LE ATLETE SUDANO E VINCONO, MA PER LO STATO “SI DILETTANO”

L'istituzione del sostegno alla maternità è un passo avanti, ma la parità nello sport, tra uomini e donne, è un miraggio.

Si raggiungerà mai la parità nello sport, tra uomini e donne? Un passo avanti è stato fatto con il fondo di un milione per il sostegno alla maternità, la nuova recente misura, finanziata dall’Ufficio per lo sport del Governo. Le opportunità offerte riguardano il sostegno alla maternità delle sportive e le modalità di accesso ai contributi previsti per le future mamme in gravidanza durante l’attività agonistica: ogni atleta di alto livello in maternità potrà accedere a un contributo di mille euro al mese per 10 mesi. Ma gli obiettivi principali per la parità nello sport sono ancora da raggiungere. Ne abbiamo parlato con Luisa Rizzitelli, presidente di Assist, Associazione Nazionale Atlete

Quali sono gli altri importanti obiettivi per la parità tra atlete e atleti?
«Quelli fondamentali sono ancora tutti da centrare, purtroppo. Primo tra tutti, la discriminazione inaccettabile del “dilettantismo obbligatorio” per tutte le atlete italiane. Giusto per ricordare la questione, in Italia uomini in quattro discipline (calcio, basket, ciclismo su strada e golf) hanno tutele da lavoratori dello sport e possono avvalersi di una legge dello Stato, la vecchissima Legge 91 del 1981. Le donne, no. Le donne in Italia, anche le più titolate o le più famose, per lo Stato italiano fanno lo sport “per diletto”. Una barzelletta, se considerate che per arrivare ad alto livello bisogna dedicare anni di vita allo sport».

parità nello sport
Basket Torino di serie A1 nella campagna di Assist

Quali sono i problemi maggiori che hanno le donne, atlete professioniste e non?
«Le conseguenze pratiche per tutte le atlete sono di assoluta evidenza: zero diritti, zero tutele, zero contributi previdenziali, nessuna tutela infortunistica adeguata, nessuna possibilità di stipulare null’altro che scritture private in cui la fantasia dei datori di lavoro si sbizzarrisce. Qualche mese fa, ad esempio, abbiamo visto una bozza di una scrittura tra una atleta e una società sportiva, dove le si chiedeva di non guidare moto e di avere un orario di rientro serale cinque giorni su sette e, naturalmente, di non restare incinta, pena la risoluzione unilaterale dell’accordo. Però, per lo Stato e per lo sport, sempre dilettanti sono. Nei diritti a quanto pare, perché nei doveri sembrano proprio lavoratrici e quindi professioniste. Curioso, vero?»

Si sa quante sono le atlete professioniste e quante le atlete non professioniste in Italia?
«I numeri del professionismo femminile “di fatto” in Italia semplicemente non esistono. Noi riteniamo che le atlete che vivono di sport siano svariate migliaia, ma onestamente ci piacerebbe che a dircelo fossero il CONI e le Federazioni».

Quanto tempo e quanto impegno ci sono voluti per arrivare a questo Fondo?
«A chi ha la memoria corta, sul lavoro di Assist posso ricordare che abbiamo iniziato a parlarne nel 2000 (alla nascita di Assist) con due atlete straordinarie del nostro sport che hanno combattuto al nostro fianco: Monica Vaillant del Setterosa di pallanuoto e Josefa Idem, canoista passata alla storia anche per le sue otto Olimpiadi. Nel 2007 siamo riuscite ad ottenere che l’allora presidente Petrucci inserisse nei Principi Fondamentali del CONI un articolo esplicitamente dedicato alla tutela della maternità. Un passo prezioso, ma che di fatto tutelava solo le Azzurre. Noi di Assist abbiamo dato vita alla campagna con il claim “Atlete e maternità. Diritti? Game over” chiedendo ad ogni atleta di fare una foto “incinte”, con un pallone sotto la maglia. Oggi aver ottenuto un Fondo di sostegno alla maternità, utilizzabile da tutte le atlete che fanno dello sport il proprio lavoro, a prescindere dal livello tecnico, è un atto di grande giustizia. Ma non basta. Dobbiamo riformare questa benedetta legge 91, vecchia di quasi 40 anni e che discrimina le donne in maniera del tutto anticostituzionale».

Chi pensate debba preoccuparsi di questi temi?
«Abbiamo fiducia che il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e la Ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti agiscano con decisione. Lo sport, che pure avrebbe potuto già fare molto, è paralizzato dai propri equilibri di potere. Potere maschile, naturalmente come ricorda benissimo Lilli Gruber nel suo libro “Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone” (edito da Solferino) in cui ha voluto citare il lavoro di Assist. È giunto veramente il momento di dire basta e di ottenere la parità nello sport!».

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