ADHD LAZIO: SI PUÒ ESSERE EROI NELLE PICCOLE COSE

Eroi, il corto realizzato dall’associazione ADHD Lazio nell’ambito di S/Confini Festival del Cinema Adolescente, legato al progetto Tutti a Scuola, è stato presentato a La Città in Tasca, al Parco degli Scipioni

di Maurizio Ermisino

«Ognuno di noi ha un paio d’ali, ma solo chi sogna impara a volare». È la scritta che campeggia su un muro all’inizio di Eroi, il cortometraggio realizzato dall’associazione ADHD Lazio, nell’ambito di S/Confini Festival del Cinema Adolescente, legato al progetto Tutti a Scuola, che lo scorso agosto ha vinto al Ventotene Film Festival nella sezione Open Frontiers Young, dedicato ai cortometraggi interamente realizzati da studenti di tutta Italia.

La Città in Tasca, a Roma dal 2 all’11 settembre, al Parco degli Scipioni, è stata l’occasione per rivedere il corto, insieme a un ricco e interessante backstage della lavorazione, e per premiare i ragazzi che lo hanno realizzato, tutti visibilmente emozionati. E, soprattutto, per capire cosa è significato per loro potersi esprimere con questo film, e quanto conti, per dei ragazzi con fragilità come loro, l’espressione artistica.

 

Eroi è ambientato la mattina del 5 maggio 2020, alla fine del primo, faticoso lockdown, che ci ha chiusi tutti in casa. È stato faticoso per tutti, ma per gli adolescenti lo è stato ancora di più. Eroi allora racconta il risveglio di alcuni ragazzi quella mattina, la consapevolezza che la vita era cambiata, erano cambiate le abitudini e i comportamenti. Ma la parte più dura era finita. Si ricominciava. Si può essere eroi anche solo per un giorno, diceva quella canzone. Si può essere eroi anche con piccoli, semplici gesti, ci dicono. Così i nostri “eroi” si alzano, si vestono. Indossano una mascherina, che non è la maschera del supereroe, ma una FFP2. Si salutano battendosi il gomito. E affrontano il mondo. Le immagini passano dal bianco e nero al colore. La musica, da quell’arpeggio malinconico, diventa elettrica, rock. I ragazzi osservano le icone dei supereroi disegnate su un muro. E capiscono che ce la possono fare. Sono pronti a uscire. Ad affrontare il mondo. Schierati uno accanto all’altro, come i lavoratori del quadro di Pellizza da Volpedo. O, se volete, come gli Avengers.

Comunicare quello che avevamo passato

Ma com’è nato Eroi? «Volevamo dare risalto a un murales che c’era nel quartiere dove vivono i ragazzi», ci spiega Mirko Orsini, l’educatore che ha offerto agli autori e attori il supporto per girare il corto. «Ci siamo visti il giorno stesso in cui abbiamo girato: eravamo tutti d’accordo sulla necessità di comunicare quello che avevamo passato. Non era stato dato il giusto risalto mediatico a quello che hanno passato gli adolescenti, soprattutto quelli con delle fragilità. Siamo andati a braccio, non c’era una vera sceneggiatura». «La cosa più difficile è stata collegare il tutto, anche se molte scene sono venute bene al primo ciak, anche se magari le abbiamo rifatte lo stesso più volte» ci racconta Fabio Mazza, l’operatore del film. «Più andavamo avanti, più i ragazzi avevano voglia di fare». «Mirko ha chiesto di creare una musica» aggiunge Valerio Giovannesi, autore della colonna sonora. «Mi ha mandato il corto e mi ha emozionato, mi ha chiesto qualcosa che creasse un senso di sospensione, e ho cercato un accordo che avesse una sorta di malinconia. A un certo punto ho emesso un respiro. L’ho lasciato nella registrazione, perché funzionava».

Liberare invece di controllare

Per i ragazzi con l’ADHD, come i protagonisti di Eroi, è stato davvero importante poter girare un corto come questo, per poter esprimere quello che hanno dentro. «Io penso che i ragazzi abbiano un grande potenziale, soprattutto emotivo, espressivo» ci spiega Orsini. «Secondo me è importante per loro avere la possibilità di espressione. Sia per rappresentare la loro idea, la loro visione del mondo, soprattutto il loro mondo interiore. E poi per riuscire a canalizzare nel modo giusto la loro emozione in un contenitore artistico espressivo, che al suo interno ha delle regole, dei ruoli, dei tempi: le scene vanno sempre finite, a volte ripetute più volte. E un film ha una dimensione narrativa, riuscire a raccontare qualcosa in modo compiuto è qualcosa su cui hanno necessità di lavorare». Un’attività artistica può essere importante perché questi ragazzi hanno difficoltà nel gestire gli impulsi. «Ma se uno li mette in una dimensione emotiva libera, dove poter dare sfogo alla loro emozione, senza controllarla, lasciandola fluire, allora la loro forza emozionale esce in modo naturale e potente» ci spiega Orsini. «Uno dei ragazzi, che ha fatto un percorso teatrale, una volta ha detto: “per tutta la vita ti dicono di controllarti, qui invece devo liberare, fare una cosa che in vita mia non ho mai fatto”. La vera forza terapeutica dovrebbe essere finalizzata verso la libertà. È un paradosso, ma loro si devono sentire liberi. Il problema avviene quando loro contengono, perché poi dopo quello che esce lo fa in modo disfunzionale, distruttivo».

Meno ore di psicoterapia, più ore su un set

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Orsini: «Uno dei ragazzi, che ha fatto un percorso teatrale, una volta ha detto: “per tutta la vita ti dicono di controllarti, qui invece devo liberare, fare una cosa che in vita mia non ho mai fatto”».

Eroi ci ricorda che per i ragazzi con l’ADHD questi due anni di pandemia sono stati un colpo durissimo. «Se hanno impattato sul giovane medio, per loro è stata una bomba a orologeria» ci spiega Serena Pascucci, vicepresidente dell’associazione ADHD Lazio. «Il fatto di uscire con questo film è stata una cosa emozionante per loro. Durante la didattica a distanza hanno subito delle umiliazioni dietro la telecamera, e poi lo schermo fa sempre da filtro. E un ragazzo come loro deve controllare troppi elementi. Mentre stavolta la telecamera è stata amica». «Loro tendono a nascondersi, il cinema invece li invita a mettersi a nudo» interviene Mirko Orsini. “«Il nostro sogno è dare continuità a questa cosa. E riuscire a realizzarla, che ci sia un lavoro di scrittura, avere il tempo e le risorse per altri corti». «Ci vorrebbero delle ore in meno di psicoterapia e più ore su un set» conclude Serena Pascucci, sintetizzando quella che è una semplice, grande idea.

Il problema dell’invisibilità

Ma un film come Eroi è importante anche perché aiuta i ragazzi con l’ADHD e le loro famiglie a combattere quello che è tutt’altro che un superpotere: l’invisibilità. Quella del loro disturbo, i cui sintomi non sono immediatamente evidenti, riconoscibili, diagnosticati. E l’invisibilità della sindrome davanti all’opinione pubblica. «L’invisibilità di un sintomo, di una menomazione, un viso normale una dialettica corretta da parte di questi ragazzi fanno sì che coprano le loro difficoltà» ci spiega Cristina Lemme, presidente dell’associazione ADHD Lazio. «Quando si è fatta la giusta formazione, o si è parlato con la società, si notano di più le loro difficoltà. Le famiglie di questi ragazzi vivono le stesse mortificazioni che vivono i figli. I ragazzi le vivono nella loro società, la scuola: l’emarginazione, la denigrazione, il rifiuto. Le stesse situazioni le vivono le famiglie: dai nostri coetanei, le famiglie degli altri alunni, degli amichetti, dai vicini di casa. Noi stessi siamo rifiutati. E siamo attaccati, perché il nostro figlio si è comportato male, siamo noi che non sappiamo educarlo. E sempre pubblicamente: dal pediatra, nelle chat della classe noi veniamo continuamente mortificati. Sappiamo benissimo cosa provano i nostri figli perché anche noi lo proviamo». Spesso in classe viene vista la reazione dei ragazzi che tengono, tengono e poi scoppiano. Sono pochissimi i docenti che riescono a vedere cosa ha scatenato la reazione dei ragazzi. «La società non è pronta perché ha delle ristrettezze culturali» aggiunge la presidente. «Dobbiamo fare un lavoro di cultura, siamo familiari e professionisti che ci aiutano e anche loro hanno problemi di retaggio culturale. Ci sono dei professionisti più anziani che non hanno studiato questo tipo di disturbo e non lo riconoscono». «Vogliamo dimostrare che nel contesto giusto loro funzionano» aggiunge Orsini. «Si ragiona come se loro fossero condannati, sono cosi e basta. Ma se c’è il contesto educativo e scoiale giusto loro funzionano». «Abbiamo dimostrato che attraverso un film questi ragazzi possono far vedere che hanno qualcosa da dare al mondo» conclude Serena Pascucci. «Se la società veicolasse dei percorsi di questo tipo, volti alla loro inclusione reale, si eviterebbero molte dipendenze, devianze, detenzioni».

La Città in Tasca, il luogo ideale per raccontare questa storia

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Marcone: «È stata una festa per quei ragazzi, e noi eravamo strafelici di aver dato loro questo spazio». Immagine La città in tasca

La Città in Tasca è stata la manifestazione perfetta per raccontare la storia di Eroi e premiare i ragazzi per il loro lavoro. «All’interno del festival sviluppiamo varie partnership, e quando il CSV del Lazio e l’associazione ADHD ci hanno chiesto la possibilità di entrare in rete con la manifestazione abbiamo accettato subito» ci ha raccontato Beniamino Marcone, Direttore Artistico de La città in tasca insieme a Riccardo Sinibaldi. «Rientra nei nostri criteri dare spazi ad associazioni esterne, che propongano contenuti in linea con i nostri principi, condividere, oltre allo spazio, un modo di fare le cose. La prima fase di selezione è il rapporto umano, scegliamo le persone che credono in quello che fanno. È stata una festa per quei ragazzi, e noi eravamo strafelici di aver dato loro questo spazio». La Città in Tasca è una manifestazione storica, di quelle di cui oggi c’è bisogno più che mai. È nata 27 anni fa da un’idea di Anna Maria Berardi, che ha preso le pratiche educative di quegli anni e le ha messe in un’unica grande festa, fatta di laboratori e spettacoli bambini, tante cose diverse. Dopo 27 anni io sono arrivato alla mia tredicesima Città in Tasca. «Continuiamo a mantenere dei paletti importanti per noi, come la gratuità degli eventi, l’idea originale di festa per bambini e bambine e di una manifestazione non strutturata ma libera. Proponiamo cose molto diverse fra loro e di facile fruibilità per bambini. Non ci sono biglietti né iscrizioni, ognuno può venire per cinque minuti o tutti i pomeriggi. Tutti possono trovare la loro attività, e da noi è raro vedere o sentire lamentele. Ognuno può trovare il proprio spazio, che non viene imposto, o incanalato in un’unica possibilità. La festa non è con fini di lucro e ci sono sempre quattro o cinque proposte perché crediamo che ogni individuo sia diverso e possa scegliere in autonomia quello che vuole fare. Non ci sono maxischermi o video touch, non c’è l’ipertecnologizzazione dell’evento. Lo vogliamo mantenere così, come 27 anni fa: non c’è il marketing, ci sono gli artisti».

Immagini dalla pagina FB ADHD Lazio

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