MAGLIANA 80, NEL CENTRO ATLANTE UN RIFUGIO CONTRO LA DURA VITA DELLA STRADA

Da oltre vent’anni a Roma Magliana 80, con il Centro Atlante, accoglie persone che fanno uso di stupefacenti o in trattamento farmacologico sostitutivo, che trovano un luogo caldo, vicinanza, sospensione del giudizio. La responsabile del Centro, Donatella Crialesi: «Non tutti hanno una casa, quasi nessuno ha una famiglia, molti hanno una doppia diagnosi. Quando torno a casa devo mettermi mezz’ora sotto le coperte, devo recuperare le forze»

di Antonella Patete

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Due divani uno di fronte all’altro, alcuni libri, una tv accesa. Un piccolo ufficio a sinistra. E un gruppo di uomini di tutte le età, in piedi o seduti, come nell’attesa paziente di qualcosa che potrebbe anche non arrivare mai. Siamo in Via Alessandro Avoli 9, quartiere Monte Mario, Municipio XIV, a pochi passi da Via Trionfale. Dal 2006, in questi locali a piano strada, la cooperativa sociale Magliana 80 gestisce il Centro di prima accoglienza diurno Atlante: un luogo aperto dal lunedì al sabato dalle 9.00 alle 15.00, dedicato a persone che fanno uso di sostanze stupefacenti o in trattamento farmacologico sostitutivo. In questo 2025 il Centro, nato per contrastare le dipendenze, si è aperto anche a una nuova missione: accogliere i pellegrini in arrivo per il Giubileo. Atlante, infatti, è ed è stato uno dei Punti fissi di accoglienza gestiti dalle organizzazioni di Terzo settore che rendono possibile il progetto Vol.A in Rete. Promosso dal Dipartimento Protezione Civile e dal Dipartimento Politiche Sociali e Salute di Roma Capitale e realizzato da Csv Lazio e Forum Terzo Settore Lazio, il progetto ha coinvolto le organizzazioni civiche del territorio per offrire un concreto supporto ai visitatori, valorizzando il senso e il valore dell’agire volontario. «L’accoglienza fa parte della nostra storia, chi meglio di noi che accogliamo persone in grave difficoltà, persone che non hanno nulla, può offrire supporto e informazioni ai pellegrini?» si chiede Donatella Crialesi, educatrice sociale della cooperativa Magliana 80 e responsabile del Centro Atlante. «Da noi le persone con problemi di dipendenza possono fermarsi in un luogo caldo. Ma la cosa più importante è tenerle al riparo, lontano dalla strada».

centro atlante
Dal 2006 per il Centro sono passate 480 persone diverse, con una media di 10-15 utenti al giorno

Da 20 anni il Centro Atlante è a fianco delle persone con problemi di dipendenza

Sono oltre 25 anni che Donatella Crialesi lavora per Magliana 80, una cooperativa sociale impegnata nell’area della tossicodipendenza, delle migrazioni e della tratta di esseri umani. Ha visto nascere il Centro Atlante, che inizialmente si trovava nel quartiere di Prima Valle, ma in tutto questo tempo non si è mai abituata alla sofferenza che ogni giorno le passa davanti agli occhi. «Sono persone che hanno problemi di dipendenze da sostanze, alcol, gioco d’azzardo o anche sesso», racconta. «Non tutti hanno una casa dove dormire e quasi nessuno ha una famiglia su cui fare affidamento. Molti, poi, hanno una doppia diagnosi, perché quando si parla di dipendenze e psichiatria è un po’ come il dilemma dell’uovo e la gallina: non si sa cosa venga prima». Dal 2006 per il Centro sono passate 480 persone diverse, con una media di 10-15 utenti al giorno. Alcuni vengono inviati dal vicino Serd di Santa Maria della Pietà, altri arrivano grazie al passaparola. Sanno che qui possono fare una doccia o una lavatrice, e a mezzogiorno possono trovare un pasto caldo. «Il nostro cruccio più grande è che non riusciamo a far mangiare tutti, è una cosa che ci addolora», spiega Crialesi. Gli utenti sono quasi esclusivamente uomini, ma di tanto in tanto arriva qualche donna. «Purtroppo le donne hanno una risorsa in più», prosegue l’educatrice. «Possono usare il sesso per fare soldi e così non solo riescono a comprare la roba, ma anche a permettersi una stanza o un appartamento. Per questo hanno meno bisogno di venire da noi».

Anche D. è qui, ha bisogno di qualcuno che lo veda

La vita degli utenti del Centro Atlante non è semplice: alla dipendenza possono sommarsi non solo i problemi psichiatrici, ma anche la solitudine e la dura realtà della strada. Ma anche la vita dell’équipe formata da educatori, assistenti sociali, psicologi e un medico che viene al Centro una volta ogni due settimane, è complicata. Si prova a fare rete con gli altri servizi del territorio, compreso il segretariato sociale, e si cercano strategie per sostenere chi vuole rimettersi in carreggiata, anche se spesso si distribuiscono profilattici e siringhe sterili. Per lo più si lavora sulla vicinanza, la sospensione del giudizio, la riduzione del danno: se non posso aiutarti a cambiare vita, ti aiuto almeno a farti meno male possibile. Alla fine della giornata, Donatella Crialesi è stremata. Ha bisogno di una pausa di decompressione. «Quando torno a casa devo mettermi mezz’ora sotto le coperte, senza parlare né vedere nessuno. Devo recuperare le forze», confessa. Intanto nella sala comune la tv diffonde le ultime notizie. C’è K., 45 anni, e D., che non si definisce italiano, ma europeo. In passato ha fatto il fotografo e si è occupato di manutenzione del verde. «Considero il termine senza dimora offensivo, preferisco definirmi itinerante», dice. Si intrattiene volentieri con i giornalisti, lo ha fatto anche in passato, e si esprime in un italiano rapido e forbito, ma le vicende che lo hanno spinto a frequentare il Centro è meglio tenersele per sé. Ci sono motivi economici e anche personali, accenna, ma non vuole andare oltre. Anche sulle asprezze della strada preferisce sorvolare. Vicende che fa male raccontare e forse anche ascoltare. E che non spostano la realtà delle cose di un centimetro. Anche D., come gli altri, è qui ora perché ha bisogno di un rifugio accogliente e di qualcuno che lo veda. Per qualche ora, lontano dalla strada, può sentirsi anche lui meno invisibile.

Foto Francesco Paolucci

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