PFIC ITALIA: L’ASSOCIAZIONE CONTRO UNA DELLE MALATTIE PIÙ DEVASTANTI

Contro la colestati intraepatica non c'è cura. L'associazione sostiene le famiglie e punta sulla ricerca scientifica

Eva Luna ha poco meno di due anni, ma è già un grande esempio di resilienza. Era novembre 2019 quando, a soli quattro mesi, le è stata diagnosticata la colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC), una patologia genetica rara, caratterizzata dall’interruzione del flusso biliare dal fegato all’intestino. A causa di un difetto genetico, la bile rimane nel fegato e lo intossica, compromettendone le funzioni al punto da rendere necessario il trapianto d’organo. «La colestasi è una famiglia di malattie che presenta varie forme», spiega la madre di Eva Luna, Francesca Lombardozzi, da sempre attiva nel sociale. «Quella di tipo 1, che è stata diagnosticata a mia figlia, ha un’incidenza di un bambino ogni 100mila ed è una delle più complicate, in quanto coinvolge intestino, reni, pancreas e può provocare una perdita dell’udito».

L’associazione

Una tragica scoperta aggravata dalla consapevolezza che non esistono, al momento, né una cura né una terapia definitiva in grado di alleviare uno dei sintomi più comuni del PFIC: un prurito invalidante e cronico che si estende su tutto il corpo e che non lascia tregua nemmeno di notte. «Ho passato i primi sei mesi a documentarmi e a fare ricerche», racconta. «Poi, tramite i social, sono venuta a contatto con altre quattro famiglie in Italia che convivono con questa malattia. Ne è nato così uno scambio di esperienze, oltre che un confronto sulla salute dei bambini e sui centri in cui erano presi in carico».

 

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Una vignetta di Mauro Biani per l’associazione Pfic Italia

Ed è proprio da questa esigenza di far rete che è nata l’associazione PFIC Italia Network, il cui obiettivo primario è supportare tutte le famiglie che hanno ricevuto o riceveranno la diagnosi, affinché si sentano meno sole. «Oggi siamo dodici famiglie, ma ci sono anche degli adulti che hanno scoperto di esserne affetti. La nostra associazione», commenta Lombardozzi, che ne è la presidente, «è un ramo della rete internazionale PFIC Advocacy and Resource Network, nata in America, ed è la prima organizzazione PFIC sorta in Europa. Partecipiamo a tantissimi webinar con altri Paesi e siamo in contatto anche con le case farmaceutiche che producono farmaci sperimentali che per alcuni bambini stanno funzionando, mentre per altri no, tra i quali mia figlia».

Intanto lo scorso febbraio la piccola è stata sottoposta ad un importante intervento di diversione parziale biliare interna, grazie al professore Jean de Ville de Goyet, luminare del trapianto di fegato nei bambini e direttore del Dipartimento di pediatria per la cura e lo studio delle patologie addominali presso l’ISMETT di Palermo. «Adesso stiamo decidendo quale sarà il prossimo passo, ma il trapianto deve essere l’ultima scelta per Eva Luna dal momento che, nella PFIC di tipo 1, trapiantare un organo sano può creare uno squilibrio», spiega. «Tutto il resto delle manifestazioni extraepatiche rischia infatti di presentarsi in maniera molto più violenta».

La raccolta fondi

Insomma, se il trapianto di fegato non può essere l’unica soluzione, la sola risorsa preziosa per queste famiglie resta la ricerca scientifica: «Abbiamo lanciato una raccolta fondi, il cui obiettivo è arrivare ai 50mila euro necessari per far partire lo studio di nuove terapie. Grazie al sostegno di tanti, siamo al momento a un buon punto», riferisce. «A rendere possibile tutto questo, è il programma Spring Seed Grant, promosso dalla Fondazione Telethon, che consente alle associazioni di pazienti di attivarsi per finanziare progetti di ricerca della durata massima di un anno».

Per promuovere la ricerca sulla patologia, PFIC Italia Network ha anche realizzato un video di sensibilizzazione, che ha come testimonial la scrittrice Isabel Allende, autrice del libro “Eva Luna”, da cui Francesca ha tratto ispirazione per scegliere il nome della sua bambina, il cui significato è “vita”. «In una delle mie notti insonni ho trovato il suo indirizzo e-mail e ho deciso di scriverle. Con grande sorpresa Allende ha risposto e ha accettato di prendere parte a questa iniziativa di sensibilizzazione». Infine, con un filo di voce aggiunge: «Siamo consapevoli che per la ricerca non ci sarà tempo per mia figlia, tuttavia abbiamo scelto di gettare dei piccoli semi, affinché le famiglie, i bambini e le bambine che riceveranno la diagnosi in futuro non debbano rivivere quello che stiamo vivendo noi».

Ed è così che il dolore di queste famiglie si è trasformato in un’energia nuova capace di alimentare speranza.

Qui il video su youtube: (248) FERMA IL PRURITO Pfic Italia Network – YouTube

 

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