Misericordia. Se il cattolicesimo sociale riprende voce

Promosso fra gli altri dal Gruppo Abele, Caritas e Il Regno, un convegno traccia gli scenari su cui i cattolici devono interrogarsi. Aspettando Firenze

Sulla scia del giubileo indetto da papa Francesco forse non poteva essere che «misericordia» la parola più ripetuta all’incontro dal titolo “Il Servo del Signore e l’umanità degli uomini”,  promosso lo scorso week end a Roma – per contribuire al V convegno della Chiesa italiana che si terrà a Firenze in novembre – da alcune delle più significative realtà cattoliche o di ispirazione cattolica italiane: dal Gruppo Abele alla Caritas Italiana, dal Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza al Movimento dei Focolari, dalle Reti della Carità alla rivista Il Regno.

Messa idealmente al centro del suo dire dal segretario della Conferenza Episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino («Firenze comincia da qui»). Recitata come un’omelia («Consideratemi un parroco») dal cardinale Roger Etchegaray («Vorrei che ripeteste dopo di  me: “Signore, Signore, Dio della tenerezza e di misericordia, lento all’ira ma ricco di misericordia e di fedeltà”»). Richiamata nelle conclusioni dal fondatore del Gruppo Abele don Luigi Ciotti («Non si può dimenticare che l’unità di misura dei rapporti umani è la relazione. Abbiamo bisogno di misericordia»).

Listener[4]Ma sulla due giorni che porta a Firenze parecchio materiale su cui riflettere spira davvero l’alito della misericordia intesa come mission dei tanti cattolici che praticano la solidarietà, la condivisione, il servizio agli altri, da soli o in associazione. Un respiro evangelico che attinge al clima instaurato da Bergoglio e lascia nell’ombra – volutamente, data l’articolata sensibilità a questi temi all’interno del mondo cattolico –  i “valori non negoziabili” agitati con forza a suo tempo da Ruini e da un ruinismo combattente che su bioetica, fecondazione assistita, fine vita e famiglia non esitò a lottare senza esclusione di colpi una società ritenuta ormai in preda a un eccessiva deriva laicista.


Solidarietà, condivisione, servizio: gli altri valori non negoziabili

Sembra un secolo fa, è appena l’altro ieri. All’auditorium della Conciliazione ne fa un generico accenno don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano. Ma qui hanno spazio e ragionamento gli altri “valori non negoziabili” della Chiesa e della pratica cristiana – e del resto uno degli ospiti d’onore è il «cattolico adulto» già presidente dell’Ue e due volte premier Romano Prodi. E quando si parla di povertà o redistribuzione del reddito, non manca anche qualche osservazione – per quanto indiretta e molto garbata – ad alcune delle policy renziste che, come gli 80 euro, fanno moneta,  ma non aiutano a rimettere in piedi il sistema delle politiche sociali colpito al cuore dalla progressiva perdita di risorse e dal contraccolpo di immagine della vicenda Buzzi-Mafia Capitale che rischia di travolgere anche chi ha sempre fatto bene. Ragiona a questo proposito, e proprio in punta di scelte politiche – cioè sulle priorità e sul modo di affrontarle – l’ex ministro del lavoro del governo Monti e già presidente dell’Istat Enrico Giovannini: «Ai tempi mi servivano 7 miliardi e mezzo per intervenire in  modo strutturale sulla povertà, ottenni 40 milioni. In seguito quella cifra è stata usata per gli 80 euro, che è una misura monetaria». Ma la bussola, però, rimane una sola: «Mettere in piedi un sistema che abbia al centro la persona».

I limiti della cybertecnologia

Quella all’Auditorium della Conciliazione è una riflessione che si dipana su linee e scenari complessi con protagonisti di primo piano del dibattito politico, filosofico, culturale e teologico di questa fase. Interrogativi come quelli sulla condizione e il riconoscimento della dignità umana tracciati dal filosofo Salvatore Natoli, dal teologo Kurt Appel, dalla teologa (che si definisce femminista) Serena Noceti. O come quelli rilanciati dal teologo morale Paolo Benanti sui limiti di applicazione delle neuroscienze e della cybertecnologia sulla scia del “non tutto quello che si può fare si deve perciò stesso fare”. Esempio? È in via di sperimentazione un farmaco che permette di ricordare sempre tutto : «Una svolta per gli studenti», nota Benanti, «ma come la mettiamo con i traumi, le aggressioni, le violenze che possono accadere nella vita di una persona, che sarebbe costretta a non dimenticare?».

E dopo l’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo («Il tentativo si superare il bicameralismo paritario è giusto, ma occorre fare attenzione alla marginalità dei poteri che rimangono al Senato») e il costituzionalista Emanuele Rossi, spetta a Ilvo Diamanti e Romano Prodi mettere a fuoco gli scenari di politica interna e di politica internazionale su cui va orientata la riflessione anche del mondo cattolico che, nota l’ex premier, «mantiene uno spazio in cui agire, anche se forse oggi non più così grande».

La democrazia senza mediazioni

Diamanti spiega come il tempo della democrazia rappresentativa che faceva perno sui corpi intermedi – dai sindacati alle associazioni passando per il volontariato – sia finito non più in nome della democrazia mediatica inaugurata da Berlusconi e durata fino all’altro ieri, ma in nome di quella  «immediata», di cui è alfiere Grillo e in varia misura anche Renzi, che salta ogni mediazione, ad esempio privilegiando alla tv i social network.  Fra le mediazioni che saltano, quelle appunto dei corpi intermedi, che sono oggi <impopolari». E snocciola dati: il grado di fiducia nei partiti è attorno al 3 per cento, nel parlamento all’ 8 per cento, il sindacato è sotto il 20 per cento e così le associazioni degli industriali. E’ «una democrazia che segue l’immediato: il futuro è ieri. Il tasso di personalizzazione è estremo e c’è anche una estremizzazione dei modelli di relazione: il 50 per cento degli italiani dice che non c’è bisogno dei partiti e il 38 per cento che la democrazia non è necessaria, il doppio di 10 anni fa».  «Viene privilegiato – aggiunge – il rapporto diretto fra cittadini e potere che passa anche e soprattutto attraverso i social network: la partecipazione sociale è in calo costante se non attraverso il web». Qui le manifestazioni di massa sono one shot, una specie di una tantum, e non rappresentano più la continuità fra l’organizzazione e i suoi militanti come in passato.

Le sfide: lavoro, diseguaglianze, migrazioni

Prodi tratteggia invece lo scenario internazionale: la storica leadership americana – che passa attraverso il dominio tecnologico ed energetico – rimane ma chiede oggi un esercizio condiviso nella gestione delle crisi mondiali; la Cina  ha smesso di crescere ai tassi degli anni scorsi ma continua a svilupparsi e consolidarsi così tanto da costituire una Banca interasiatica concorrente della Banca Mondiale; l’Onu si indebolisce nella paralisi reciproca delle “grandi potenze” a causa delle quali rimane nel pantano la questione libica dove i due governi, quello riconosciuto e quello non riconosciuto, rispondono ad “alleanze” diverse e se Stati Uniti, Russia e Cina trovassero un accordo su come muoversi sullo scacchiere libico una soluzione si potrebbe forse anche individuare. Ma nel gioco pesa, e non poco, la questione ucraina; l’Asia e l’Africa in crescita, con la zona subshariana rimasta ad alta natalità e a basso reddito (tradotto: presenti e futuri  flussi di migranti verso l’Ue); l’Europa, ancora indietro per deficit di politica e con il predominio tedesco che è determinante: «Anche Kohl mi diceva: “Romano devi fare i compiti a casa” ma mi lasciava il foglio e la penna, Merkel non lascia né la penna né il foglio», ironizza l’ex premier italiano. Che aggiunge: «La Germania è arrivata fin qui, ed è arrivata bene, grazie alle sue virtù, ma la leadership è un’altra cosa: dopo la seconda guerra mondiale gli Usa lanciarono il piano Marshall e rimisero in piedi il mondo».
E, a dispetto dell’avvia di ripresa, le sfide su cui interrogarsi sono ancora le diseguaglianze fra paesi e all’interno delle singole società, il lavoro («Attenzione ai dati – ammonisce Prodi – se si cresce dello zero virgola qualcosa non ci si può dimenticare che negli anni scorsi si è perso molto e a lungo. Affinché la crescita si traduca in effettivi posti di lavoro deve essere duratura, coinvolgere un ciclo» – Renzi  si sarà sentito fischiare le orecchie), le migrazioni «che non possono più essere eluse. A questo proposito l’Ue sta dando dei segnali positivi, ma ancora non vedo nulla di concreto». Fronteggiarle, però, è un imperativo.

@gozzip011

 

 

 

 

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