LE MOLTE FACCE DELL’INDEBITAMENTO DELLE FAMIGLIE E DELLE IMPRESE

"Cortocircuito" è un dossier del CNCA sulla spirale del debito e sui meccanismi che schiacciano le famiglie italiane

A un anno dall’inizio della pandemia da coronavirus l’Italia è un Paese più povero: la perdita esponenziale di lavoro ha generato disuguaglianze e nuove povertà. Il crescente impoverimento e indebitamento delle famiglie italiane è, però, collegato a fenomeni poco conosciuti dall’opinione pubblica: ad esempio il ricorso sempre più frequente ai “Banchi dei pegni” e ai “Compro oro”, canali di indebitamento (alcuni dei quali controllati dagli stessi istituti di credito), pronti ad approfittare della vulnerabilità di soggetti fragili.

La responsabilità delle banche

Chi ha fotografato e riflettuto su questa spirale di debito è il CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) con il suo ultimo dossier “Cortocircuito”.

indebitamento delle famiglie
La copertina del dossier “Cortocircuito”

Secondo il documento, una delle principali cause di questo tracollo economico è lo stesso sistema bancario, che non ha concesso liquidità né ai giovani né tantomeno alle piccole imprese, messe in ginocchio dal Covid. Trattamento e capacità finanziarie diverse, invece, per il “mercato bellico” a cui ha concesso lauti finanziamenti: gli ultimi due Esecutivi hanno accordato, nel 2018 e nel 2019, un totale di 41 miliardi di euro di esportazioni di sistemi militari.

«Con “Cortocircuito” abbiamo voluto riflettere su questi nuovi volti della povertà figli di un sistema che nel tempo si è rotto», afferma Riccardo De Facci, presidente del CNCA. «In questo scenario le banche hanno un ruolo essenziale a partire dal quel quarto di aziende italiane che rischia situazioni urgenti di finanza. Se non si interviene concedendo un micro-credito alle piccole e medie imprese, si rischia di alimentare le infiltrazioni mafiose, lo strozzinaggio e l’usura».

Pegni e Compro Oro

Se, però, da un lato chiedere un prestito bancario è diventato sempre più complesso, dall’altro ottenere un credito in cambio di un “pegno” (ovvero di un bene di nostra proprietà) è alla portata di tutti. La fondazione dei “Banchi dei pegni” conta oggi un volume d’affari complessivo di circa 800 milioni di euro e i suoi esercizi, sparsi in tutto il Paese, sono controllati da circa 40 noti istituto di credito. A rivolgersi a loro sono circa 270.000 cittadini con una quantità media del prestito erogato di circa 1.000 euro.

I motivi per cui si ricorre al pegno sono svariati: spese inattese o impreviste, pagamento di rette per l’acceso e il mantenimento allo studio universitario o ancora l’avvio di nuove attività lavorative. Un dato è certo: per la grande maggioranza degli individui impegnare i cosiddetti “gioielli di famiglia” rappresenta l’ultima spiaggia, soprattutto in questi mesi di pandemia.

Un altro canale a cui è costretto a far ricorso chi è segnato da difficoltà e disperazione sono i “Compro oro”, circa 6.000 sportelli in Italia con una ripartizione geografica che vede al primo posto della classifica la Lombardia (con oltre 1.000 negozi) seguita dal Lazio e dal Piemonte (con oltre 500 esercizi attivi).

Un sistema malato

«Il dossier ha voluto accendere una luce su tematiche spesso sottaciute dai media» spiega Filippo Torrigiani, curatore del rapporto e componente della Commissione parlamentare antimafia. «Ci sono situazioni che lucrano sulle difficoltà economiche dei cittadini e che la pandemia ha accentuato. I cortocircuiti generati da questo sistema malato sono molteplici: davanti a 300.000 persone che ogni anno si recano al “Banco dei pegni” per impegnare i propri gioielli di famiglia assistiamo a ingenti spese statali per foraggiare il mercato delle armi e per la coltivazione di idrocarburi; davanti ad oltre un milione di persone dal 2012 al 2017 sono stati oggetto di pignoramento di beni, troviamo una spesa nel gioco d’azzardo che ammonta ad oltre 110 miliardi con una perdita netta di 20 miliardi di euro. Di fronte a queste incongruenze, occorre urgentemente ripensare il sistema, rimettendo al centro la persona».

Il meccanismo del cashing

Stesso obiettivo che condividono le comunità di recupero da dipendenze che il CNCA coordina in Italia e che in “Cortocircuito” trovano spazio quali luoghi in cui il giocatore patologico ritorna a prendere in mano la propria vita. «Gestire un servizio che offre uno spazio terapeutico residenziale per il riordino del disturbo da gioco d’azzardo», spiega Enrico Malferrari, coordinatore del centro sociale Papa Giovanni XXIII, «significa accostarsi a due fragilità, sodali e quasi inscindibili delle persone accolte: dipendenza e debito. È quasi sempre il denaro l’indicatore di malessere che consegna alla famiglia un “giocatore d’azzardo patologico”: che si tratti di un debito non onorato o l’oro svenduto, è il meccanismo del cashing (il recupero delle perdite) a rendere la condotta del giocatore d’azzardo sempre più disinibita. Se ciò che penetra nella testa degli individui è condizionato da ciò che accade nell’ambiente, oltre al ricovero dell’individuo e del suo debito, dovrebbe forse essere la guarigione di questo ambiente il nostro vero obiettivo».

In conclusione, il dossier del CNCA sull’indebitamento delle famiglie e delle imprese riserva uno sguardo anche al contesto europeo e alle sue mutazioni sollecitate dalla pandemia. Da qui una provocazione (ma anche un monito) diretto a tutti i politici: davanti a un Paese che ogni anno conta 120 miliardi di evasione fiscale saremo capaci di impiegare in modo virtuoso i fondi che l’Europa ha stanziato nel Recovery Fund? Saremo in grado di evitare questo ennesimo (e disastroso) cortocircuito sulle spalle dei cittadini?

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