+39: DI RAGAZZI, GANG E FAMIGLIA. E DI RAP

+39 è una nuova miniserie ideata da Francesco Conte, giornalista e fondatore di Termini Tv. Racconta di ragazzi di origine straniera che con il rap hanno imparato l’italiano, e di gang e di famiglia. Ribaltando stereotipi

Si fa presto a dire gang. Se ne parla molto, sui media, e a volte anche a sproposito. Quando si parla di musica rap, o di trap, spesso si cerca il sensazionalismo, e si lega chi fa quel tipo di musica alla criminalità. Francesco Conte, giornalista e creatore di Termini Tv, è andato a trovare un giovane rapper che fa parte di una gang, che ha raccontato che cosa significa per lui la gang. Si chiama Netek, è il suo vero nome, e viene da una canzone techno. Trovate l’intervista sulle pagine social di Termini Tv. Ed è davvero interessante, come l’intero progetto: una nuova mini serie che si chiama +39. Che potrebbe diventare poi una serie ancora più strutturata. «Mi piaceva l’idea di raccontare i ragazzi di origine straniera che imparano l’italiano tramite il rap» ci ha raccontato Francesco Conte. «La cosa che mi interessa è far vedere che questa è l’unica attività culturale internazionale contemporanea. Tutti i ragazzi, in tutti i posti, fanno lo stesso: dall’Etiopia alla Mongolia, dall’America all’Asia. Il rap è la musica più internazionale che ci sia in questo momento. Mi piaceva mostrare questa contemporaneità. E per questo servono dei ragazzi giovani. Sono tutti under 23 o Under 24».

Netek: quel nome che viene da un rave e l’Austria

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«Netek abita in una zona che si chiama “le case bianche”, vicino a Pineta Sacchetti. Sono posti un po’ dimenticati da dio, dove i ragazzi non hanno un posto dove andare, e le gang si formano così, in giro»

La serie di Francesco Conte ribalta molti degli stereotipi che tanti immaginano. Netek ha parlato anche di scuola, e di come ogni giorno si fa 3 ore di viaggio per andare a lavorare. «Ho visto i suoi video, mi sono chiesto chissà che tipo è» ci ha raccontato Francesco Conte. «Invece è un cucciolone, ha la cameretta, è un ragazzo molto carino. Con questo nome, che gli viene da un rave, e dal titolo di una canzone techno che gli aveva dato il padre, era abbastanza particolare». «La cosa interessante di questa storia è che è per metà austriaco» continua. «E la gang di cui parla è una gang nordica. È molto orientato verso il nord».

La gang: una famiglia, una banda, un gruppo musicale

Ma che cos’è allora la gang di cui parla Netek? «Ti aiuta avere una famiglia, una gang, una banda, un gruppo musicale» spiega Netek nell’intervista. «Se sei cresciuto, come tutti gli altri, con i problemi e non vuoi sbagliare più, ti aiuta». Insomma, è una famiglia, un gruppo di amici, che non ha niente a che fare con la criminalità. «Le gang sono quello che si chiamava negli anni Novanta la crew» commenta Conte. «La crew portava insieme varie discipline della cultura hip-hop: lo skate, i graffiti, l’mc. Nella gang non è che ognuno abbia il suo ruolo particolare. Magari c’è il videomaker. È ovvio che quando uno dice “baby gang” pensi ad altro. Ma lui intende la gang a livello americano, ad esempio con ragazzi che si vestono con i colori che si riconoscono».

Quei quartieri dimenticati da Dio

Netek racconta che nel suo quartiere c’era un’associazione, un centro ricreativo, un centro sociale che teneva i ragazzi lontano dalla strada. La municipale lo ha chiuso perché era abusivo. «Quando fanno qualcosa di bello per il popolo, per i bambini, ce lo rovinano» commenta nell’intervista. Raccontare questi ragazzi è anche raccontare il loro rapporto con i quartieri in cui vivono. «L’unica cosa che hanno in comune i ragazzi che ho intervistato è che sono radicati nel quartiere loro» ci spiega Conte. «Quando chiedo a loro cosa pensano di Termini, è come se parlassi loro di Terni.  Non ci vanno. Sono tutti casa e chiesa, o meglio casa e studio. Vanno in studio a fare i loro pezzi e poi stanno nel loro quartiere. Netek abita in una zona che si chiama “le case bianche”, nel quartiere Ipogeo degli Ottavi. Vicino a Pineta Sacchetti. Sono posti un po’ dimenticati da dio, dove i ragazzi non hanno un posto dove andare, e le gang si formano così, in giro». «La cosa che hanno in comune tutti questi quartieri è che sono posti residenziali e lontani, dove le case costano poco» continua. «C’è un ragazzo nato in Sierra Leone che sta all’Olgiata, è stato adottato da una famiglia ricca, e siamo andati a intervistarlo in un posto diverso dagli altri. Ma è sempre periferia. Sono tutti posti lontani dal centro dove hai bisogno o di lunghi viaggi sui mezzi o della macchina per raggiungere qualcosa. A me ha ricordato la mia adolescenza, nella periferia di Ancona, in mezzo al nulla».

La cultura del lavoro

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«C’è ragazzo che è stato bocciato sei volte, è andato a lavorare e si è messo a fare rap. E si è trovato a fare un concerto nel cortile della sua scuola: è stata una grande rivincita».

È molto importante il passaggio in cui Netek dice: «non siamo una baby gang che va in giro a rubare i soldi alla gente, ste cose non le facciamo. Il rispetto è la prima cosa in assoluto. Come faccio a rapinare le persone per strada quando faccio il rapper?». È un discorso molto onesto, e racconta che questi ragazzi hanno una cultura del lavoro. «A Roma ci sono state queste polemiche su uno che andava a rubare ed è finito sui media nazionali» spiega Conte. «Ed è così: se fai l’idiota la gente ti riconosce. Ma i ragazzi che ho intervistato sono tutte persone che lavorano. C’è ragazzo che è stato bocciato sei volte, è andato a lavorare e si è messo a fare rap. E si è trovato a fare un concerto nel cortile della sua scuola: è stata una grande rivincita. Un altro è un ragazzo brasiliano di 18 anni, mammone. È gente molto più seria e docile di quello che sembra nei video. Il ragazzo della Sierra Leone lavora in pizzeria e fa vari lavori, è il più serio di tutti. Nei video fanno gesti strani, aggressivi, perché fanno parte del gioco».  «Il fatto che ci sia una generazione di mezzo tra me e loro mi rende molto curioso» continua Conte. Ed è curioso anche il fatto che questi ragazzi siano molto critici verso la generazione successiva, quella più giovane di loro. «Se incontri uno del 2000 già si lamenta di uno del 2006» ci dice Conte sorridendo. «In qualche modo sono vecchi dentro».

 

 

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