
PIANO SALUTE MENTALE: LA SOCIETÀ CIVILE CHIEDE CENTRALITÀ DELLA PERSONA E CONCRETEZZA
Atteso da oltre dieci anni, il Piano redatto dal Ministero della Salute promette di rilanciare le politiche sulla salute mentale, ma suscita giudizi contrastanti. Peppe Dell’Acqua: «Un Piano che apre al ritorno di specialismi che non ci hanno fatto bene. Esclusa la società civile, temo il ritorno di quelle psichiatrie istituzionali che abbiamo cercato di sconfiggere»
14 Ottobre 2025
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Sta facendo molto discutere la presentazione del Piano salute mentale 2025-2030 (Pansm), redatto dal Tavolo Tecnico istituito dal Ministero della Salute e ora al vaglio della Conferenza Unificata Stato-Regioni per l’adozione definitiva. Si tratta di un documento atteso da oltre 10 anni, che aggiorna le politiche nazionali sulla salute mentale e su cui oggi si appunta l’attenzione della società civile, in particolar modo delle associazioni dei pazienti e dei familiari, che si chiedono se il Piano possa davvero raccogliere le sfide del presente. Abbiamo raccolto le opinioni di alcuni rappresentanti della società civile e ne emerge un quadro a luci e ombre.
Dell’Acqua: «Si rischia il ritorno degli specialismi che non mettono al centro la persona»
«È sicuramente un Piano ricco di spunti e di studi», esordisce lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, collaboratore dal 1971 di Franco Basaglia nell’ospedale psichiatrico di Trieste, successivamente direttore del Dipartimento di salute mentale della città giuliana per oltre 17 anni e oggi attivo all’interno del Forum Salute Mentale. «Nel complesso, però, l’impianto di fondo del Piano non è convincente. Almeno non lo è per uno, come me, che ha vissuto la fase della chiusura dei manicomi, visto che non intacca neppure lontanamente quella cultura psichiatrica, fatta di specialismi e divisioni, che abbiamo a lungo combattuto». La legge 180, ricorda lo psichiatra che l’ha vista nascere, rimetteva al centro i diritti della persona. «Il Piano, invece, si articola in numerose aree distinte tra loro, aprendo la porta al ritorno di quegli specialismi che non ci hanno fatto bene e che andrebbero superati in ragione della centralità della persona piuttosto che della malattia». Altra fonte di preoccupazione, secondo Dell’Acqua, è la mancanza di coinvolgimento in fase di stesura dei soggetti collettivi che operano nel campo della salute mentale. «È un Piano scritto da specialisti, il più delle volte psichiatri accademici, che hanno vissuto poco il lavoro territoriale», chiosa. «Temo il ritorno di quelle psichiatrie istituzionali che negli anni passati abbiamo cercato di sconfiggere. Oggi la psichiatria si è di nuovo rincantucciata nei suoi spazi, cercando di recuperare quello specialismo col camice bianco, assolutamente fragile e infondato. Così viene esclusa la società civile che, come abbiamo visto anche con l’ultimo viaggio di Marco Cavallo per chiedere la chiusura dei CPR, è ancora molto viva e attiva». Eppure, qualcosa di importante è cambiato e non si può far finta di nulla, conclude lo psichiatra: «Oggi le persone che si ammalano vogliono guarire, vogliono sentirsi dire dallo psichiatra che la guarigione esiste ed è possibile».

Cornacchia (Aresam): «Vorrei ma non posso, senza risorse il Piano resta un libro dei sogni»
«Ci auguriamo che le indicazioni organizzative declinate nel Piano di azione possano dare un risvolto uniforme e unitario a tutto il Paese, perché la gestione regionale determina a volte differenze eccessive tra una regione e l’altra», commenta Marinella Cornacchia, presidente dell’Associazione regionale per la salute mentale (Aresam) che, nel Lazio, rappresenta le persone con sofferenza mentale e le loro famiglie. Come se non bastasse, questa frammentazione si propaga a livello delle singole Asl, ampliando ulteriormente le differenze nel riconoscimento dei diritti tra un territorio e l’altro. «Non è tollerabile che un cittadino trovi risposte diverse a seconda della regione in cui vive e addirittura all’interno della propria ASL, a seconda del distretto di residenza», insiste Cornacchia. «Così si rischia di compromettere il diritto fondamentale alla salute mentale. La speranza è che il Piano di azione contribuisca a garantire una gestione più egualitaria dei servizi». Il problema ancora una volta sono le risorse e, di conseguenza, la carenza del personale impiegato nei servizi di salute mentale. «Se non vengono incrementate le risorse, il Piano nazionale rimane un libro dei sogni, un vorrei ma non posso», conferma la presidente di Aresam. «La nostra Costituzione prevede la cura, quindi il diritto alla salute non può essere sacrificato per via delle risorse limitate. Inoltre, è impossibile andare avanti senza gli operatori sanitari, cioè i medici, gli psicologi, gli infermieri, gli assistenti sociali e tutti gli altri professionisti della salute mentale. Auspichiamo che il Piano porti finalmente a una programmazione degli obiettivi e degli interventi, partendo dalle necessità dei territori. Perché è necessario partire dai bisogni delle persone e non realizzare misure a seconda delle disponibilità. Quasi nessuna Regione ha stanziato il 5% del bilancio sanitario a favore della salute mentale, come previsto da un vecchio accordo Stato-Regioni. Nel Lazio siamo fermi a malapena al 3% e di questo 3% una parte consistente viene assorbita dal privato convenzionato accreditato, perché il pubblico non ha disponibilità di organico e strutture». Insomma, quello che Aresam vorrebbe è una risposta reale, attenta e personalizzata alle situazioni di sofferenza psichica accentuatesi con la pandemia. «Manca una visione al tempo stesso particolare e globale del territorio e della situazione economica della regione», conclude Cornacchia. «Senza una conoscenza approfondita delle questioni della salute mentale resta solo il solito slogan: “Combattiamo lo stigma”. Ma lo stigma si combatte anche con azioni concrete, e non solo a parole».
Gentili (Consulta cittadina salute mentale di Roma): «Bene il piano, ma serve vedere come verrà applicato»
Fiduciosa ma con riserva si dice, invece, Elena Gentili, presidente della Consulta cittadina permanente per la salute mentale del Comune di Roma. L’organo riunisce 16 associazioni di utenti e familiari, le società scientifiche e 10 invitati permanenti, tra cui rappresentanti delle Asl, delegati del sindaco, presidenti delle consulte dipartimentali e direttori dei Dipartimenti di salute mentale. «Si tratta di un Piano potenzialmente buono, che può rappresentare una novità e uno svecchiamento rispetto alle posizioni precedenti», afferma. «Ma tutto dipende da quanto verrà effettivamente realizzato, perché a noi interessa vedere come verrà applicato concretamente. Richiederà sicuramente interventi continui di monitoraggio da parte di gruppi, come il nostro, di supporto alle istituzioni». Tra le sue priorità, la Consulta punta a garantire che i servizi di riabilitazione delle tre Asl offrano «la stessa tipologia di interventi e di opportunità, per poter monitorare meglio i risultati». Un altro obiettivo è dare continuità alle manifestazioni culturali che negli ultimi anni hanno contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica, come Romens e lo Spiraglio Filmfestival della salute mentale, promosso dall’Asl Roma 1 e ormai riconosciuto anche a livello internazionale. «Iniziative come queste», conclude, «aiutano più di ogni altra cosa a far capire che la salute mentale è una condizione che si può curare, e che le persone possono ritrovare una vita piena e dignitosa».
Immagine di copertina Anette Bratteberg
