I MIGRANTI SGOMBERATI: SIAMO RIFUGIATI, NON TERRORISTI. ABBIAMO UNA DIGNITÀ

Roma. Continua la manifestazione pacifica a Piazza Indipendenza, dopo lo sgombero dei migranti, avvenuto senza che ci fosse una soluzione alternativa.

«Sono venuti questa mattina presto e hanno detto di andarcene, e ci hanno picchiato». È quello che ha raccontato a Redattore Sociale una ragazza eritrea sgomberata nei giorni scorsi dal palazzo occupato di via Curtatone, vicino a piazza Indipendenza a Roma. Le forze dell’ordine sono arrivate intorno alle 6 del mattino e hanno chiesto ai migranti che presidiavano piazza Indipendenza di andare via. Secondo le testimonianze, lo sgombero è avvenuto anche con l’uso della forza, sono stati usati anche degli idranti per allontanare le persone dalla piazza. I rifugiati mostrano i segni delle violenze.

NEI GIORNI SCORSI. «Siamo rifugiati, non terroristi». Recita così lo striscione affisso sulla facciata di un palazzo in via Curtatone, a Roma. Lo stabile, che si affaccia su piazza dell’Indipendenza (a pochi metri dalla stazione Termini), da 5 giorni è teatro di una protesta silenziosa e pacifica. Più di 800 persone, migranti provenienti soprattutto da Eritrea ed Etiopia, sono state cacciate da quella che consideravano la loro casa: un palazzo abbandonato, occupato nel 2013 e su cui, successivamente, nel 2015 il tribunale di Roma ha ordinato lo sgombero. Per due anni non è successo nulla, fino al 19 agosto 2017.

Dopo quattro giorni di presidio della piazza sottostante, il 23 agosto, alle 7 del mattino, centinaia di agenti si sono presentati in tenuta antisommossa, cacciando i migranti che dormivano in strada e tendando di far uscire le persone, che invece erano rientrate nello stabile.

 

sgomberodei migranti a Piazza indipendenza

 

LO SGOMBERO DEI MIGRANTI. «Ci sono tanti bambini qui e i poliziotti sembravano pronti ad una battaglia», ci racconta Biniam, eritreo che vive in Italia da 12 anni, «ci hanno puntato le armi contro, chiedendoci di lasciare il palazzo, dove ci sono tutt’ora una decina di donne incinte. I bambini li hanno lasciati dentro, non vogliono che i giornalisti e i fotografi li vedano in piazza». La notizia, non potendo accedere al palazzo (i poliziotti ce lo impediscono) non è verificabile.

Dopo l’arrivo della polizia molti se ne sono andati, chi ha potuto ha raggiunto amici o parenti in altri edifici occupati, altri ancora hanno trovato una sistemazione alternativa, ma la maggior parte di loro è rimasta lì, in strada, iniziando una resistenza passiva.

QUASI TUTTI RIFUGIATI. Oggi rivendicano molto più di una casa: chiedono soprattutto che sia rispettata la loro dignità di uomini e donne. Quasi tutti sono regolari e con il permesso di soggiorno. Hanno lo status di “rifugiati politici” e godono della protezione sussidiaria, rischiano cioè la vita o la persecuzione nel caso in cui tornassero nel loro Paese di origine. La legge dà loro il diritto di vivere sul territorio italiano, di essere accolti, rispettati e protetti, come previsto dalla convenzione di Ginevra del 1951.

Biniam ci racconta la sua storia: «Quando sono arrivato in Italia mi sono iscritto all’università, ho studiato ingegneria meccanica, ma per cercare un lavoro ho dovuto lasciare. La retta costava troppo: o mangiavo o studiavo».

 

sgombero dei migranti. Piazza Indipendenza, Roma

 

IL PROBLEMA DEL LAVORO. Il lavoro sembra essere il vero problema per tutti, con relative conseguenze per l’alloggio. «Se non hai una busta paga nessuno ti affitta casa. Qui siamo costretti a lavori saltuari, occasionali, perché amici o amici di amici cercano di aiutarci. Siamo emarginati», ci spiega Simon. In Eritrea insegnava geografia e business economic al liceo.

È in Italia dal 2008, anche se voleva andare a vivere in Inghilterra: «Qui siamo come prigionieri. Siamo stati identificati al nostro arrivo in Italia e non possiamo lasciare il Paese». Simon è partito dall’Eritrea e a piedi ha attraversato l’Etiopia, è arrivato in Sudan, poi ha fatto un lungo viaggio fino in Libia e da lì si è imbarcato per l’Italia.

LA CONVENZIONE DI DUBLINO. La legge europea che impone l’esame delle richieste d’asilo dei migranti nel primo Paese di sbarco (la Convenzione di Dublino) gli impedisce di essere considerato un rifugiato anche in altri Paesi Ue. L’Europa ha stabilito, per lui come per tantissime altre persone, che essendo sbarcato in Italia godrà solamente della protezione italiana. I migranti, infatti, vengono registrati con i loro dati e le loro impronte digitali in una banca dati, l’Eurodac, che consente in qualsiasi momento di risalire in quale stato membro sia avvenuto il loro ingresso. Tre mesi è il tempo massimo che gli è concesso fuori dall’Italia, pena l’espulsione.

«Lo Stato prende dei soldi per il nostro sostentamento, ma noi questi soldi non li vediamo e neanche li vogliamo. Noi chiediamo solamente quei diritti che il nostro Paese non può più garantirci », spiega Simon con rabbia e sconforto.

 

sgombero dei migranti. Piazza Indipendenza, Roma

 

LA SOLUZIONE CHE NON C’È. Subito dopo l’arrivo della polizia per lo sgombero dei migranti, è stata proposta ai manifestanti una soluzione per far finire la protesta: 60 di loro avrebbero potuto trasferirsi in un centro d’accoglienza, con la promessa di restare lì 3 o 4 mesi. In strada c’è un numero almeno 12 volte più grande di persone. «Non potevamo accettare», ha ammesso Simon. «Non si cerca la soluzione dopo aver messo per strada le persone.

Per queste persone dev’essere attivato un percorso di piena accoglienza» suggerisce invece Mussie Zerai, prete e attivista eritreo, presidente dell’agenzia Habeshia e candidato al premio Nobel per la Pace nel 2015 per il suo impegno in difesa dei diritti e della vita dei richiedenti asilo e dei migranti.

 

GOITOM E L’ERITREA. Anche Goitom, un altro manifestante contro lo sgombero dei migranti, se la cava come può. In Eritrea insegnava fisica e matematica all’università, ora prega Dio affinché possa tornare ad avere presto un letto dove dormire. Non ne può più del prato e dell’asfalto: «Parlo bene l’inglese e sto lavorando come interprete in un hotel in centro. Di giorno porto i turisti in giro per la città e gli racconto quanto è bella Roma e quanto è grandiosa l’Italia. Di notte vengo qui e dormo in strada con i miei fratelli».

Goitom ha studiato bene la storia: «I nostri nonni eritrei sono morti in guerra per l’Italia. Quando sono stato costretto a partire speravo che questo Stato non si fosse dimenticato di tutto questo». Nel suo volto, scavato dalla fatica e dall’età, c’è tutta la storia di un Paese che non trova pace.

Dopo tante guerre, dal 1993 l’Eritrea è in mano al dittatore Isaias Afewerki. Attualmente c’è il servizio militare obbligatorio per tutti gli uomini e le donne dai 17 anni in poi, a tempo indeterminato, e nessuno può avere un passaporto prima dei 60 anni. Si vive al di sotto della soglia di povertà e la corruzione è dilagante. Secondo l’Onu e Human right Watch, però, l’esodo degli eritrei è causato soprattutto dalla violazione dei diritti umani: esecuzioni sommarie senza processo, sparizioni, torture e coscrizione obbligatoria sono all’ordine del giorno.

 

sgombero dei migranti. Piazza Indipendenza, Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le foto di questo articolo sono di Giorgio Marota.

Lo sgombero dei migranti e dei rifugiati di Via Curtatone è seguito costantemente da Redattore Sociale.

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