FRATELLANZA E AMICIZIA SOCIALE POSSONO CAMBIARE IL MONDO

L'enciclica "Fratelli tutti" propone un percorso culturale che interpella chiunque lavori nel sociale. Ecco alcuni punti

L’enciclica sociale “Fratelli tutti”, che il Papa ha firmato il 4 ottobre ad Assisi (ed è la prima volta che un’ecliclica viene firmata fuori dalle mura del Vaticano) è un testo denso e articolato, nel quale Francesco ha ripreso molti suoi interventi sul tema della fratellanza, cruciale nei suoi anni di pontificato, e soprattutto il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” (qui il testo completo) che aveva firmato ad Abu Dhabi con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. A pochi giorni dalla pubblicazione, “Fratelli tutti” ha già suscitato discussioni e polemiche, spesso superficiali come quelle di chi ha dato del comunista al papa o lo ha accusato di sostenere ideologie “antieconomiche”.

L’enciclica, dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale, propone «una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» (1). La fraternità è la dimensione utile e anzi necessaria «per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici» (174), superando le «ombre di un mondo chiuso». Chiuso è, infatti, il mondo cui viviamo: «la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (12). Si fanno strada nuove forme di colonizzazione culturale, di disuguaglianze e povertà, di sfruttamento dei lavoratori, di schiavitù, mentre la “cultura dello scarto” porta ad emarginare sempre più persone che non in grado di sostenere la competitività imposta da una società egoista. E su tutto, l’insorgere di conflitti sempre nuovi, che si configurano come una «terza guerra mondiale a pezzi».

In un contesto cupo, “Fratelli Tutti” vuole offrire una prospettiva di speranza, proponendo come modello la parabola del Buon Samaritano: un testo che «ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale» (66). È l’amore per l’altro, che non si esaurisce in una serie di azioni benefiche, ma diventa appunto amicizia sociale, cioè una relazione, anzi «un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita» (94). Un amore che esprime nell’opzione per i poveri, che  «deve portarci all’amicizia con i poveri» (234).

Il testo meriterebbe un’analisi più attenta e di essere riletta con calma e assimilata. Ci limiteremo qui a proporre una specie di piccolo vocabolario, su alcuni temi che riguardano più da vicino il lavoro sociale.

La solidarietà

«Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia» (116).

L’accoglienza

Oggi i migranti suscitano paura e reazioni di rifiuto. «Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani. È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede: l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore o della religione, e la legge suprema dell’amore fraterno» (39).

«Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare» (129).

«Per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di “cittadinanza”» (131).

«L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono, perché “quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti”» (133).

La proprietà privata

«Faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata forse compresa: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”. In questa linea ricordo che “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”, è un diritto naturale, originario e prioritario… Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società» (120).

La politica

«Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che “la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”» (178)

Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che “è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”» (180)

«Questa carità, cuore dello spirito della politica, è sempre un amore preferenziale per gli ultimi, che sta dietro ogni azione compiuta in loro favore» (187)

«Mentre vediamo che ogni genere di intolleranza fondamentalista danneggia le relazioni tra persone, gruppi e popoli, impegniamoci a vivere e insegnare il valore del rispetto, l’amore capace di accogliere ogni differenza, la priorità della dignità di ogni essere umano rispetto a qualunque sua idea, sentimento, prassi e persino ai suoi peccati. Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché risuonino le diverse voci» (191).

Populismi e liberalismi

«Il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti» (155).

«La pretesa di porre il populismo come chiave di lettura della realtà sociale contiene un altro punto debole: il fatto che ignora la legittimità della nozione di popolo. Il tentativo di far sparire dal linguaggio tale categoria potrebbe portare a eliminare la parola stessa “democrazia” (“governo del popolo”). Ciò nonostante, per affermare che la società è più della mera somma degli individui, è necessario il termine “popolo”» (157).

«La categoria di popolo, a cui è intrinseca una valutazione positiva dei legami comunitari e culturali, è abitualmente rifiutata dalle visioni liberali individualistiche, in cui la società è considerata una mera somma di interessi che coesistono» (163)

I movimenti popolari

«In certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche, sembra che non trovino posto, per esempio, i movimenti popolari che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti… Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali “che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune”… Essi sono “seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia”. In questo senso sono “poeti sociali”, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano. Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare “quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli”» (169).

Lo Stato

«”La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio”. Parole come libertà, democrazia o fraternità si svuotano di senso» (110).

«Investire a favore delle persone fragili può non essere redditizio, può comportare minore efficienza. Esige uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici, perché veramente si orientano prima di tutto alle persone e al bene comune» (82).

I rapporti internazionali

«Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese. Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo, benché possa adempiere questa responsabilità in diversi modi: accogliendolo generosamente quando ne abbia un bisogno inderogabile, promuovendolo nella sua stessa terra, non usufruendo né svuotando di risorse naturali Paesi interi favorendo sistemi corrotti che impediscono lo sviluppo degno dei popoli». (125)

In questo quadro va affrontato anche il problema del debito estero. «Il pagamento del debito in molti casi non solo non favorisce lo sviluppo, bensì lo limita e lo condiziona fortemente. Benché si mantenga il principio che ogni debito legittimamente contratto dev’essere saldato, il modo di adempiere questo dovere, che molti Paesi poveri hanno nei confronti dei Paesi ricchi,  non deve portare a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita» (126).

Nella prospettiva dello sviluppo, come in quella della pace, «è necessaria una riforma “sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni”» (173)

La pace

«Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!» (258).

«La pace e la stabilità internazionali non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere. […] In tale contesto, l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario» (262).

«C’è un altro modo di eliminare l’altro, non destinato ai Paesi, ma alle persone. È la pena di morte. San Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera chiara e ferma che essa è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale. Non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione. Oggi affermiamo con chiarezza che “la pena di morte è inammissibile” e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo» (263).

«Molte volte c’è un grande bisogno di negoziare e così sviluppare percorsi concreti per la pace. Tuttavia, i processi effettivi di una pace duratura sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiana. Le grandi trasformazioni non si costruiscono alla scrivania o nello studio… C’è una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti» (231).

«Come hanno insegnato i Vescovi del Sudafrica, la vera riconciliazione si raggiunge in maniera proattiva, “formando una nuova società basata sul servizio agli altri, più che sul desiderio di dominare; una società basata sul condividere con altri ciò che si possiede, più che sulla lotta egoistica di ciascuno per la maggior ricchezza possibile; una società in cui il valore di stare insieme come esseri umani è senz’altro più importante di qualsiasi gruppo minore, sia esso la famiglia, la nazione, l’etnia o la cultura”» (229).

Il dialogo

Lo strumento per costruire fratellanza e amicizia sociale è il dialogo: «La mancanza di dialogo comporta che nessuno, nei singoli settori, si preoccupa del bene comune, bensì di ottenere i vantaggi che il potere procura, o, nel migliore dei casi, di imporre il proprio modo di pensare» (202).

«L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi» (203).

Un vero dialogo deve prestare attenzione alla verità. «Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati»(208).

Le religioni e il ruolo della Chiesa

«Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» 271.

«Per queste ragioni, benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. Al contrario, «non può e non deve neanche restare ai margini» nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di “risvegliare le forze spirituali” che possano fecondare tutta la vita sociale. È vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza, che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa “ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione”, ma che si adopera per la “promozione dell’uomo e della fraternità universale”» (276).

La gentilezza

«È ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità» (222).

«Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti». (224).

Leggi anche: “Edgar Morin: il futuro è nella fraternità”.

 

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