LA GUERRA DEL TIBURTINO III, LUNA GUALANO: DIFFIDATE DA CHI ALZA I MURI

Gli alieni, partendo dal Tiburtino III, vogliono conquistare il mondo. Nel suo La Guerra del Tiburtino III, al cinema dal 2 novembre, Luna Gualano usa l’horror, la fantascienza, la metafora per raccontare i quartieri romani

C’è qualcosa di strano nel quartiere romano del Tiburtino III. Il fatto è che sembra di non riconoscere più alcune persone: hanno delle espressioni atone, parlano in modo meccanico e inespressivo. E, soprattutto, sono sempre di più. Cominciano a lanciare anatemi contro i migranti e contro tutto. E, all’improvviso, decidono di fare barricate, di alzare muri, di chiudere il quartiere. Ma come può essere successo? Sono le stesse persone con cui vivevamo fino a poco tempo fa, eppure non sono più loro. La risposta è che siamo in un film di Luna Gualano, La Guerra del Tiburtino III, presentato nella sezione Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma e in uscita al cinema il 2 novembre. Luna Gualano è una regista che usa il genere – l’horror, la fantascienza – per raccontare la realtà dei nostri quartieri. E per fare film che a loro modo sono politici e sociali. Oltre ad essere terribilmente divertenti.

Tutto inizia quando un piccolo meteorite cade dal cielo…

La guerra del Tiburtino III
La Guerra del Tiburtino III, presentato nella sezione Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma è in uscita al cinema il 2 novembre

Un giorno, al Tiburtino III, alla periferia di Roma, le persone non sono più le stesse. Tutto inizia quando un piccolo meteorite cade dal cielo e viene raccolto da Leonardo De Sanctis (Paolo Calabresi), il padre di Pinna (Antonio Bannò), uno spacciatore del posto. Nei giorni successivi, quasi tutti gli abitanti del quartiere iniziano a comportarsi in modo strano, alzando delle vere e proprie barricate attorno al loro territorio. Pinna decide di indagare sul fenomeno insieme ai suoi amici, Panettone (Federica Majorana) e Chanel (Francesca Stagnì) e a Lavina Conte (Sveva Mariani), famosa fashion blogger rimasta intrappolata suo malgrado nel quartiere. Gli alieni, partendo dal Tiburtino III, sono intenzionati a conquistare il mondo. A Pinna e al suo improbabile gruppo il compito di salvarlo. Sì, come in ogni classico dell’horror e della fantascienza, si forma la squadra, gli eroi improbabili che si trovano insieme per caso. Sono i meno adatti a fare squadra, sono i meno adatti a salvare il mondo. Ma, di fatto, si troveranno a fare squadra per salvare il mondo.

Il cinema di genere per raccontare la nostra realtà

Luna Gualano dirige un film spassoso e intenso tra la fantascienza classica, la commedia, il pulp e il fumetto, tra Don Siegel e John Carpenter, Tarantino e i Manetti Bros (che producono, insieme a Piergiorgio Bellocchio) e il mood di Zerocalcare. La fotografia di Giuseppe Chessa dipinge interni alla Hopper tra luci (al neon) e ombre, ed Emiliano Rubbi, anche sceneggiatore insieme alla regista, crea l’atmosfera con una colonna sonora tra musica surf e il theremin che ogni classico sci-fi presuppone. Dopo l’intelligente Go Home – A casa loro, Luna Gualano e Emiliano Rubbi applicano ancora il cinema di genere al racconto della nostra realtà. Lo straniamento della fantascienza è quello che proviamo noi di fronte a certi comportamenti. Gli alieni sono tra noi. Ma, in fondo, sono tra noi tutti i giorni.

Una metafora efficace

La guerra del Tiburtino III
Luna Gualano usa il genere – l’horror, la fantascienza – per raccontare la realtà dei nostri quartieri. E per fare film che a loro modo sono politici e sociali, oltre che terribilmente divertenti

A Luna Gualano piace realizzare qualcosa che prescinde il reale.  Per mandare un messaggio, infatti, la metafora è spesso molto efficace. «Quando a livello personale qualcuno ha dentro di sé dei messaggi, delle cose che fanno forte del proprio carattere, del proprio vissuto, della propria personalità, qualsiasi storia andrà a raccontare avrà per forza di cose alcuni di quei fattori» ci racconta la regista. «Paradossalmente, anche se questa cosa non fosse voluta, verrebbe fuori in modo spontaneo. Non credo che un’opera per essere compiuta debba avere un messaggio politico o sociale. Ma se l’autore coltiva questo tipo di sensibilità è anche spontaneo che questo venga fuori».

Dobbiamo diffidare da chi vuole alzare dei muri

I riferimenti più evidenti sono L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel e ad Essi vivono di John Carpenter. La metafora è chiara e potente: viviamo con quelle che sembrano delle persone di un certo tipo fuori, ma sono qualcun altro dentro. Magari fuori sono come noi, ma sono diverse, razziste e intolleranti dentro. E magari ci accorgiamo di questo tutto d’un colpo, quando meno ce lo aspettavamo. «A differenza da Go Home, dove la barriera era costruita per tenere la minaccia fuori dal centro, qui c’è un ribaltamento. In realtà la barriera, il separarsi dagli altri e l’isolamento è ciò che porta l’invasione aliena ad espandersi. C’è un’inversione di significato per quel che riguarda le barriere, i muri che si alzano tra le comunità. Dobbiamo diffidare da chi vuole alzare dei muri». Qui la chiusura fisica del quartiere è un segno della chiusura morale di queste persone. «È una metafora», ci conferma la regista.

La politica cerca di cavalcare impulsi che sono naturali

Ma, come L’invasione degli ultracorpi, La guerra del Tiburtino III ci spiega che la presenza aliena si diffonde come un contagio – proprio come il condizionamento di media e leader politici populisti – come la propaganda che chiude gli occhi e anestetizza i cervelli. A proposito di leader politici, il cameo di Piergiorgio Bellocchio mostra un tipo di persona che in questo mondo non manca mai. «Volevo anche mostrare come la politica cerchi di cavalcare questo tipo di impulsi che ahimè sono naturali, propri della natura umana, anche se in questo caso vengono proposti come alieni» spiega la regista. «Anche se, più che i veri alieni, aliena è Lavinia, che si trova in un contesto diverso dal suo con il quale ha una difficoltà a rapportarsi. Mentre gli alieni si trovano estremamente a loro agio». A proposito di Lavinia, la sua presenza estranea viene notata subito dagli alieni. «Lo confesso: sono di Roma nord» se ne esce candida lei.

Quell’idem sentire con Zerocalcare

La guerra del Tiburtino III
Al Tiburtino III le persone hanno delle espressioni atone, parlano in modo meccanico e inespressivo. Cominciano a lanciare anatemi contro i migranti e contro tutto. E decidono di chiudere il quartiere. Ma come può essere successo?

Come nel precedente Go Home, ne La guerra del Tiburtino III c’è un idem sentire con Zerocalcare. Anche quest’opera, come la sua ultima serie, Questo mondo non mi renderà cattivo, è sempre dalla parte degli ultimi, solidale e empatica. Non solo: tono e recitazione, nel film, sono giocati sul filo del rasoio con un gusto fumettistico, per mantenere un senso di reale ma in un mondo irreale. «Sicuramente, adorandolo come autore, qualcosa di Zerocalcare c’è. Quando segui qualcosa ne vieni influenzata» spiega la regista. «Abbiamo un background comune, a parte essere entrambi libertari: abbiamo frequentato le stesse zone, lui nella sua ultima serie parla di questo quartiere facendo riferimenti a eventi molti simili avvenuti al Tiburtino III. Abbiamo lo stesso background culturale e politico, ci si influenza».

Una lettura non giudicante della realtà

La guerra del Tiburtino III rompe anche con una narrazione secondo la quale la periferia viene raccontata sempre nello stesso modo, tra crime o il film sociale. Qui, proprio come in Zerocalcare, si narra proprio la periferia in un nuovo modo: meno scontato, meno stereotipato, ma anche fiero. «Penso che in comune con Zero ci sia la lettura non giudicante della realtà, e il capire che un certo tipo di disagio della periferia non necessariamente è dovuto alle persone che le abitano» ci risponde Luna Gualano. «Solitamente si tende a responsabilizzare i singoli e deresponsabilizzare le istituzioni o la società. Con il mio coautore Emiliano Rubbi quello che vogliamo fare, ma che in realtà ci viene spontaneo fare, è raccontare le storie degli individui di una determinata realtà che ha i suoi problemi ma che non necessariamente sono dovuti agli individui. Il fulcro della la storia non è la disfunzionalità degli individui, e neanche il contesto. È la storia. Che poi sia ambientata in quel posto è qualcosa che ci permette di ampliare i significati della narrazione: però gli alieni potevano cadere anche in un’altra periferia, o in campagna. Il fulcro della storia non è il disagi.

LA GUERRA DEL TIBURTINO III, LUNA GUALANO: DIFFIDATE DA CHI ALZA I MURI

LA GUERRA DEL TIBURTINO III, LUNA GUALANO: DIFFIDATE DA CHI ALZA I MURI