
SAN DAMIANO, IN VIAGGIO TRA I PRECIPIZI DI TERMINI
San Damiano, il documentario di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, è un viaggio poetico e viscerale, capace di dare voce agli “invisibili” di Stazione Termini e di ispirare riflessioni profonde. Il 10 ottobre torna nei cinema con una proiezione in contemporanea
09 Ottobre 2025
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Che cos’è San Damiano? Il documentario di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes è un viaggio poetico e viscerale, capace di dare voce agli “invisibili” di Stazione Termini e di ispirare riflessioni profonde. San Damiano è un’immersione nell’anima ferita di Roma, un viaggio catartico dagli abissi di Termini alla fragile luce della speranza. Presentato lo scorso anno alla Festa del Cinema di Roma, premiato al SAMIFO Lo Spiraglio Film Festival per la sua autenticità, ha iniziato ad aprile il suo viaggio nei cinema che, dopo centinaia di proiezioni, continua ancora. Il 10 ottobre, in occasione della Giornata internazionale delle persone senza fissa dimora e della salute mentale, San Damiano verrà proiettato a Roma al cinema Don Bosco, Madison, Eden, Nuovo Aquila, a Fiano Romano al cinema Cineferonia, a Grottaferrata al cinema AlFellini e in altri cinema italiani contemporaneamente. L’inizio è alle 20.30, con un collegamento in streaming con gli autori e altri ospiti, prima della proiezione del film. Potrete così farvi una vostra opinione su un film coraggioso, scomodo, controverso. Un film disturbante, urticante e mai accomodante, che stimola una serie di riflessioni sia sul mondo dei senza fissa dimora, sia sul senso delle immagini che catturano il reale e il limite che possono o non possono oltrepassare.
Damian, dalla Polonia a Stazione Termini
In fuga dai fantasmi del passato, Damian Eugenius Bielicki, polacco, 35 anni, decide di trasferirsi a Roma per ricostruire la sua esistenza. Arrivato alla Stazione Termini senza un centesimo, invece di unirsi ai senzatetto che dormono in terra, si arrampica su una torre delle antiche Mura Aureliane che sovrastano la stazione, facendone la sua nuova casa. Sognando di diventare un cantante e assetato di amore, Damian si abbandona a Sofia, una senzatetto forte e carismatica che lo affascina.

Non solo cibo e coperte, ma il bisogno di parlare
Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, dopo un anno di volontariato distribuendo pasti ai senzatetto con la comunità di Sant’Egidio, una sera hanno deciso di trascorrere una notte a Termini. «Siamo entrati in questo mondo molto gradualmente, prima con il volontariato» ci spiega Sassoli. «La cosa che abbiamo capito facendo volontariato è stata la necessità che queste persone avevano di parlarci di loro. Non era tanto il pasto e la coperta, ma era più la necessità di un contatto umano. Nel momento in cui ci siamo trovati lì con una telecamera, questa ha dato la possibilità alle persone di esprimersi. Il nostro approccio è stato sempre quello di dare spazio, di stare in ascolto. È chiaro che Damiano, per la sua personalità, non aspettava altro che qualcuno facesse un film su di lui. Con altri la cosa si è sviluppata molto gradualmente. Le riprese sono durate un anno, durante il quale abbiamo instaurato rapporti di amicizia e di fiducia».
Nel mondo delle persone senza dimora: molte regole si ribaltano
I due registi così hanno frequentato quotidianamente la stazione di Termini per due anni, di cui uno è stato interamente dedicato alle riprese. Che mondo hanno trovato? «La prospettiva su tante cose è molto diversa» ci ha spiegato il regista. «È quasi un ribaltamento. Ivan, con cui sono rimasto in contatto, mi ha detto qualche giorno fa: sono al pronto soccorso, nella sala di attesa perché sto caricando il cellulare. Un luogo che la maggior parte delle persone rifugge per Ivan vuol dire caricare il cellulare. C’è un ribaltamento di tante regole che ordinano la società civile. Le cose fondamentali della vita invece sono molto presenti. Il bisogno d’amore è evidente in questo film ed è quello che accomuna tutti gli esseri umani. Ci sono l’amore, la rabbia e lo spettro delle emozioni dell’umanità».
Stazione Termini: chi sta dentro e chi sta fuori dalle inferriate
Nel corso del lungo viaggio di San Damiano i registi hanno incontrato spesso anche degli esponenti del Terzo Settore. «Abbiamo incontrato la Croce Rossa, la Caritas, la FioPSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora, ndr)» ci ha raccontato il regista. «Chi lavora nel Terzo Settore conosce meglio questo mondo. E in tanti ci hanno detto che, pur lavorando da anni nel settore, non avevano mai visto delle cose così. Alcuni hanno detto che finalmente è stato fatto un film su persone di cui nessuno si occupa. C’è stato anche chi ha detto che non si vede tutto il lavoro delle associazioni. Ci siamo concentrati su Damiano perché abbiamo conosciuto lui. E, tramite lui, un gruppo di persone che non vengono raggiunte, anche perché lo rifiutano, dal lavoro meraviglioso che fanno le associazioni. Loro sono ai margini dei margini. C’è una cosa simbolica: alla fine di via Marsala, dove ci sono la Caritas e Binario 95, che sono chiuse da grandi inferriate. C’è hi sta dentro e chi sta fuori. Fuori ci sono Damiano, Sofia e gli altri. Perché non ci possono stare dentro, non possono convivere con altre persone».
Quando bisogna allontanare la camera?
Al dibattito sul film ha partecipato anche Christian Raimo, che ha sollevato alcuni dubbi. «Mentre vediamo il film, assistiamo a dei traumi, piccole e grandi violenze, stupri raccontati o sottintesi, pestaggi, abbandoni» ha scritto. La decisione di non allontanare la camera quando questo accade porta a un effetto veramente disturbante: non potendo intervenire, essendo lasciati dai registi nella posizione di chi guarda senza intervenire, cosa accade? «Raimo non ha capito quali sono le immagini girate con il cellulare, quelle girate direttamente da Damiano» precisa Sassoli. «C’è violenza nel film, ma l’unico momento in cui c’è sono riprese fatte da Damiano: quando picchia Felice è lui stesso che gira con il cellulare. Se fossimo stati lì saremmo intervenuti. La violenza è una costante, e quando c’erano problemi o situazioni di tensione cercavamo di mitigare e intervenire. Per le cose più esplicite, come le scene di intimità, o Sofia che si fa in vena, noi abbiamo deciso di riportare quella che è la vita reale. Sono cose concordate con loro: la scena di sesso era una cosa che Damiano ci teneva a mostrare, per dire: questa è la vita di strada, l’intimità si consuma a cielo aperto. Al montaggio poi si prendono delle decisioni. Per noi è stato importante non mettere un filtro, non proteggere lo spettatore, far vedere le cose come sono e come le hanno volute far vedere i protagonisti».
Damiano, un caso limite
L’altro dubbio sollevato da Raimo è stato questo. «La poetica del degrado, in qualunque sua forma, finisce per avere una responsabilità in più: vedere soltanto la superficie di un fenomeno così complesso come quello della vita per strada rischia di anche di lasciare più indifferenza e condiscendenza che consapevolezza». Ci chiediamo, piuttosto, se decidere di raccontare quello che è un caso limite finisca per non rappresentare tanti senza fissa dimora che, in fondo, sono persone normalissime, come tutti noi. «Abbiamo incontrato Damiano e siamo entrati subito in sintonia» ci spiega il regista. «Credo che sia importante fare vedere il caso più estremo. Questa cosa ci riguarda tutti e dobbiamo andare sul caso limite: se prendiamo una versione più mite, più semplice, allora edulcoriamo la realtà e non andiamo a fondo sulla questione. Ci siamo relazionati a Damiano in modo forse un po’ naïve, come a un amico: non abbiamo visto come un malato, un caso clinico, ma ci siamo avvicinati a lui come un essere umano. Mentre passavano i mesi abbiamo iniziato a capire meglio la situazione e sono iniziate lunghe conversazioni tra di noi, con psicologi, per capire come poter aiutare Damiano».
Come è finita la storia?
Dopo le riprese, Damian è finito in un ospedale psichiatrico in Polonia. «È stato per un anno e mezzo in quella struttura psichiatrica, che è un manicomio» ci risponde Sassoli. «Non ha deciso di stare lì, non poteva uscire e non aveva internet. In Polonia non c’è stato Basaglia: ci sono i manicomi. Ma ha smesso di bere, non viveva più per strada, aveva un letto, un bagno, uno staff che si occupava di lui. Ha fatto un percorso di cura. Dopo un anno e mezzo è uscito, avrebbe dovuto seguire un percorso. È andato in Austria, perché non voleva correre il rischio di essere rinchiuso di nuovo. E perché lì è più facile trovare un posto letto. Il Terzo Settore è ben finanziato dallo Stato».
