ZEROCALCARE. TRE COSE CHE TI FANNO ESSERE UNA PERSONA GIUSTA

Aiuta chi te lo chiede, vai al passo del più lento e non lasciare indietro nessuno. “Questo mondo non mi renderà cattivo” è la nuova serie di Zerocalcare, su Netflix. «Nella vita cerco di dare risposte collettive ai problemi»

«Ci sono tre cose che ti fanno essere una persona giusta con gli altri. Aiuta chi te lo chiede senza stà a questionà. Andà sempre al passo del più lento. E non lasciare indietro nessuno. Se li segui tutti e tre magari te becchi qualche sola. Ma almeno quando crepi non finisci nello stesso girone di Margaret Thatcher». È ancora una volta Sarah, la grande amica di Zerocalcare, personaggio chiave dei suoi libri e ora delle sue serie, a darci la ricetta per essere una persona giusta. Ce lo racconta a un certo punto di Questo mondo non mi renderà cattivo, la nuova serie animata di Zerocalcare, disponibile in streaming su Netflix. La saggia Sarah, già in Strappare lungo i bordi ci aveva fatto sentire bene ricordandoci che, nel mondo, eravamo come dei fili d’erba in mezzo a un prato, togliendoci, così, molta pressione. Ora torna in questa nuova serie, che non è il seguito di Strappare lungo i bordi (era stata pensata prima di quella) ma che, in qualche modo, ne riprende alcuni temi, alzando al tempo stesso il tiro e facendo un discorso molto più politico. «Il titolo Questo mondo non mi renderà cattivo nasce da una canzone di Path, cantautore di Anguillara Sabazia» ci ha spiegato Michele Rech, in arte Zerocalcare. «Non è da intendersi come riferito a me: in realtà sono tanti i personaggi messi alla prova dal mondo della serie. Prove impegnative, dolorose, più di quelle che devo fare io. Questo mondo non mi renderà cattivo è un auspicio rispetto a quello che abbiamo intorno: il tentativo del si salvi chi può nei momenti di crisi, scappare sgomitando e passando sopra gli altri».

 Non trovare più punti di rifermento

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«Questo mondo non mi renderà cattivo è un auspicio rispetto a quello che abbiamo intorno: il tentativo del si salvi chi può nei momenti di crisi, scappare sgomitando e passando sopra gli altri»

Al centro della storia di Questo mondo non mi renderà cattivo c’è Cesare, un vecchio amico di Zero, che torna nel quartiere dopo diversi anni di assenza e fatica a riconoscere il mondo in cui è cresciuto. Zerocalcare vorrebbe fare qualcosa per lui, ma si rende conto di non essere in grado di aiutarlo a sentirsi di nuovo a casa e a fare la scelta giusta per trovare il suo posto nel mondo. Nel frattempo sono arrivati alcuni migranti che sono stati sistemati in un cento d’accoglienza, e la cosa ha scatenato reazioni nel quartiere. Le tivù cavalcano il malcontento e Zero, che dovrà andare ospite proprio a uno di quei programmi televisivi, si sente in dovere di dire qualcosa. «Cesare non è una persona vera» ha spiegato Zerocalcare. «Nella mia vita ci sono stati tanti “Cesari”. È una persona come ne ho conosciute tante. È un personaggio che è stato assente dal quartiere e quando ritorna non riesce a trovare più punti di rifermento, perché quelli che lo erano sono allo sbando tanto quanto lui».

Quel pacco che nessuno se vole accollà…

Zerocalcare è entrato nel cuore di tanti qualche anno fa, dopo essere riuscito a esternare i nostri dubbi e le nostre paure durante il lockdown con Rebibbia Quarantine, la serie di piccoli corti animati realizzati per Propaganda Live. È straordinaria la sua capacità di sintesi, la sua bravura nel tratteggiare con pochi schizzi stati d’animo e situazioni. In Questo mondo non mi renderà cattivo è eccezionale la metafora dei migranti che arrivano nei centri d’accoglienza, raccontata con delle sequenze di animazione in stop motion. «È come un pacco che nessuno se vole accollà, perché impiccia, non c’ha la bolla d’accompagno, quindi je fanno fa il giro delle sette chiese e alla fine lo portano in un quartiere che per convenzione chiameremo Tor Sta Ceppa». È così che in tanti vedono il problema, ma Zero ci dice che in realtà «quel pacco sò 35 persone, tra uomini, donne e ragazzini che sono sbarcati dalla Libia un mese fa. È difficile rendersi conto che stiamo parlando di esseri umani, perché non li vedi mai e non sai niente di loro».

I media ne parlano, ma come vogliono loro

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A rappresentare il mondo dei media è “A Na Certa Show” con Mauro Coccodrello

A parlarne sono i media, ma ne parlano come vogliono loro. E così Zerocalcare fa un ritratto molto lucido dei media di oggi. A rappresentare quel mondo è “A Na Certa Show” con Mauro Coccodrello. Sono i i media che creano un clima ostile, che cercano il mostro da baraccone, King Kong quando lo portano sul continente. Zerocalcare mostra le cose proprio come sono. E quelli di estrema destra li chiama proprio nazisti, e ci spiega anche il perché. «In questo Paese prima se dicevi fascista era una cosa brutta, adesso non interessa più niente a nessuno» dice la voce narrante del suo personaggio nella serie. «Uno dice vabbè è fascista però è bravo. Come se dicesse e vabbè è celiaco… Il nazismo invece è l’ultimo baluardo che ancora fatica a trovare spazio nel mercato democratico». «Non ritengo che chiunque abbia dubbi sulle modalità di accoglienza sia nazista» ha spiegato Zerocalcare nella conferenza stampa di lancio del film. «Io cerco di fare una grossa distinzione su persone che vivono sulla loro pelle una serie di disagi e credono a delle soluzioni che per me non sono condivisibili, e persone che fanno speculazione politica e strumentalizzano queste persone per il loro tornaconto elettorale. Non penso che le persone che stanno nei quartieri e hanno certe idee siano nazisti, altrimenti sarebbe un mondo pieno di nazisti».

Le parole sono importanti

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«Ci sono tre cose che ti fanno essere una persona giusta con gli altri. Aiuta chi te lo chiede senza stà a questionà. Andà sempre al passo del più lento. E non lasciare indietro nessuno. Se li segui tutti e tre magari te becchi qualche sola. Ma almeno quando crepi non finisci nello stesso girone di Margaret Thatcher»

Zerocalcare parla di “ne…i” (“persone contraddistinte da molta melanina”) e  lo dice chiaramente: non è per la dittatura del politicamente corretto, ma è un lavoro sulle parole che è molto complicato. Da un lato, in un’opera di finzione, se c’è un razzista non ha senso farlo parlare in modo pulito. Dall’altra è vero che, se uno vuole che certe parole scompaiano dall’uso comune, a un certo punto deve pure smettere di usarle, altrimenti va a finire che verranno usate per sempre. C’è anche un’altra parola usata nella serie, che riguarda l’orientamento sessuale. Ma come sceglie Zerocalcare se tenere una parola o no? «La metto in bocca ai personaggi omofobi, oggettivamente negativi e deprecabili» risponde Michele Rech.  «Perché una parola sì e una no? Cedo che ci sia una grossa confusione in generale su questo tema. Sono state fatte delle battaglie molto giuste all’interno della società. Non ho la soluzione a questa cosa, però andrebbe sviscerata meglio riguardo i prodotti di fiction. Mentre penso che dovremmo tutti fare uno sforzo nella nostra vita di tutti i giorni, a me interessa che i conflitti della vita vera vengano messi in scena all’interno dei prodotti di fiction. Se l’uso della parola di per sé rischia di essere doloroso, è altrettanto dolorosa una scena in cui si vede un pestaggio o una situazione violenta, di discriminazione. Anche rispetto i safe place: nella fiction dobbiamo immaginare che tutto sia sicuro oppure che i conflitti di vita vera debbano essere messi in scena nella loro crudezza?» «Io ho una risposta che è parziale» continua Zerocalcare. «Mi piacerebbe che ci fosse un confronto collettivo tra persone che stanno dalla stessa parte, che si possano confrontare con punti di vista diversi. Sarebbe bello sedersi intorno a un tavolo tra persone che hanno la stessa finalità e fanno lavori diversi e ci si aiuti a ragionare».

Zerocalcare: cerco di dare risposte collettive ai problemi

E allora torniamo al punto da dove eravamo partiti. Cosa serve per non diventare cattivo oggi? «Niente, sarebbe arrogante per me dire che non sono diventato cattivo» risponde Zerocalcare. «In questi anni ho dovuto fare scelte, compromessi, scivoloni, penso di aver ferito delle persone. Una cosa che provo a fare nella vita è cercare di dare risposte collettive ai problemi, di partire con l’idea di non lasciare indietro nessuno, anche quando le risposte collettive servono anche a quelli che in quel momento stanno bene. Se stai bene da solo e intorno a te cresce un mondo che sta male, credo che sia una cosa ingiusta per tutti».

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