WELFARE DI COMUNITÀ : PER COSTRUIRLO SERVE UNA SOCIETÀ CIVILE ATTIVA

È un modello che chiede protagonismo ai cittadini e cultura della condivisione, ma riesce a mettere al centro la persona. Un dibattito a Trento

di Isadora Casadonte

Cogliere il nesso tra mondo dell’economia e mondo del sociale non sempre risulta immediato. Eppure si tratta di una relazione profonda, intuibile se si tiene conto dell’origine sociale dell’economia. Non solo: il livello di coesione sociale di una città può trasformarsi in un valore aggiunto, in grado di orientare gli investimenti economici sul territorio e stimolare l’innovazione. A spiegarlo è stato Gino Mazzoli, vicepresidente della Fondazione Franco Demarchi, durante l’incontro “Tra sharing economy e welfare di comunità”, che si è tenuto il 3 giugno presso la sede della Fondazione, nell’ambito del Festival dell’economia di Trento.

Welfare di comunitàL’undicesima edizione del Festival trentino, dal titolo “I luoghi della crescita”, ha infatti sviluppato un programma ricco di appuntamenti, dedicati allo studio del territorio e all’economia dello spazio. Negli ultimi anni la geografia economica mondiale ha registrato una crescita concentrata in poche grandi città e l’obiettivo principale del Festival è proprio quello di indagarne le ragioni, provando ad individuare i fattori principali che influenzano la crescita economica dei luoghi. “Luoghi della crescita” saranno allora quelli in cui si registri un alto tasso di scolarizzazione, in cui vengano incoraggiate e sostenute la creatività e l’innovazione. Eppure, osservando il livello di sviluppo dei luoghi, risulta importante tenere in considerazione anche l’ampiezza e la natura delle reti di relazioni che li caratterizzano, nate dal contatto tra gli individui. È proprio nell’ambito di questa analisi, allora, che si colloca l’incontro organizzato dalla Fondazione Demarchi, al quale sono intervenuti Giovanni Fosti, ricercatore Cergas dell’Università Bocconi di Milano, Giovanni Teneggi, direttore di Confcooperative Reggio Emilia e Donatella Turri, direttrice della Caritas di Lucca, con la moderazione di Gino Mazzoli.

Il ruolo della società civile nel welfare di comunità

Come suggerisce il titolo dell’incontro, il welfare di comunità è stato uno dei temi principali affrontati durante il dibattito. Se con il termine “welfare” facciamo riferimento a quel sistema sociale che garantisce a tutti i cittadini la fruizione dei servizi ritenuti indispensabili (l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica, l’assistenza d’invalidità e di vecchiaia, ecc), 130024603--th-7cba4100-0218-4651-b864-87e9eee5f142quando si parla di “welfare di comunità” ci si riferisce invece ad un modello di politica sociale che, offrendo i servizi, garantisca un maggiore protagonismo della società civile. Questo modello di welfare, però, che concepisce i cittadini come una comunità attiva, fatica ad affermarsi nel nostro Paese. A questo proposito è intervenuto Giovanni Fosti, che ha descritto il nostro come un welfare di natura “prestazionale”, fondato cioè sul processo di ricezione delle esigenze manifestate dagli utenti, per fornire risposte sotto forma di servizi d’assistenza. Sistema, questo, che garantisce le prestazioni solamente a chi sia in grado di richiederle e vincola la capacità di erogazione dei servizi alla disponibilità economica. Non solo: così concepito, il nostro welfare tende a mantenere gli utenti in una condizione di isolamento. Ecco perché, secondo Fosti, sarebbe utile operare un’inversione di natura operativa e incoraggiare la così detta «personalizzazione dei servizi», che consentirebbe di coinvolgere il cittadino nel processo di produzione del servizio stesso, garantendo la sua partecipazione attiva. welfare di comunitàQuesto meccanismo permetterebbe di rispondere ai bisogni dell’utente in modo più completo, di determinare un abbattimento dei costi economici e di incoraggiare la nascita di nuovi legami sociali, attraverso la partecipazione attiva dei cittadini intesi come comunità. Eppure, come già accennato, il welfare di comunità oggi fatica ad affermarsi perché, nonostante i casi di collaborazione virtuosa tra mondo del volontariato e Amministrazioni comunali (solo per fare un esempio), spesso il settore pubblico preferisce svolgere autonomamente le proprie funzioni. Su questo aspetto si è soffermato Giovanni Teneggi, che ha sottolineato come la «funzione pubblica» debba individuare nel welfare di comunità un’opportunità preziosa, che possa nel tempo trasformarsi in una vera e propria modalità di governo, che ci consenta di parlare di «istituzione comunitaria».

Il valore della condivisione

La seconda parola chiave della conferenza è stata «condivisione». Condivisione che può attivarsi non solo tra il sistema welfare e le persone, ma anche tra gli individui stessi, che condividendo (appunto) lo stesso bisogno, possono mettere in comune le risorse per soddisfarlo. welfare di comunitàDa qui le potenzialità della sharing economy (l’ “economia della condivisione”), che per svilupparsi appieno necessita della rete web e della capacità di alimentare la fiducia degli utenti nel servizio, grazie alla costruzione di una buona reputazione digitaleA chiudere l’incontro è stata infine Donatella Turri, con il racconto dell’attività svolta dalla Caritas, in un’ottica di welfare di comunità, negli ultimi 3 anni a Lucca, dove nei diversi quartieri sono stati attivati tanti «cantieri sociali permanenti», fatti di iniziative promosse dal basso, in grado di riattivare le “sinapsi” dell’intero territorio. Turri ha quindi ribadito «la necessità di pensare il governo delle città in termini di welfare» e ha concluso il suo intervento lanciando una domanda provocatoria: il «soggetto pubblico» saprà ripensare il patto con la cittadinanza? Sarà in grado di rispondere alle esigenze di cittadini diventati più esigenti ma anche più disponibili a mettersi in gioco?

 

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