LA PANDEMIA E LE (INEGUALI) CONSEGUENZE PER LA POPOLAZIONE

Le disuguaglianze economiche si traducono anche in disuguaglianza di salute. Il confronto con Marco Franzini nel quarto incontro di Futuro Prossimo

Covid 19, crisi da pandemia e impatto sulla popolazione. Questi i temi al centro del quarto incontro per il ciclo Futuro Prossimo, in dialogo con Maurizio Franzini. Un incontro dal titolo evocativo: Le ineguali conseguenze della pandemia (per approfondire è possibile scaricare l’ebook qui).
Futuro prossimo – lo ricordiamo – è il ciclo che il Centro studi, ricerca e documentazione sul Volontariato e il Terzo Settore del CSV Lazio ha avviato a giugno scorso, proseguendo e rilanciando il percorso degli incontri Futuro Prossimo che hanno sostenuto la programmazione 2019-2020. L’obiettivo è coinvolgere le associazioni e i volontari nel confronto con studiosi‚ ricercatori ed esperti sullo scenario aperto dagli impatti della pandemia del Covid-19‚ per accompagnare all’agire la riflessione e l’approfondimento. L’interrogativo a cui si tenta di dare risposta riguarda le modificazioni che l’impatto del Covid-19 ha introdotto e introduce sul tessuto dei rapporti sociali, i rischi maggiori, le sfide che l’azione volontaria si trova ad affrontare.

Il quarto incontro è stata l’occasione per approfondire con Maurizio Franzini proprio il tema delle conseguenze – ineguali – che la pandemia ha avuto e ha sulla popolazione. Senza dimenticare, tuttavia, come ha sottolineato Guido Memo (Centro studi, ricerca e documentazione sul Volontariato e il Terzo Settore del CSV Lazio), che «le ineguali conseguenze sulle popolazioni non sono un fenomeno nuovo, tanto da poter affermare che la storia dell’umanità derivi proprio da rilevanti disuguaglianze. Disuguaglianze che nel corso del secolo scorso – tra l’inizio del 900 e gli anni Settanta – sono andate attenuandosi, in alcuni casi anche in maniera decisa, in ottemperanza al dettato della nostra Carta Costituzionale, che prevede pari opportunità per tutti i cittadini. Un cammino non solo italiano, che ha accomunato il nostro a tutti i Paesi europei». Dopo gli anni Settanta, però, le disuguaglianze hanno iniziato a riprendere piede. L’andamento di questo processo, le sue cause e le sue conseguenze, il ruolo del Covid sono state al centro dell’approfondimento di Franzini, con particolare riferimento alle disuguaglianze di reddito.

Disuguaglianze: siamo un paese anglosassone

«Nel nostro Paese», ha spiegato Franzini, «tra la metà degli anni Ottanta e i primi Novanta, le disuguaglianze sono aumentate sensibilmente, per poi restare sostanzialmente costanti negli anni successivi, fino ai nostri giorni». Dai dati sull’andamento delle disuguaglianze nei redditi imponibili di Danimarca, Svezia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti, emerge come «i Paesi con dati di disuguaglianza più alti rispetto a quelli italiani sono Gran Bretagna e Stati Uniti. Tuttavia, se anche aggiungessimo altri Paesi avanzati, troveremmo comunque che l’Italia ha un indice di disuguaglianza da redditi disponibili molto elevato. Da questo punto di vista siamo quindi più un Paese anglosassone – con disuguaglianze elevate – che non un Paese europeo, continentale o nordico, dove sappiamo che le disuguaglianze sono più contenute».
Fermando l’analisi ai redditi di mercato – quei redditi cioè, come ha spiegato Franzini, che non includono i trasferimenti che vengono dallo Stato, come i sussidi di disoccupazione e le pensioni, ovvero quelli che non includono con segno negativo i pagamenti delle imposte dirette – si evidenzia nel nostro Paese un enorme aumento della disuguaglianza dalla fine degli anni Ottanta. «Un aumento che ci porta ad essere il Paese più diseguale, anche rispetto ai Paesi anglosassoni. Sebbene la disuguaglianza in termini di reddito di mercato sia aumentata anche in tutti gli altri Paesi, il nostro è un aumento impressionante. La marcata differenza tra l’aumento vertiginoso del reddito di mercato e l’aumento meno marcato del reddito disponibile è dovuta alla redistribuzione che lo Stato fa attraverso le imposte e i trasferimenti. Inoltre, la redistribuzione derivante dai servizi in-kind (come l’educazione o la salute) incide notevolmente sulla riduzione della disuguaglianza, con effetti crescenti».
Il contenimento delle disuguaglianze prodotte dai redditi di mercato è legato strettamente, ha sottolineato Franzini, alle pensioni, senza le quali la disuguaglianza sarebbe più alta in tutti i Paesi: «siamo di fronte a sistemi – in Italia in particolare – che producono molta disuguaglianza nei mercati, ma che la attenuano largamente con le pensioni, che finiscono soprattutto nei redditi delle famiglie posizionate nella parte bassa della distribuzione».

A spiegare, per Franzini, il peggioramento delle disuguaglianze nei redditi di mercato, concorrono, da un lato, il trasferimento di reddito complessivo dal lavoro al capitale; dall’altro l’aumento delle disuguaglianze nel mondo del lavoro. Fenomeni prima inesistenti sono oggi rilevanti: i working poor, il cui reddito, se confrontato con il reddito da lavoro mediano, non raggiunge il 60%; o i working rich, che hanno una retribuzione lorda annua cinque-dieci volte il valore medio.
Per Franzini un tema connesso e rilevante è rappresentato dalle barriere in ingresso nei mercati, che la pandemia e la crisi che ne è derivata non potrà fare altro che evidenziare: «in determinati mercati, i blocchi in ingresso si traducono in potere crescente per chi sui mercati è già presente. Basta pensare ad Amazon e a Google, a quali possono essere le difficoltà a sfidare giganti di questo tipo. Le piccole imprese, da sole, non possono reggere il confronto».

Trasmissione intergenerazionale

Le origini familiari, ha sottolineato Franzini, hanno nel nostro Paese un peso rilevante: la trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza non riguarda solo il vantaggio proveniente dal reddito da capitale e da patrimonio, ma anche i redditi da lavoro. «Coloro che hanno redditi da lavoro più elevati sono, per la maggioranza, persone che provengono da famiglie con redditi elevati».
La disuguaglianza è, quindi, ereditaria: «i figli dei ricchi hanno un reddito più alto perché sono mediamente più istruiti – si pensi alla difficoltà della didattica a distanza per le famiglie più povere durante la pandemia – e hanno quindi una maggiore capacità di accesso alle retribuzioni più elevate e ci sono elementi come le relazioni sociali che giocano un ruolo fondamentale nell’accesso a determinati lavori a parità d’istruzione. La disuguaglianza è un problema non solo perché è alta, ma perché è inaccettabile per le modalità con cui si determina e per le conseguenze che ha per il complessivo funzionamento del sistema istituzionale e per la democrazia».

Terzo settore: un ruolo possibile e fondamentale

Nell’affrontare temi che la pandemia ha contribuito ad evidenziare, ma che sono anche strutturali, nell’affrontare le disuguaglianze per Franzini le reti di cittadinanza, il Terzo Settore hanno un ruolo decisivo. «Il Terzo Settore, lavorando a contatto con i territori può agire contro le difficoltà cercando soluzioni e reinvestendo il capitale umano. Per esempio, si può andare a vedere quale tipo di lavoratori sono stati più danneggiati durante la pandemia e come possono essere reimpiegati. Si potrebbero individuare forme di lavoro adeguate per coloro che lo perdono e che consentano di erogare un reddito in cambio di un lavoro che ha un valore, per un periodo di tempo non per forza breve. Penso al mondo sociale della cultura e dello spettacolo: il Terzo Settore, ad esempio, potrebbe fare da tramite tra l’istituzione pubblica e l’attore disoccupato per realizzare un progetto da impiegare nelle scuole. Un esempio magari banale, che, tuttavia, spiega come il Terzo Settore, con le competenze che ha, con i suoi rapporti privilegiati con le istituzioni, può fare da tramite tra queste ultime e le persone in difficoltà economica anche a causa della pandemia; con competenze che possono essere utilizzate immediatamente e in modi anche diversi da quelli con cui venivano utilizzate in precedenza». Per Franzini il Terzo settore può influenzare la politica direttamente; «contribuire a cambiare idee parte di un patrimonio culturale stantio; inventare forme di utilizzo del capitale umano sprecato nell’immediato, con ricadute sociali anche positive. L’impresa produce beni e servizi e, per farlo in un modo socialmente responsabile, credo che il Terzo Settore possa essere imprenditore innovativo».

Maurizio Franzini è docente di Politica Economica e Economics of Institutions alla Sapienza, Università di Roma ed è lo studioso italiano che da più tempo e in maniera scientifica ci avvisa delle “inaccettabili disuguaglianze” formatesi in questi anni. È un autorevole economista che è rimasto fedele ai valori della nostra Costituzione, che già furono dei suoi maestri, tra i quali Federico Caffé, di cui è stato non solo collaboratore, ma di cui ora ricopre la cattedra che fu sua alla Sapienza, e Luciano Barca, che ha fondato l’associazione “Etica ed economia”, che ora Franzini dopo di lui presiede.

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