MAFIE. LA RESISTENZA ” A MANO DISARMATA” DEI GIORNALISTI

A mano disarmata è un’associazione di giornalisti uniti contro la criminalità organizzata. Butturini (Fnsi): «Il ruolo delle testate locali è fondamentale»

Inutile negarlo: non corre sempre buon sangue tra volontariato e informazione. Il primo lamenta scarsa copertura mediatica, la seconda risponde che una buona iniziativa non è per forza una notizia. Eppure entrambi concorrono al progresso della democrazia. Peccato però, perché quelle volte in cui questi due mondi s’incontrano, possono fare la differenza. Un esempio è l’associazione A mano disarmata, una onlus composta in larga parte da giornalisti uniti nella lotta alla criminalità organizzata. Attraverso la diffusione tra studenti e colleghi di materiali multimediali, i volontari portano avanti la battaglia del rispetto della legalità. Come tutte le associazioni, anche loro sono impegnati nel reperimento di fondi.
I loro progetti, infatti, hanno tutti un rilievo nazionale e necessitano di un significativo dispendio di risorse e di energie. Oltre alle attività sul territorio, A mano disarmata ha creato il Forum multimediale e internazionale dell’informazione contro le mafie. Un’idea che l’ha resa meritevole della medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica. Inoltre l’associazione ha presentato un documentario autoprodotto da distribuire nelle scuole e durante seminari formativi. Il tema di quest’anno sarà la storia di Cosa Nostra, dallo sbarco degli Alleati in Sicilia alla strage di Portella della Ginestra.

 

a mano disarmataL’INTERVISTA. Ne abbiamo parlato con il segretario di A mano disarmata Paolo Butturini, già segretario della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi). Appena lo abbiamo incontrato ci ha tolto subito un dubbio. L’associazione ha lo stesso identico nome del libro di Federica Angeli, la giornalista di Repubblica che dal 17 luglio 2013 vive sotto scorta a seguito delle minacce di morte ricevute per le sue inchieste contro la mafia romana. «Anagraficamente siamo nati prima noi», ha spiegato Butturini. «Tant’è vero che nei risvolti di copertina Federica gentilmente ci ringrazia per averle concesso di chiamare il libro con il nome dell’associazione. D’altronde lo scritto è in linea con tutto ciò in cui crediamo».

 

Cosa vi rende differenti dalle altre associazioni?
Sostanzialmente la composizione. Ancora non c’è un’associazione composta in maggioranza da giornalisti e che unisce il tema della legalità a quello dell’informazione. Poi abbiamo scelto di dedicarci alla realizzazione di materiali che rimangano nel tempo. Come il documentario, un genere a cavallo tra fiction e giornalismo.

 

Che rapporto c’è oggi tra informazione e criminalità organizzata?
Rispetto al passato le cose sono migliorate. Fino all’uccisione di giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino la società nel suo complesso aveva scarsa conoscenza e consapevolezza del fenomeno della criminalità organizzata. Di riflesso l’informazione o la sottovalutava o si trovava isolata nella denuncia. Dalla nascita del pool antimafia e di una nuova generazione di giornalisti le cose sono cambiate. Oggi non si può più parlare di connivenza. Anzi, il proliferare di giornalisti sotto scorta ci dice che le mafie hanno identificato l’informazione nel suo complesso come un nemico.

 

E quelli tra mafie e politica?
Falcone era progressista, Borsellino più conservatore. Entrambi rifiutarono rivendicazioni partitiche del loro operato. La lotta alla mafia è una lotta di civiltà e non può essere etichettata in termini partitici. Anche perché le mafie non hanno colore politico e guardano solo agli interessi economici. Vogliono ostacolare lo sviluppo nelle regioni che controllano, come Sicilia, Campania e parte della Puglia, per porsi come interlocutori politici.

 

Una figura controversa è quella di Roberto Saviano: una bandiera dell’antimafia schierata politicamente. Chi lotta contro Cosa nostra può prendere posizione politica?
Saviano è uno scrittore che ogni tanto si diletta a fare il giornalista. Ha assunto posizioni che nulla hanno a che fare con il tema dell’illegalità, ma questo rientra nelle sue libertà costituzionali. Una tutela che vale a destra, come a sinistra e al centro.

 

a mano disarmata
Federica Angeli, la giornalista italiana conosciuta per le sue inchieste sulla mafia romana. Vive sotto scorta dal 2013

Caso Spada: c’era bisogno della testata a Daniele Piervincenzi per capire che c’era la mafia a Ostia?
Potrei rispondere con un’altra domanda: c’era bisogno che Falcone e Borsellino fossero uccisi per capire che la mafia aveva tutto quel potere? Purtroppo è una piaga tutta italiana quella della sottovalutazione dei fenomeni criminali. Sottovalutazione che a volte è voluta, a volte è frutto di negligenza o di superficialità, ma in altre è frutto di collusione. Sono d’accordo con Brecht: «Felice il Paese che non ha bisogno di eroi». Purtroppo non parla di noi.

 

Nella lotta alla mafia che ruolo giocano i giornali locali?
Sono fondamentali. Un esempio è L’Ora di Palermo, che ebbe ben due giornalisti uccisi dalla mafia. La prima cosa che fanno le mafie è affermarsi attraverso il controllo del territorio. L’informazione locale è quella che ha più il polso degli eventi, che conosce i personaggi che si muovono sul territorio: ha un’importanza fondamentale.

 

E qui torniamo all’inizio. A mano disarmata si rivolge a studenti e giornalisti. Sappiamo cosa volete fare voi, ma cosa vi aspettate da loro?
Ci aspettiamo che rispondano contribuendo a instaurare un rapporto dialettico con noi. Non facciamo un lavoro esclusivamente didattico, o almeno non unidirezionale. Cerchiamo di mantenere i rapporti con gli insegnanti e gli studenti interessati. Vorremmo che ci diano una mano a proseguire nel nostro lavoro. Fino adesso anche gli istituti della categoria, Fnsi e Ordine dei giornalisti su tutti, hanno sempre accolto le nostre proposte con molta attenzione e molta serietà.

 

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org

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