè contro i presunti brogli denunciati dall’inquilino della Casa Bianca il quale rifiuta, ormai da mesi, di riconoscere la vittoria del suo avversario Joe Biden alla corsa presidenziale. È il 6 gennaio 2021. È uno dei fatti più eclatanti che simboleggiano a che punto è arrivato il populismo di certi movimenti conservatori nel mondo. Ed è da qui che parte Giorgia Serughetti per il suo illuminante saggio Il vento conservatore: La destra populista all’attacco della democrazia (Laterza, Tempi Nuovi), che viaggia dentro ai movimenti populisti di destra, che rassicurano il proprio elettorato mostrandosi ostili all’eguaglianza sociale, all’accoglienza degli stranieri, ai diritti delle donne e delle minoranze sessuali, mettendo a rischio i valori fondativi delle nostre democrazie.

L’ossessione politica del XXI secolo si chiama identità

Il vento conservatore
Giorgia Serughetti è ricercatrice in Filosofia politica all’Università Milano Bicocca. Si occupa di genere, teoria politica, migrazioni

L’ossessione della politica del XXI secolo si chiama «identità». È sotto questa bandiera che, in anni recenti, si sono prodotti sconvolgimenti politici come il referendum del 2016 sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ma si definisce «identitaria» anche la politica della destra radicale che, in Europa, rigetta i valori liberali, i processi di integrazione sovranazionale e il multiculturalismo, in nome della sovranità nazionale e di ideali nativisti. Leader come Donald Trump, Viktor Orbán, Jarosław Kaczyński, Jair Bolsonaro, Recep Tayyip Erdoğan, Marine Le Pen o, in Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, devono il loro successo alla promessa di proteggere le «maggioranze silenziose» dei loro paesi – la classe media e le classi lavoratrici – dai sentimenti di insicurezza, spaesamento e perdita indotti dalle dinamiche della globalizzazione. «Studi sulla crescita dei populismi ce ne sono stati moltissimi» ci ha spiegato Giorgia Serughetti. «Una delle letture più comuni è quella secondo cui quelli che chiamiamo populismi – nel mio libro quelli della destra radicale – sono stati capaci di interpretare quel sentimento di insicurezza dovuto alla perdita di orientamento nel mondo e anche di basi materiali capaci di sostenere un tenore di vita dignitoso per larghe fasce della popolazione che si sono sentite culturalmente smarrite dalla globalizzazione e materialmente impoverite. Tutto questo è sicuramente vero. Ma quello che mi interessava mettere in luce è che il tipo di risposta che i populisti danno a questa domanda di sicurezza è di carattere puramente identitario. Trasferiscono il bisogno di sicurezza su un campo che non è quello economico-sociale ma è quello del rafforzamento dell’identità». «La categoria dell’identità è davvero diventata dominante nel disegnare il campo politico» continua l’autrice. «Avviene sia a destra che a sinistra: in realtà di politica dell’identità si è cominciato a parlare pensando ai nuovi movimenti sociali della fine del Novecento, che hanno messo al centro la dimensione del genere, della sessualità, della “razza”, ovviamente tra virgolette. È quella che è stata chiamata politica dell’identità. Solo che mobilitava minoranze, non in senso numerico sociologico, ma anche di tipo politico, come le donne. Quel tipo di mobilitazione dell’identità a vantaggio gruppi esclusi è stata sempre orientata ad allargare, a includere più persone possibile nella cittadinanza. Quella che osserviamo da destra è una mobilitazione non di minoranze ma di maggioranze: intercetta il senso di maggioranze etniche, religiose e di genere non nel senso che prende solo il voto degli uomini, ma perché intercetta un sentimento di rivalsa di un modo patriarcale di intendere la famiglia. E, soprattutto, orienta questo tipo di domanda contro. Contro quei gruppi che sono scomodi, da escludere, come minacce per l’ordine gerarchico della società, dove c’è chi sta sopra e chi sta sotto, quindi come coloro che devono essere esclusi dal godimento di diritti. È un modo capovolto di intendere la politica dell’identità. Se è vero che identità è una categoria dominante, il modo in cui è interpretata da destra va in una direzione opposta, quella di rafforzare le maggioranze nel loro sentimento di sé, nel loro potere sociale, nel posto che occupano nella società, a discapito di altre componenti, additate come nemici: migranti, femministe, globalisti che vogliono aprire le frontiere. La visione politica del populismo è quella del conflitto tra popolo ed élite, quindi il dito è puntato veri o falsi attori e poteri forti che sottraggono potere al popolo. Queste stesse élite vengono accusate di favorire quei nemici esterni».

Il crimine è raffigurato come una questione straniera

E proprio a questo discorso sui nemici esterni è legato l’altro grande tema a cui queste forze devono il loro consenso: la sicurezza, intesa come incolumità dei cittadini e della nazione stessa. Il crimine, fonte primaria di insicurezza, è raffigurato come una questione «straniera», da attribuire ai «non nativi», e da punire con il braccio spietato della legge. «Più sicurezza, meno crimini, meno immigrazione e meno Islam» fu lo slogan della campagna del 2010 di Geert Wilders, e si ritrova in varie versioni nella propaganda di tutti i partiti della destra radicale, come ricorda Giorgia Serughetti nel libro. «Questo è molto importante nell’ottica di offrire risorse simboliche per compattare le collettività e rispondere a quelli che sono i bisogni reali di una vita più protetta e al tempo stesso indicare facilmente un nemico» spiega l’autrice. «È fin troppo facile dire che i dati ci dicono che i crimini sono in diminuzione. Ma chiaramente nel momento in cui si ricostruisce un frame per cui ciò che ognuno di noi continua a subire in termini di microcriminalità e città non sicure in alcune zone, collegare tutto questo al pericolo straniero fa sì che si possa trovare una soluzione semplice. La soluzione è: teniamo fuori gli stranieri, chiudiamo i porti e il problema della sicurezza lo abbiamo risolto. È ovvio che non è così, in un paese come l’Italia in cui in quasi tutte le regioni c’è un problema di grande di infiltrazione criminale all’interno del mondo economico e della vita comunitaria, per cui si potrebbe dire che l’immigrazione è l’ultimo problema».

Populismo: dinamiche economiche e aspetti culturali

Ne Il vento conservatore, Giorgia Serughetti ci ricorda che la destra populista radicale ha aumentato i suoi consensi a partire dal 2000, in corrispondenza con tre grandi «crisi»: l’attacco terroristico dell’11 settembre, la grande recessione del 2008 e la «crisi dei rifugiati». Questi eventi hanno fatto sì che ci fossero ondate di proteste populiste, anti immigrazione e anti-islam. L’autrice, nel suo libro, fa notare che negli studi politici si confrontano due tesi principali: una che pone l’accento sulle dinamiche economiche, e l’altra che sugli aspetti culturali. «Sono due tesi principali che si confrontano nelle analisi del populismo» spiega l’autrice. «La prima è leggerlo come una domanda di maggior sicurezza sociale di fronte a una perdita di potere economico e sociale, la seconda punta invece sugli aspetti culturali. Nel mio libro sostengo che queste due tesi hanno entrambe elementi validi e vanno integrate. Perché resta incomprensibile, se si legge la nascita dei populismi soltanto attraverso una lente economica, come mai gli elettori votino per partiti che danno risposte di carattere identitario all’insicurezza economica. O la leggiamo come un autoinganno, per cui l’elettore crede di votare per una maggiore redistribuzione della ricchezza e vota partiti che fanno politiche avverse all’eguaglianza sociale, e finiscono per favorire i ceti medio altri, salvo una distribuzione verso il basso fatta di bonus, piccole misure e o welfare autoritario. O l’elettore si inganna, o in verità, quando vota per queste forze è perché, posto un senso di perdita di potere e di ricchezza e del proprio posto, vota chi gli promette di recuperare il proprio posto nel mondo a livello di gerarchie sociali e di chiusura della collettività che rafforza un senso si sovranità popolare, nazionale. Per cui sa dove si trova e quali sono i propri ruoli nelle gerarchie della società. Questa politica si rivolge a un elettorato che crede di potersi trovare nella posizione più in alto grazie al fatto che altre componenti della popolazione vengono schiacciate verso il basso».

I populisti e la pandemia

Giorgia Serughetti definisce la destra populista una sorta di Giano bifronte, metà sovranista e metà neoliberista, metà autoritaria e metà insofferente all’ordine. Tutto questo è emerso in modo evidente in occasione della pandemia di Covid-19. La minaccia del Coronavirus ha provocato nella destra populista atteggiamenti e comportamenti ambigui, altalenanti, contraddittori. Leader come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Viktor Orbán, Marine Le Pen, Matteo Salvini hanno adottato discorsi di tipo diverso. Nei paesi dove sono all’opposizione, i populisti hanno attaccato il governo. Nei paesi dove la destra populista è al governo, l’accusa di antipatriottismo ha colpito l’opposizione. «Da una parte il virus sembrava destinato a mettere in ginocchio questo tipo di mossa politica» spiega Giorgia Serughetti. «Doveva essere il trionfo del sapere esperto, delle misure affidate più a comitati di scienziati che al messaggio che parla alla pancia del paese. Essendo molto duttile come discorso politico, essendo quello dei populisti un gruppo proteiforme, è riuscito a trovare una posizione anti establishment, persino quando sta al governo. È una loro capacità: anche quando sono al governo riescono a vedere dei nemici che sono più establishment di loro. I poteri dell’Europa, l’organizzazione mondiale della sanità. La capacità di trovare dei nemici ha funzionato bene anche in caso di pandemia. C’è stato chi ha pensato a una sorta di esaurimento del populismo, ma l’effetto è stato esattamente l’opposto».

Dio, patria e famiglia

Nella retorica del populismo di destra, la difesa di un ordine fondato sulle disuguaglianze, come strada per la salvezza della nazione, si fa strada la triade Dio, patria e famiglia. La religione è considerata parte di un passato, una tradizione da idealizzare, e quindi un elemento chiave nella costruzione di utopie nostalgiche. Non è tanto che chi ha una fede o una famiglia tradizionale o prova emozione quando vede il tricolore stia aderendo alla triade Dio, patria e famiglia di Giorgia Meloni» spiega l’autrice. «È piuttosto il contrario: loro, sapendo che c’è un sentimento largo e diffuso di adesione a un sistema di valori di questo tipo provano a utilizzare questa chiave facendolo in modo da radicalizzarne il significato politico in senso escludente. Nel momento in cui si difende la famiglia, la si sta difendendo non contro ipotetiche minacce da uno Stato che voglia interferire nel modo in cui le persone decidono la vita privata. Quindi si parla di difendere la famiglia naturale da chi? La si vuole difendere da altri modelli familiari, da altri messaggi, da chi vuole vivere la sessualità e la vita familiare in modo diverso da quello tradizionale. E lo stesso vale per quel Dio e per quella patria. Quel Dio diventa un’arma di lotta politica contro le minoranze religiose, soprattutto dell’Islam. E patria allo stesso modo, una collettività che rinserra i propri ranghi, che erige i propri muri per proteggersi dall’interferenza esterna».

Una sinistra che interpreti il momento populista presente

L’altro lato della medaglia è la responsabilità della sinistra nell’ascesa della destra radicale. Perché i partiti eredi delle forze politiche che nel Novecento avevano interpretato le ragioni dei «molti» contro quelle dei «pochi» non sono in grado oggi di intercettare all’origine il malcontento che produce le rivolte identitarie? Giorgia Serughetti analizza anche questo aspetto. E, alla fine del libro, ci spiega la teoria della politologa Chantal Mouffe22, che auspica una sinistra che possa interpretare il «momento populista» del presente, costruire cioè un popolo e un antagonismo tra popolo ed élite, a partire non da un’unità organica o un’identità escludente, ma dalla federazione di tutte le lotte democratiche: quelle di lavoratori, immigrati, classe media precaria, donne, comunità Lgbti. Si tratterebbe dunque di indirizzare in una direzione diversa la protesta populista. «La proposta è molto interessante» ci spiega Giorgia Serughetti. «In verità quello che propone è una democrazia radicale che unisca le lotte di diversi soggetti contro i veri obiettivi, contro quelli che devono essere i veri avversari all’interno di una lotta politica per una maggiore giustizia. Io apprezzo la proposta di Chantal Mouffe. Quello che trovo fuorviante è usare questa questione del populismo, che porta con sé questa divisione rigida del popolo e le élite, e il popolo tende a compattarlo come un’entità omogenea che va ad escludere chi non ne fa parte. Mi sembra che lo strumentario del populismo non sia adeguato a penare invece forme di alleanza larghe tra soggetti. È molto più bello pensare a collettività insorgenti che si uniscono tra di loro, anche trovando terreni di convergenza tra le lotte, invece di abusare di questo populismo dove popolo resta la parola passe-partout in cui può entrare di tutto ma da cui qualcosa rischia sempre di rimanere fuori».

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Il vento conservatoreGiorgia Serughetti
Il vento conservatore
La destra populista all’attacco della democrazia
Laterza, Tempi Nuovi, 2023
pp. 184 , € 18

 

IL VENTO CONSERVATORE: I POPULISTI ALL’ATTACCO DELLA DEMOCRAZIA

IL VENTO CONSERVATORE: I POPULISTI ALL’ATTACCO DELLA DEMOCRAZIA