AIUTIAMOLI A CASA NOSTRA: 4 DONNE CI MOSTRANO “DOVE BISOGNA STARE”

Prodotto da ZaLab e MSF, Dove bisogna stare è il documentario di Daniele Gaglianone, che segue quattro donne impegnate nell’accoglienza di migranti

Al di là delle provocazione che si contrappone allo slogan “Aiutiamoli a casa loro” così in voga in una parte degli italiani in questi anni, “aiutiamoli a casa nostra” è un’espressione che racconta esattamente la scelta di vita che hanno fatto le protagoniste di Dove bisogna stare, il film-documentario di Daniele Gaglianone, scritto con Stefano Collizzoli, prodotto da ZaLab in collaborazione con Medici Senza Frontiere, nelle sale cinematografiche dal 17 gennaio con un tour di proiezioni- evento organizzate in tutto il territorio nazionale. Si tratta di quattro donne, molto diverse fra loro, che hanno deciso di impegnarsi, spontaneamente e gratuitamente, nella cura e nell’accoglienza di persone migranti.

 

dove bisogna stareGeorgia, ventisei anni, di Como, segretaria, un giorno, di fronte alla stazione della sua città, si trova davanti a una situazione surreale, qualcosa che non immaginava potesse accadere nel posto dove vive: ci sono un centinaio di migranti accampati con mezzi di fortuna, che sono lì perché la Svizzera ha chiuso le frontiere. Pensa di dare una mano per un giorno, poi di prendere una settimana di ferie. È ancora lì. Lorena, una donna sulla sessantina di Pordenone, quella che definiremmo una signora bene, con la collana di perle, è una psicoterapeuta in pensione che si è trovata a salvare un senzatetto da morte sicura, e da lì ha deciso di guardare in faccia la realtà e agire. Elena, da Oulx, alta Valsusa, lavora a Bussolengo e ha incontrato un ragazzo africano che, camminando per ore e ore tra la neve con un paio di scarpe di tela per passare il confine, ha rischiato di perdere l’uso dei piedi: ha deciso di ospitarlo a casa sua, cedendogli la camera da letto e dormendo sul divano. Jessica, ventun’anni, studentessa a Cosenza, ha scelto di vivere l’esperienza di una casa occupata, con un’associazione che la mette a disposizione di chi ha bisogno: italiani, migranti, anche quegli italiani che non vedono di buon occhio gli stranieri, che così vivono l’uno vicino all’altro. Il film sarà a Torino presso il Cinema Massimo, a Roma presso l’Apollo 11 e a Milano al Cinema Beltrade. Sono previste altre proiezioni su tutto il territorio nazionale: le trovate su ZaLab  e www.facebook.com/zaLab.

 

COSÌ DIVERSE COSÌ UGUALI. C’è un momento, alla fine del film, in cui Gaglianone riesce a cogliere un momento di commozione negli occhi di quelle donne, che, grazie al montaggio, sembrano trovarsi tutte nella stessa stanza, magari a dividersi una sigaretta. Come accade in certi film di finzione, si tratta di donne diversissime, lontane geograficamente e come esperienze, che si trovano davanti alle stesse scelte. Hanno visto una realtà con i loro occhi, e hanno deciso di non voltarsi. Di essere lì, dove bisogna stare. «Da un certo punto in poi ho cercato di trattare questi quattro ritratti come se fossero quelli di un’unica entità, come fosse il ritratto di un’attitudine, che potesse prendere corpo anche in modo contraddittorio» ci ha raccontato il regista. «Le nostre protagoniste non sono uguali ma, partendo dal fare, da un sano pragmatismo, condividono l’esigenza idea di una prospettiva nuova, anche in modo radicale. Non solo Jessica, per cui è evidente un percorso politico, ma anche le altre. Lorena dice che guardare negli occhi un rifugiato, guardare negli occhi in generale, è un atto politico». «Si tratta di tornare a curare i fondamentali, come si dice nel gergo del pallone» continua. «Siamo tornati indietro parecchio, e rilevo che la natura delle relazioni tra le persone è peggiorata tantissimo. Al di là delle situazioni più estreme, la questione dei migranti è una questione che tendiamo a escludere dalla nostra vita quotidiana. C’è la tentazione di dire che è una condizione che non ci riguarda. Invece credo che le situazioni più estreme siano spesso ambasciatrici del futuro possibile per tutti. Il decreto sicurezza non è un decreto sui migranti, ma sui poveri.

 

dove bisogna stareE la storia ci insegna che spesso si sperimentano sui poveri modalità che possano valere per tutti». «Questo film è stato un incontro con un pezzo di paese che sapevo esistesse, ma è un paese silenzioso, che fa le cose, che non strilla» riflette Gaglianone. «Fa molto più rumore uno che scrive cose orrende sui social che mille persone. L’altra cosa che mi ha colpito è che ero sconcertato sia dalla straordinarietà di queste persone che dalla loro normalità. Seguire il loro quotidiano fa capire che non occorre essere supereroi né stanti per fare qualcosa. Se queste persone sono considerate un’anomalia dalla società siamo veramente messi male». Lorena, nel film, racconta che molta gente tende a rimuovere il. Ma i migranti, i rifugiati sono lì a mostrarci le nostre fragilità, le nostre paure. «Sono uno spettro di un futuro possibile, la condizione di marginalità. E poi ci ricordano che gli europei, che oggi si lamentano che questi disperati arrivano col barone sulle loro coste, per secoli sono andati in giro per il mondo a razziare tutto quello che potevano. In Europa la civiltà evoluta è tutto quello che è grazie anche a una rapina che è durata secoli. Sarebbe grottesco, ridicolo, se non fosse tragico, che gli europei chiamino invasione quella dei profughi quando siamo stati noi per secoli a invadere gli altri continenti».

 

IL REATO DI SOLIDARIETÀ. Dove bisogna stare affronta il tema delle migrazioni da un punto di vista inedito e originale, quello dei volontari, di chi decide di impegnarsi per costruire un’Italia accogliente. Ne ascolta le motivazioni, le scelte, e anche le difficoltà. Perché accogliere vuol dire mettersi in gioco, metterci la faccia. Significa scendere in campo, e non tornare più indietro. «L’esperienza di strada con in rifugiati ci ha rovinato tutte le amicizie, ci hanno attaccato» racconta Lorena nel film. «Ma l’assistenza non è politica. Io non so fare politica. Credo di fare politica senza saperlo». Il giudizio degli amici e dei parenti è sempre presente.

 

dove bisogna stareTi dicono «cambia lavoro», o «ti ho visto in giro con dei neri», come accade a Georgia, o «tua figlia non si vede al paese, si è fidanzata con un negro?», come sente dire il padre di Jessica. «Il fantasma della solitudine è lì, ma convive con la scoperta di una rete, di altre persone che sono pronte a condividere un’attitudine. Le cose si compensano» ragiona il regista. «Viviamo una situazione per cui, se non dal punto di vista giuridico, da quello culturale e di costume siamo vicini all’istituzione del reato di solidarietà. La vergognosa campagna contro le ong di qualche anno fa è stata una cosa gravissima. Il clima è questo, e sarà sempre più difficile essere Jessica o Georgia. Ma loro hanno ventuno e ventisei anni, e questo è qualcosa che mi rassicura».

 

ANCHE SE È UN BIANCO TI PUOI FIDARE. L’accoglienza non è facile. Spesso ci si aspetta un ringraziamento. Ma non sempre accade: può capitare che se la prendano anche con te. Come ci spiega Lorena, come noi creiamo un nemico, anche loro hanno bisogno di dare la colpa a qualcuno. C’è il volontario buono, quello che magari dà loro i soldi per mangiare, e c’è il volontario cattivo. «È comprensibile» riflette Gaglianone. «Noi abitanti di questa parte del mondo rischiamo di amplificare un’acrimonia comprensibile per le ragioni che dicevo prima. Se noi cosa volete che pensi un abitante di un ex colonia francese della Francia?»

 

https://youtu.be/4wy8m-RtP2Y

 

Una delle cose interessanti del film è proprio il ribaltamento di prospettiva. Tra i racconti di un amico di una delle donne, sentiamo la storia di una bambina che viene presa in spalla da un ragazzo italiano, prima di passare il confine. Prima che accada il padre le dice qualcosa. Che cosa ha detto, gli verrà chiesto dopo? «Anche se è un bianco ti puoi fidare». «E una frase importantissima e racconta molto bene quello che dicevo prima», ci spiega il regista. «C’è una diffidenza, un rancore con tutto quello che gli europei hanno fatto al resto del mondo, che dobbiamo ringraziare ancora che vengano qui chiedendo permesso. Nell’immaginario di molti popoli l’uomo bianco è un mostro».

 

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org

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