LA DEDIZIONE, LO STRESS, LE REGOLE. VIAGGIO NEL “MAGAZZINO COVID”

C'è un luogo a Roma in cui i volontari di protezione civile hanno gestito, fino ad ora, 12 milioni e mezzo di mascherine e altro. Insieme, senza paura

C’è un posto a Roma, sull’Ardeatina, che da due mesi funziona come funzionano i nostri polmoni: immette, trasforma e rilascia. Ciò che immette ed emette, è qualcosa divenuto indispensabile per milioni di persone, in pochissimo tempo: i dispositivi di protezione individuale (DPI), e non solo. Guanti, camici, sovrascarpe, tamponi, attrezzature endotracheali, respiratori, gel disinfettante e, loro, le mascherine; l’oggetto più simbolico di questa emergenza. Di tutti i tipi. Superfluo farne l’elenco, tanto abbiamo imparato a familiarizzare con questi presìdi, solo fino a poche settimane fa riservati agli addetti ai lavori della sanità.

magazzino covidIl “magazzino Covid”

È tutto qui. Tutto l’approvvigionamento predisposto dalla Regione Lazio, destinato ad ospedali, RSA, comuni, operatori dei servizi pubblici ed Enti del terzo settore attivi.
Tutto stoccato in questo unico luogo. Un immenso capannone, a ridosso del GRA, messo a disposizione dall’Associazione nazionale dei Vigili del Fuoco in congedo (), trasformato, in pochi giorni, nel cosiddetto “magazzino Covid”, dalla protezione civile.

Un luogo nevralgico, dal carico prezioso, tanto da dover richiedere il presidio di una camionetta dell’esercito con due uomini, a guardia permanente, 24h su 24.
Ma non sono loro i custodi del magazzino. Lo si capisce passando attraverso il controllo, all’entrata. A dare il via libera sono gli uomini chiusi e indaffarati all’interno dell’hangar: i volontari dell’associazione ANVVFC e i funzionari dell’agenzia di protezione civile.

 

Una trentina di persone che si alternano, nel “magazzino Covid”, da ormai due mesi, tutto il giorno, tutti i giorni per raccogliere il materiale, stoccarlo, catalogarlo, contare e suddividere i pezzi sfusi negli scatoloni (come le mascherine), raccoglierli in nuove scatole e mettere queste nelle mani di altri volontari, perché le portino, a loro volta, a destinazione, in tutte le province del territorio regionale.

Trenta volontari, tra uomini e donne, giovani e meno giovani, che rappresentano una cerchia relativamente ristretta, pensata per non aumentare il rischio di un eventuale contagio, in un luogo tanto strategico.

Chi ci lavora

In realtà, giornalmente accedono all’area esterna del capannone almeno altri 80 volontari, con decine di mezzi provenienti da tutto il Lazio per ritirare e immediatamente ripartire per le consegne. Ad indicare la rotta, un indirizzario stampato, a disposizione di Cristiano Bartolomei, funzionario dell’Agenzia di protezione civile, che verifica l’operazione al momento della consegna che dà il via all’altra parte della catena umana; umana in tutti i sensi.

 

Marzia Toti nel “magazzino Covid”

Goffredo Cento, volontario dell’Associazione Alfa spiega il meccanismo nei minimi dettagli: tutti i giorni i volontari incaricati ricevono il messaggio con cui li si convoca per il ritiro del materiale. L’Alfa Lazio consegna prevalentemente presso l’ospedale di Frosinone, ma all’occorrenza arriva a Latina, per consegnare al S. Maria Goretti. Oggi, non ce ne sarà bisogno, c’è l’associazione R2, la protezione civile degli chef, a prendere in consegna il carico destinato all’ospedale di Latina. Nel caso degli ospedali, i materiali vengono consegnati alle farmacie, ma nessuno di questi dispositivi è destinato alla vendita; tutto è subito finalizzato all’uso, senza intermediazioni, se non quelle dell’ultimo controllo prima dell’invio ai reparti.

Dall’inizio dell’emergenza sono entrati e usciti dal magazzino 12 milioni e mezzo di dispositivi di protezione individuale; 4 milioni e 200 mila nel mese di marzo, 8 milioni e mezzo, nel mese di aprile per una media di 310.000 dispositivi al giorno. Numeri che bastano a fotografare la mole di lavoro, di cui rende conto, col sorriso negli occhi, Marzia Toti, la referente responsabile del lavoro svolto dai volontari dell’associazione ANVVFC.
Marzia ha il volto luminoso, nonostante la cassa integrazione arrivata con l’emergenza, che, come tanti, la mette di fronte all’incognita del dopo. Ma ora è impegnata in qualcosa di più grande; non ha tempo di preoccuparsi di cosa sarà del suo lavoro. Ora, la sua preoccupazione, e degli altri, è far arrivare i dispositivi agli Enti che ne hanno bisogno. Volontaria di protezione civile da almeno 15 anni, ne ha viste già molte, ma al rischio biologico non erano preparati.

Lo stress, la dedizione, le regole

«Nessuno era davvero preparato ad una pandemia», conferma Piero Balistreri, presidente dell’associazione Nazionale Vigili del Fuoco in congedo, distaccamento Divino Amore, e coordinatore regionale del Lazio, della stessa. È lui che ha messo il capannone a disposizione dell’associazione, per le esercitazioni, già prima dell’emergenza.

 

magazzino covid
Piero Balistreri e Marzia Toti

Nessuno era pronto, ma i volontari di protezione civile hanno una caratteristica che li rende capaci a rispondere adeguatamente anche a situazioni sconosciute: sono preparati a gestire lo stress.

E chi è qui dentro ha accettato non solo di affrontare la fatica fisica, ma anche l’idea di non restarsene al riparo della propria abitazione. «All’inizio un po’ di paura c’era ma, oramai, a distanza di due mesi, ci si è fatta l’abitudine», dice Piero, che in tutto questo è diventato per la prima volta nonno solo dieci giorni fa.

 

Manuela Caruso

In ogni ritaglio di tempo, comunque, si ribadiscono tutte le norme e le procedure di sicurezza. Regole che non riguardano solo questo spazio, ma anche quando si torna a casa. Manuela Caruso spiega con quanta accortezza lasci tutti i suoi vestiti fuori dall’abitazione dove vive con la figlia, 10 anni, e i genitori, ottantenni. Manuela è già volontaria alla Caritas, ma da dopo Pasqua ha iniziato, qui, come volontaria della protezione civile. Si guarda, intorno, e con un certo stupore si complimenta con coloro che ha conosciuto al “magazzino Covid”, per l’incredibile motivazione che ha trovato in ciascuno: «ci sono persone che non solo stanno qui tutto il giorno, ma arrivano a fare le 2 o le 3 di notte, per poi tornare, il giorno dopo, la mattina presto».

«Incredibile quanta gente sia desiderosa di fare volontariato», aggiunge, come se lei, una donna separata con una figlia ed un lavoro precario, non fosse parte di questa meraviglia.

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