VOLONTARI DI PROTEZIONE CIVILE: LA DISPONIBILITÀ DIETRO LA MASCHERINA

Intervista a Marco Lorentini del Cov: coniugare sicurezza e solidarietà non è facile, ma indispensabile per portare a termine i nostri compiti

«La scorsa settimana, alla sede dell’Associazione di Soccorso Giannino Caria, che è l’associazione di cui faccio parte da sempre, si è presentata una coppia non ancora quarantenne. Lui facchino, lei casalinga, due figli piccoli. In tempi pre Covid-19 vivevano con 800 euro al mese. Da quasi sessanta giorni sono senza reddito e hanno finito i pochi risparmi. Lui ci ha chiesto se era possibile avere un pacco spesa, lei ha sempre tenuto gli occhi bassi. Si vergognava. Noi ci siamo attivati, naturalmente. Oggi lui è tornato, per ringraziarci, e ci ha confessato, con grande imbarazzo, che quando sono venuti da noi non mangiavano da due giorni».

 

volontari di protezione civile
Marco Lorentini, presidente del Coordinamento delle Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile del Lazio

A parlare è Marco Lorentini, presidente del Coordinamento delle Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile del Lazio, che raggruppa 130 associazioni, in tutto circa 4.500 volontari – 2.200 nell’area metropolitana di Roma – sugli 11mila presenti in Lazio. «Ma penso anche alla telefonata della sorella di una signora, che faceva la cameriera in un ristorante oggi chiuso da quasi due mesi, e che non si sa se riaprirà. La cassa integrazione non sta arrivando. E allora ci ha chiesto una mano».
«Sono episodi che mi colpiscono molto perché», riflette Lorentini, «la pandemia sta producendo nuove fasce di povertà anche fra chi prima riusciva comunque a sbarcare il lunario, anche se faticando. E ora non è più nelle condizioni di farlo».

Per far fronte dunque a un’altra emergenza, quella delle nuove e vecchie povertà, da qualche tempo – e sarà così almeno nei prossimi due mesi – «oltre a effettuare supporto logistico al Servizio Sanitario Nazionale, collaboriamo, in linea con l’Agenzia Regionale di Protezione Civile della Regione Lazio e in collaborazione con i servizi sociali e con il Banco Alimentare, nella raccolta dei generi alimentari e nella distribuzione dei pacchi». La sola Associazione Giannino Caria ha “in carico” circa 130 famiglie, «ma tutte le altre associazioni del COV si trovano in una situazione simile». Mentre parla con Reti Solidali, Lorentini riceve una chiamata dal Banco Alimentare: è la segnalazione di un’altra famiglia in difficoltà: «Ormai fa parte del nostro quotidiano».

Presidente, lei è volontario di Protezione Civile da 38 anni. Dal terremoto dell’Irpinia, passando per la missione Arcobaleno per arrivare ai terremoti di Umbria e Marche e poi di Amatrice, ha vissuto in prima persona molte emergenze. Che cos’ha di nuovo e diverso, questa del Coronavirus?

«Noi siamo abituati ad avere di fronte un “nemico” visibile: macerie da spalare e sgombrare, campi da montare, dispersi o vittime da cercare e la nostra è una formazione permanente e continua rispetto a situazioni di questo tipo. Il Covid-19 è invece un nemico invisibile, pervasivo e subdolo, una cosa che ci ha portati a ritarare le nostre modalità di intervento. Sempre partendo dai principi fondamentali, però».

E cioè quali?
«Capire chi e cosa devi proteggere, quali sono le priorità nella situazione data e muoverti di conseguenza, nella massima flessibilità e in sicurezza».

Nella fase acuta dell’emergenza, quali sono state le priorità, quali sono state le vostre attività principali?
«Abbiamo sempre lavorato in stretta e proficua collaborazione con l’Agenzia Regionale di Protezione Civile, la quale, valutata la situazione, ha stabilito che dovevamo operare come supporto logistico del Servizio Sanitario Nazionale, la prima linea del fronte del combattimento con il Covid-19. Quindi abbiamo montato le tende pre-triage, abbiamo consegnato materiale sanitario e dispositivi di protezione individuale a ospedali, Covid Center, Asl. In alcuni casi siamo partiti la sera tardi per andare a caricare i tamponi e le mascherine, per riuscire a consegnarli alle strutture sanitarie la mattina successiva».

A questo proposito, quali sono le difficoltà principali che vi siete trovati di fronte, anche in relazione ai dispositivi individuali di protezione?
«Su questo piano, come del resto su ogni altra cosa, l’Agenzia Regionale di Protezione Civile non ci hai mai fatto mancare il suo supporto. Siamo sempre riusciti a organizzarci per proteggere noi stessi e gli altri. Come del resto dimostrano i pochissimi casi di contagiati fra i volontari in Lazio, almeno per quanto mi risulta. Ma la cosa forse meno immediata per noi è stata la questione delle distanze. Noi, che di norma lavoriamo magari con i caschi ma in contatto con le persone, abbiamo dovuto imparare a tenerle senza far mancare il nostro sostegno a chi aveva bisogno. In sostanza, a esserci in sicurezza per noi ma soprattutto per gli altri, anche in situazioni non così banali come potrebbero sembrare».

Ci fa un esempio?
«Se in una borgata porti il pacco spesa a una signora ultraottantenne, come è capitato, ti trovi di fronte a una persona che non è in grado di sollevare un peso importante, visto che parliamo di pacchi per un approvvigionamento di una decina di giorni. Quindi, nella massima sicurezza, soprattutto per chi assisti, lo porti tu in casa. Mantenendo con grande scrupolo le distanze regolamentari e, appunto, le disposizioni di sicurezza. Ma se non lo fai, non riesci a portare a termine il tuo compito, che è sostenere, supportare, dare una mano concreta. Esserci, appunto».

Ora siamo in una situazione diversa, anche se ancora non sicura, sul piano strettamente sanitario. Come state operando ora e come nella Fase 2?
«Va avanti e andrà avanti il supporto logistico alle strutture sanitarie. Ma, come accennavo, già da qualche tempo lavoriamo alla distribuzione dei pacchi spesa, della spesa sospesa, di generi di prima necessità in collaborazione con i servizi sociali, con l’Agenzia, con il Banco Alimentare.
La questione che vedo come pressante, e temo che lo diventerà sempre di più, è proprio la caduta verticale del reddito di molte famiglie, che in precedenza riuscivano a farcela e ora non più. Oltre ai poveri “tradizionali” si trova in condizioni di oggettiva difficoltà una intera fascia di persone e di nuclei».

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