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Una campagna di Rimettere le Ali onlus e del Borgo Ragazzi Don Bosco rilancia il tema di come coinvolgere sostenitori e donatori

In un’Italia che quotidianamente si confronta con la crisi del lavoro, le nuove povertà e l’incessante di richiesta di servizi essenziali, le diverse realtà assistenziali che operano sul territorio si trovano spesso abbandonate a se stesse, con forti carenze finanziarie, tali da non poter fronteggiare queste emergenze. Una ricerca di recente pubblicazione a cura di Casa al Plurale, denuncia come il comune di Roma sia in debito con le Case famiglia che accolgono minori per una cifra di 800mila euro. Un minore accolto in una casa riceve meno di 70 euro al giorno quando ne servirebbero 189. Così si rischia di chiudere.

Davanti a questa mancanza di politiche sociali coese, associazioni, cooperative e organizzazioni creano sempre più nuovi canali, sensibilizzando l’opinione pubblica attraverso campagne di raccolta fondi necessarie a finanziare i loro progetti.
Come l’Associazione Rimettere le ali Onlus, che da 4 anni sostiene le strutture assistenziali del Borgo Ragazzi Don Bosco, situato nel quartiere prenestino a Roma. Oltre alla Casa famiglia e ai laboratori formativi, uno dei progetti sul quale la struttura investe molto è quello di “semiautonomia”, che permette ai ragazzi che hanno raggiunto la maggiore età – costretti quindi a lasciare la struttura – di essere ulteriormente accompagnati verso l’indipendenza lavorativa, abitativa ed economica.

Storie di ragazzi e di operatori

Nel 2014 l’associazione da lanciato la campagna “Insieme a te è un’altra storia”, per raccogliere fondi e sostenere i ragazzi seguiti dal Borgo. In un recente incontro sono stati presentati i risultati ottenuti l’anno scorso e sono state raccontante anche alcune storie di ragazzi e operatori, coinvolti nei diversi progetti. Un modo per avvicinare singoli cittadini e famiglie alla vita di ragazzi disagiati, che grazie al supporto di questa e altre strutture, riescono a riprendere in mano la loro vita.

È la storia di Florin, un ragazzo del campo rom di Lunghezza (periferia est di Roma), che dopo aver conseguito la licenza media decide di investire le proprie forze in una delle sue più grandi passioni, la ristorazione. Dopo aver partecipato al laboratorio di formazione lavorativa con un voto di 7/10 nell’esame di ristorazione, inizia il tirocinio presso la Mensa Solidale del V Municipio e pochi mesi dopo riesce ad ottenerne un secondo lavorando come aiuto cuoco in uno dei più noti ristoranti romani. Oggi Florin con coraggio vuole conquistarsi il suo primo contratto retribuito.

Pellegrinaggio universitari di Roma e del Lazio ad Assisi - 09.11.13Accanto alle storie di questi ragazzi e ragazze, ci sono anche le difficoltà e le scommesse di operatori che quotidianamente li seguono nei loro percorsi. Alessio, un educatore della Casa famiglia, ci dice: «Per un educatore come me pensare che, compiuti i 18 anni, il ragazzo o la ragazza debbano lasciare la casa è un problema. È un età in cui serve un supporto continuo, perchè l’esigenza non è solo quella di potersi pagare un affitto, ma soprattutto di avere qualcuno che ti accompagni. Ecco perché il progetto di semiautonomia è essenziale per molti di loro».

E poi c’è Mariella, operatrice e psicologa del Borgo, che segue da anni Margherita, mamma di due figli adolescenti abbandonata dal marito e in cerca di un lavoro. «Con lei – racconta Mariella – ho dovuto barcamenarmi tra il ruolo di operatrice e di amica, nel senso che ha prevalso il ruolo amicale; torno ad essere un operatore quando emerge un bisogno specifico (come ad esempio il bisogno di aiuto che ha manifestato la figlia). Margherita è felicissima di questo mio doppio ruolo, perché riconosce la necessità di essere guidata in alcune situazioni, smussata in altre».

Ripartire dalle storie

A dieci mesi dal lancio della campagna “Insieme a te è un’altra storia” i ragazzi seguiti (e che oggi continuano il loro percorso educativo) sono stati circa trenta, anche grazie al contributo di famiglie, oratori, gruppi e condomini “solidali” che insieme hanno voluto supportare i ragazzi sia dal punto di vista economico che relazionale. Tra i donatori ci sono anche Zeenat e Rahat due sorelle che, dopo essere state aiutate dal Borgo, oggi sono in prima linea per aiutare chi è meno fortunato di loro. Insomma, anche dove manca lo Stato, c’è una comunità che accoglie.

Realtà come il Borgo Ragazzi don Bosco, insieme alle tante altre che operano a Roma, nel Lazio e in Italia ci suggeriscono che per costruire autentiche reti solidali, dovremmo ripartire dalle storie, da queste storie.

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